Andrea Mantella
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Dall’inchiesta “Factotum” della Dda di Torino emerge la presunta circostanza di Franco D’Onofrio di screditare le dichiarazioni rese dal pentito Andrea Mantella
VIBO VALENTIA – Nell’indagine “Factotum”, il cui blitz è scattato ieri a Torino ad opera di Finanza e Dda, è riportata anche la circostanza dei presunti tentativi da parte di Franco D’Onofrio di procurarsi informazioni “finalizzate a screditare deposizioni rese dal pentito Andrea Mantella, nell’interesse degli indagati e dei loro sodali già processati”.
La vicenda ruota attorno all’uccisione del procuratore di Torino Bruno Caccia, avvenuto il 26 giugno 1983, e per la quale D’Onofrio era indagato e questo anche sulla scorta delle dichiarazioni rese proprio da Mantella alla Procura generale di Milano secondo le quali riferiva di aver incontrato il presunto esponente dei Bonavota nel carcere di Torino, in una stanzetta, un “ufficietto” adibito a locale per la spesa dei detenuti, nel quale si poteva parlare liberamente e dove ha effettuato un sopralluogo assieme all’Autorità giudiziaria nei locali della Casa circondariale indicando i numeri di celle in cui c’era l’indagato.
D’ONOFRIO SI APPOGGIA A SERRATORE IN CARCERE PER SCREDITARE MANTELLA
La notizia arriva alle orecchie dell’ex brigatista (in quel momento ai domiciliari) che, approfittando della sopravvenuta carcerazione del sodale Antonio Serratore, lo incarica di effettuare un sopralluogo all’interno del carcere, e di riferirgli esattamente la numerazione delle celle. L’intenzione dei due è quindi, secondo gli investigatori, di screditare il collaboratore, che li chiama in correità, e “l’esistenza del vincolo – ormai pacifico – tra i due, ma anche la facilità di comunicazione che purtroppo esiste tra un detenuto in regime di Alta sicurezza ed un suo sodale all’esterno del carcere”.
L’INCARICO DATO AL SINDACALISTA E ALLA MOGLIE DI SERRATORE
D’Onofrio incarica anche il sindacalista Domenico Ceravolo di verificare nel dettaglio la fondatezza di alcune dichiarazioni rese da Mantella alla Procura Generale del capoluogo di Milano e questi gli avrebbe riportato la notizia appresa da Rocco Costa, e cioè che Serratore si trovava nel blocco A alta sicurezza: (“mi ha detto che ’Ntony è nei blocco A alta sicurezza! Me l’ha detto compare Rocco…”); lo stesso blocco in cui D’Onofrio sosteneva di essersi trovato: (Dov’ero io!…Minchia mò che vado gli domando chi ha il numero delle celle, quello che ha detto Mantella… mi hai ricordato, glielo faccio vedere io la cella 350 dov’è! Non c’è problema no? Ma per dire no! Ma roba da matti! E niente! Sì sì…”).
D’Onofrio avrebbe incaricato anche la moglie di Serratore (non indagata) di effettuare dei riscontri sul numero di celle indicate da Mantella e successivamente i figli di Serratore (non indagati) hanno consegnato a D’Onofrio un manoscritto, proveniente dal carcere Le Vallette, redatto da Serratore all’indirizzo della sua famiglia, che riportava su scritto “per Franco” ad indicare la parte del documento d’interesse per l’indagato.
Nella conversazione in cui si parlava di un collaboratore di giustizia, il figlio di Serratore fa capire di aver compreso subito a quale soggetto stesse facendo riferimento il suo interlocutore “ma, denigrando le sue dichiarazioni già rese, ha affermato che si trattava di una persona che dice “un sacco di cazzate”’ (“Sì vabbè… comunque… dice un sacco di cazzate… sì, sì dice cazzate”). D’Onofrio commentava poi che l’ufficio in cui aveva raccontato delle cose a Mantella non esistesse: (“Tutto sbagliato è … le celle 240 non esistono in quella sezione…ma io non lo ricordavo eh … pensa, gli ho raccontato…”).
DAL PENTITO MANTELLA DICHIARAZIONI CONFORMI SU D’ONOFRIO PUR CON QUALCHE DISCRASIA
Successivamente l’indagato ha verificato che Mantella aveva reso dichiarazioni conformi al vero (“gliel’ha dette giuste le celle”), ipotizzando che avesse ricevuto suggerimenti dagli investigatori (“gliel’hanno dette loro, hai capito?”) ma avrebbe scoperto alcune imprecisioni: la prima che D’Onofrio si trovava da solo in cella, mentre l’indagato afferma di averla condivisa con tale Finocchiaro, e poi che lui, il pentito, era in cella da solo mentre invece avrebbe avuto un compagno di cella, tale Walter Macrina, personaggio che si sentiva assiduamente con Domenico Ceravolo.
Quest’ultimo nel processo “Rinascita-Scott” era accusato di falsa testimonianza (smentisce il collaboratore, negando quei rapporti tra Giamborino e i Mancuso che invece il pentito affermava esistere) e quindi D’Onofrio “sa bene che uno degli argomenti spendibili a favore del proprio sodale è quello di minare all’attendibilità di Mantella. Pertanto propone a Ceravolo di recapitare al proprio legale, a Vibo, gli atti a sua disposizione inerenti l’indagine milanese nella quale, a suo giudizio, la Procura Generale avrebbe fatto emergere numerose contraddizioni nel narrato del collaboratore: (“Ditegli se gli servono cose di Mantella. Ho tutte le sue dichiarazioni su quando D’Onofrio era in carcere …che la Procura di Milano l’ha spaccato…perché diceva sempre cose diverse, otto interrogatori li ha fatti l’uno diversi dall’altro…poi D’Onofrio dice (inc.le) tutto il processo di Rinascita-Scott… (inc.le) compreso tutto, compreso tutto come si dice”).
Ceravolo si incontra con l’avvocato, torna dalla Calabria e riferisce al suo interlocutore di aver visto il legale e che il materiale il suo possesso potrebbe interessargli. In più ha prospettato una trasferta congiunta a Vibo Valentia per incontrare personalmente il penalista, visto che per la fine di agosto D’Onofrio avrebbe terminato gli arresti domiciliari (“Eh! Gli ho detto: Guardate, avvocato che lui si dovrebbe liberare per fine agosto, poi scendiamo”).
LA DDA DI TORINO: “MANTELLA ATTENDIBILE”
In realtà, la Procura Generale di Milano, spiega la Dda di Torino, non ha rilevato l’inattendibilità di Mantella, che ha invece ribadito, ma ha constatato unicamente la “mancanza di costanza del narrato” nella sola vicenda relativa alle confidenze che il collaboratore dichiara di aver ricevuto in carcere da D’Onofrio circa la sua responsabilità nell’omicidio Caccia, ed ha dunque ritenuto che tale narrato non costituisce elemento sufficiente ad integrare il resto del quadro indiziario raccolto a carico di D’Onofrio stesso.
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