X
<
>

Le dichiarazioni in aula di Maysoon Majidi

Share
8 minuti per la lettura

Udienza fiume sul caso Maysoon: lei nega ma resta in carcere; a Crotone c’era il Capodanno Rai e furono sentiti solo due migranti.


CROTONE – «Sono un’attivista politica. Ero venuta qui con mio fratello, la nostra destinazione era la Germania. Non volevo dare le mie impronte digitali dopo lo sbarco per poter chiedere asilo in Germania. Quando ero nel bosco il 31 dicembre ho tentato di chiamare la polizia, lo troverete nella memoria del mio cellulare. E ho scattato foto del paesaggio. Chi ha qualcosa da nascondere non lo fa». Al termine di un’udienza fiume a Crotone, durante la quale sono stati sentiti gli investigatori che hanno condotto le indagini che l’ultimo dell’anno del 2023 portarono al suo arresto e a quello del capitano dell’imbarcazione, Ufuk Akturk, ormai reo confesso che sarà giudicato separatamente, Maysoon Majidi, la giovane attivista curda accusata di essere una scafista, resta in carcere. Nonostante abbia chiesto pietosamente che le venissero concessi gli arresti domiciliari.
Il Tribunale penale presieduto da Edoardo d’Ambrosio, visto anche il parere negativo della pm Rosaria Multari, ha respinto l’istanza.

LEGGI ANCHE: Crotone, l’attivista iraniana Maysoon Majidi resta in carcere – Il Quotidiano del Sud

Il quadro è immutato dopo che già erano state rigettate analoghe richieste del difensore, l’avvocato Giancarlo Liberati. «Sono in carcere da 272 giorni per avere distribuito cibo ai passeggeri. Io ho conosciuto per la prima volta Akturk la notte tra il 29 ed il 30 dicembre e nessuno ha mai spiegato come sia possibile che una donna iraniana, giovane ed esile come me, avrebbe potuto mantenere l’ordine su una barca in cui c’erano uomini grandi e grossi che con uno schiaffo potevano gettarmi in mare», è detto, tra l’altro, nella corposa memoria difensiva depositata al termine dell’udienza.

DUPLICE SBARCO

L’udienza è iniziata con la testimonianza del tenente Gaetano Barbera, comandante della Sezione operativa navale della Guardia di finanza di Crotone, che ha ricordato che quel giorno furono due gli sbarchi da gestire. Un primo intervento fu al largo, dove un gruppo di migranti venne trasbordato dalla Guardia costiera. L’altra segnalazione si riferiva a un’imbarcazione incagliata sulla spiaggia di Gabella ma anche a un gruppo di fuggitivi a bordo di un tender.

«Ci rendemmo subito conto della pericolosità della situazione – ha detto l’ufficiale – In coperta c’erano 72 migranti, fra cui 20 minori, col rischio concreto che se si fossero spostati a destra o sinistra la barca si sarebbe ribaltata essendo eccessivamente carica. Tre unità di guardia costiera e guardia di finanza riuscirono a disincagliarla e a trasferire i migranti al porto. Intanto, le volanti della polizia erano riuscite a bloccare i fuggitivi nella pineta di Gabella e li accompagnarono al porto. Qui un migrante riferì a un mediatore culturale dell’agenzia Frontex di aver riconosciuto il capitano, Akturk Ufuk, e Maysoon Majidi, definita come sua aiutante».

CAPODANNO RAI

Essendo state le pattuglie della polizia a rintracciare i fuggiaschi, avrebbe dovuto essere la Questura a svolgere l’attività di polizia giudiziaria. Ma quello era un giorno particolare. «A Crotone c’era il Capodanno della Rai e le forze dell’ordine erano oberate. La Questura chiese alla Finanza di proseguire l’attività».  Barbera ha fatto riferimento anche alla difficoltà nell’attingere all’albo degli avvocati la sera di Capodanno.

IN UDIENZA A CROTONE I PRIMI DUBBI SU MAYSOON CHE RESTA ANCORA IN CARCERE

«Maijidi ci riferiva di essere un’attivista politica, ma supponevamo che fosse coinvolta – ha detto il teste rispondendo alle domande della pm – Di solito i primi a fuggire in occasione degli sbarchi sono i facilitatori. Ci chiedevamo come una garante dei diritti umani avesse potuto abbandonare i migranti in quelle condizioni, incurante del fatto che a bordo ci fossero anche bambini. Abbiamo notato – ha aggiunto il militare – che si allontanava mano nella mano col capitano. E che aveva ricevuto un messaggio con cui veniva invitata ad allontanarsi appena giunta a terra. Nella memoria del suo telefonino c’erano video fatti sulla barca, dalla poppa verso l’orizzonte.
I video sono stati confrontati con quello pubblicato il 31 dicembre su Instagram da uno pseudogiornalista e sono riconducibili a giornate antecedenti, al 28 e al 29 dicembre. Abbiamo verificato che quel giorno il tempo era nuvoloso. Quel video era volto a rendere noto che lo sbarco era avvenuto in modo da indurre i familiari dei migranti a versare i pagamenti tramite il sistema hawala».

Da alcune immagini «si nota che Majidi è stata una componente dell’equipaggio, alcune foto comprovano che aveva libertà di movimento a bordo. Dall’analisi del suo telefono, contrariamente a quanto dichiarato dall’attivista, emerge che era stata sempre sopra coperta e che nella rubrica c’era il numero del capitano che a sua volta aveva in rubrica il numero di Majidi. La donna non aveva memorizzato numeri di altri passeggeri».

ALTRI SOSPETTATI E ALTRI ELEMENTI

Pur presumendo che anche altre tre persone sorprese insieme a loro fossero coinvolte, gli indizi erano «convergenti» soprattutto sul capitano e la donna. «I migranti sentiti non hanno fornito elementi sulle responsabilità degli altri tre». Scatta così il fermo, poi convalidato con contestuale applicazione della misura in carcere per entrambi gli indagati.

«La donna è stata trovata in possesso di un passaporto falso – ha rincarato la dose Barbera – Verosimile che abbia mentito sulla data del suo ingresso in Turchia. Dice di aver attraversato il confine su un’auto della polizia turca, ma ci sono video in cui lei stessa riprende il viaggio all’interno di un pullman e poi in taxi. Si riprende mentre è al ristorante o dal parrucchiere, quindi ha un tenore di vita non in linea con quello di migranti che scappano da condizioni infelici. Quando arriva a Gabella, riprende con la mano destra l’allontanamento dalla zona e la mano sinistra la tende verso il capitano. Si allontanano in cinque ma gli altri tre sono più distaccati».

LA TRUFFA

 E ancora: «Dall’analisi dei telefoni emerge che lei e il fratello hanno pagato circa 27mila euro per un viaggio dalla Turchia all’Italia, ma in realtà erano stati truffati da un certo Jamal che non ha trasferito i soldi in Italia. Si attiva per proseguire il viaggio, chiede soldi a uno zio che però è in difficoltà e non può aiutarla, li chiede anche al responsabile dell’organizzazione per i diritti umani Hala a cui è iscritta, consulta i siti che offrono viaggi per i migranti e dopo cancella gli screenshot. La ricerca spasmodica di denaro prosegue fino a poco prima della partenza e alla fine porta al rinvenimento di una somma di 7mila e 800 euro che basterà per il solo fratello.
Non ci sono elementi per stabilire come Majidi abbia provveduto alle spese per il suo viaggio. Da una chat col padre emerge che questi si rende disponibile a vendere l’abitazione ma rappresenta che i tempi si sarebbero allungati per registrare gli atti notarili».

TESTI IRREPERIBILI

Il controesame della difesa si è concentrato inizialmente sulla mancata individuazione dei testi che dovevano essere sentiti nell’incidente probatorio e potrebbero scagionare Majidi. «Come è possibile che un giornalista lo rintracci nel luogo che abbiamo indicato in udienza? Anche io ci ho parlato con una semplice videochiamata», ha detto il legale con riferimento a un migrante ospite in centro d’accoglienza a Berlino. «Dovrebbe chiederlo alla polizia tedesca», ha obiettato il teste. «I dati – ha aggiunto – sono stati prontamente trasferiti al Comando nazionale della Guardia di finanza che si è interfacciato col Servizio per la cooperazione internazionale che a sua volta non opera direttamente ma si avvale dell’organo collaterale estero». L’avvocato ha rilevato un’«anomalia burocratica», suscitando l’ira della pm. 

I TRAFFICANTI

Altro momento di tensione quando la pm ha opposto il segreto istruttorio a una domanda sulle indicazioni fornite da Majidi agli inquirenti. «Auspichiamo che i trafficanti si trovino», ha risposto l’avvocato Liberati. Eppure un altro teste poco dopo ha fatto i nomi, rivelati da Majidi, dei due che avrebbero organizzato il viaggio. Come già riferito dal Quotidiano, la Dda di Catanzaro indaga da tempo su un’organizzazione transnazionale di matrice turca dedita alla tratta di esseri umani lungo la rotta dell’Egeo.

SOLO DUE DICHIARANTI

«Perché avete sentito solo due migranti? Non avete sentito l’esigenza di altri riscontri»? Alla domanda del presidente, sia la pm che vari testi hanno precisato che nelle indagini sugli sbarchi degli ultimi anni spesso sono stati sentiti due, tre migranti. Barbera, in particolare, ha ricordato la «carenza di organico delle forze dell’ordine impegnate per l’evento del Capodanno Rai». E poi «I due migranti sentiti erano stati precisi e collaborativi», ha aggiunto Barbera.

GLI ALTRI TESTI

«Era nella pineta e alla nostra vista si è allontanata», ha raccontato il viceispettore di polizia Giacomo Astore che ha bloccato i due imputati a Gabella. Il maresciallo della Finanza Arcangelo Lopilato ha aggiunto di aver raccolto la testimonianza di un migrante in grado di indicare il capitano e la sua aiutante. Cosa che effettivamente fece insieme al militare, «nascosto dietro un’ambulanza».

Il SIT-IN A CROTONE, A SOSTEGNO DI MAYSOON IN CARCERE, PRIMA DELL’UDIENZA

Prima dell’inizio dell’udienza, il consueto sit-in a sostegno di Maysoon. Uno stereo a palla che manda sonorità balcaniche, le magliette appese dinanzi al Palazzo di giustizia con la scritta Free Maysoon e interventi di politici. L’europarlamentare Mimmo Lucano, che poco prima ha tenuto una conferenza stampa nel corso della quale ha contestato duramente le politiche del Governo in materia di immigrazione, e il consigliere regionale Ferdinando Laghi, che nei giorni scorsi aveva visitato in carcere l’attivista in sciopero della fame.

«L’ho trovata peggiorata – ha detto Laghi al Quotidiano – e non si riprenderà più da una ferita psicologica così grave. Non c’entra con il mondo degli scafisti, avendo pagato profumatamente per la traversata. Un’attivista per i diritti umani e un’artista non ha ottenuto neanche un beneficio come quello degli arresti domiciliari che viene riservato ad altri».

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE