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Non sono pochi i segnali che mostrano come le attuali condizioni di vita nelle carceri siano lontane da quanto richiedono sia i diritti e la dignità della persona, sia le finalità della pena, ossia la rieducazione, così come richiesto dall’articolo 27


Ricondurre nella cornice della Costituzione le pene e tra queste la più invasiva della libertà personale e della dignità dell’individuo, quale è la detenzione negli istituti penitenziari o, per usare una comune e più cruda espressione, la carcerazione. Raggiungere questo obiettivo non è una opzione legata alla opportunità, bensì un dovere, se si vuole garantire quello che prescrivono la Costituzione e le Convenzioni internazionali sui diritti umani, e assicurare altresì quel livello di civiltà consono al nostro Paese e che le istituzioni devono curare.

Non sono pochi i segnali che mostrano come le attuali condizioni di vita nelle carceri siano lontane da quanto richiedono sia i diritti e la dignità della persona, sia le finalità della pena. Gli spazi ristretti delle celle e l’affollamento hanno portato la Corte di Strasburgo a condannare l’Italia per la violazione dei divieto, imposto dall’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di sottoporre a pene o trattamenti inumani o degradanti. Il numero dei suicidi di detenuti, che la cronaca mostra avvenire quasi con frequenza settimanale, non può rimanere l’oggetto di sconsolanti rilevazioni statistiche. È dovere dello Stato assicurare a chi è ristretto in carcere e sottoposto alla sua custodia condizioni che ne salvaguardino la vita, anche da atti di autolesione che in genere riguardano persone fragili o sofferenti.

TRA LE FINALITÀ DELLA PENA LA COSTITUZIONE ESIGE LA RIEDUCAZIONE

La Costituzione impone che sia adottata ogni misura perché tutto questo non accada. Va anche oltre stabilendo, con la netta formulazione dell’articolo 27, la finalità delle pene, che “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Le pene, dunque una pluralità di possibili sanzioni che riservano il ricorso alla più grave di esse, alla reclusione, solo quando ogni altra diversa misura sia inadeguata rispetto all’illecito o al reato commesso.

Si ritiene che il timore della carcerazione possa scoraggiare dal commettere reati e possa concorrere a mantenere la sicurezza nella società. Come pure si ritiene che il carattere afflittivo della pena risponda a una esigenza di giustizia, e tenda a ristabilire un equilibrio con la offesa recata alla vittima del reato. Pur senza escludere queste impostazioni, la funzione delle pene espressamente prevista dalla Costituzione, che ha da valere in particolare per quelle detentive, è altra e più elevata: consiste nella rieducazione del condannato. Una finalità che richiede maggiore complessità di misure, non limitate a trascorrere il tempo in carcere per “scontare la pena”, bensì richiede complesse e graduali attività che favoriscano il recupero dalla devianza in vista del reinserimento del condannato nella vita sociale.

PENA E RIEDUCAZIONE: LA RECLUSIONE NON DEVE ESSERE LA SEMPLICE RESTRIZIONE IN CARCERE DELLA PERSONA

Ne deriva anzitutto che il contesto delle strutture carcerarie e della vita detentiva non sia degradato, e che la reclusione non sia puramente la restrizione e la custodia della persona perché “ammuffisca in carcere”. Alla afflizione della perdita della libertà personale non si possono aggiungere ulteriori afflittive condizioni di vita. Inoltre la condizione di detenuto non comporta, come più volte ha sottolineato la Corte costituzionale, la perdita dei diritti fondamentali e della dignità della persona.
Il sovraffollamento e la gravità della situazione carceraria sono generalmente e da molto tempo riconosciuti.

SERVE UN PROGRAMMA CONCRETO E NON PIÙ ANNUNCI E SPORADICHE MISURA DI EMERGENZA

Eppure, come in altri settori, manca un programma che conduca a soluzione questi problemi in un orizzonte di medio periodo, mentre abbondano annunci e sporadiche misure di emergenza, non sempre appropriate e comunque non risolutive. La personalizzazione nella esecuzione delle pene detentive richiede diversità e appropriatezza delle stesse strutture penitenziarie. Sarebbe opportuno avere separati Istituti di detenzione “leggera”, con un efficace ma meno stringente impegno di vigilanza, riservate a chi per la prima volta deve scontare in carcere la pena della reclusione, a seguito di una condanna per un tempo che segnala la minore gravità del reato.

Altri istituti, a ridotta copertura temporale o intensità di controllo, sarebbero possibili per chi, in condizione di semilibertà, è ammesso al lavoro esterno. La restrizione della libertà personale dovrebbe avvenire fuori dal circuito carcerario per chi è in attesa di giudizio e che, come prevede la Costituzione, non può essere considerato colpevole. A tutti dovrebbe essere offerta la possibilità di una attività formativa o lavorativa interna. Al termine della pena, se questa ha avuto l’efficacia rieducativa che dovrebbe caratterizzarla, non dovrebbe mancare l’accompagnamento al reinserimento. Proprio quello che la Costituzione vorrebbe.


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