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L'imbarcazione esplosa a Praialonga

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Le motivazioni della sentenza sulla tragedia di Praialonga tra finanzieri eroi e prassi di gestione degli sbarchi “sbagliata”


CROTONE – La rodatissima “prassi” di condurre le imbarcazioni cariche di migranti al porto di Crotone, da decenni crocevia dell’immigrazione clandestina? «Sbagliata». Così come sarebbe stato un errore la mancata attivazione del piano Sar e la mancata cooperazione tra Guardia di finanza e Guardia costiera. Lo scrive la gup del Tribunale di Crotone Elvezia Cordasco nel motivare due condanne e due proscioglimenti per i finanzieri “eroi”, come erano stati ribattezzati dalle cronache, nel processo scaturito dall’indagine sulla morte di quattro migranti nell’esplosione del veliero “Heaven”, avvenuta nell’agosto 2020 al largo di Praialonga. Temi che sembrano intrecciarsi con quelli al centro dell’inchiesta sul naufragio di Cutro, il cui bilancio, nel febbraio 2023, fu più tragicamente consistente, con cento morti.

IL DISPOSITIVO SUL CASO DEI FINANZIERI EROI DI PRAIALONGA

La giudice, si ricorderà, aveva condannato a due anni (pena sospesa) i due imputati che hanno scelto il rito abbreviato. Vale a dire il capitano Vincenzo Barbangelo (finito sotto accusa in qualità di comandante della Sezione operativa navale delle Fiamme gialle crotonesi e coordinatore delle operazioni di polizia giudiziaria), ed il maresciallo Andrea Novelli (comandante della motovedetta intervenuta al largo di Simeri Crichi). Sono state dunque accolte le richieste di condanna che aveva avanzato il pm Pasquale Festa. La stessa gup ha decretato, invece, il non luogo a procedere per l’appuntato scelto Maurizio Giunta, che assunse il comando della “Heaven”. E per il finanziere Giovanni Frisella, salito sul veliero con la qualifica di motorista.

PRAIALONGA, L’ORDINE E I FINANZIERI EROI

Si comportarono da eroi gettandosi in acqua per salvare vite, Giunta e Frisella finirono pure in ospedale, ma si scoprirono, successivamente, imputati. Giunta, in particolare, con una gamba rotta su una barca in fiamme, si prodigò per lanciare quanta più gente possibile in acqua. Frisella, con un piede fratturato, afferrò un migrante che non sapeva nuotare. Il maresciallo Novelli si buttò in mare per soccorrere un collega in difficoltà, salvando lui e alcuni migranti. Ora si scopre che, scrive la giudice, Giunta e Frisella «non avevano le qualifiche soggettive richieste dalla norma incriminatrice». Tradotto dal gergo legale, significa che è stato loro ordinato di condurre un’imbarcazione senza che fossero nelle condizioni di adempiere. La scelta di far salire a bordo Giunta fu peraltro contestata, oltre che da lui stesso, da un altro militare non essendo abilitato a condurre imbarcazioni. Frisella, più giovane, secondo le testimonianze accettò di buon grado l’ordine.

INVERSIONE DI ROTTA

Da una prima valutazione delle sale operative di Guardia di finanza e Guardia costiera si era decisa che quella era un’operazione non di soccorso ma di polizia giudiziaria. E che, previa verifica delle condizioni di navigabilità, sarebbe stato fatto un trasbordo sulla motovedetta delle Fiamme gialle o sarebbe stata condotta la barca in direzione del porto di Catanzaro Lido, dato anche il peggioramento del mare. La decisione sarebbe mutata con l’intervento del capitano Barbangelo. Poiché un eventuale attracco della Heaven al porto di Catanzaro, seppure fattibile, avrebbe comportato problemi di rimessaggio. Non si sapeva a chi affidare la barca che comunque avrebbe dovuto essere portata a Crotone.

MANCATO SAR

Da lì, «a scalare», dato il più alto grado rivestito dal responsabile dello scenario d’azione, il comandante della Sezione operativa navale della Gdf di Crotone che dipende dal Roan di Vibo Valentia che peraltro non era sul posto, la responsabilità ravvisata anche a carico di Novelli. Questi, «incurante della sicurezza della navigazione», non ha ordinato l’uso di giubbotti di salvataggio e «ha omesso di qualificare l’evento come Sar nonostante le sollecitazioni di Giunta e pur sapendo che la propria nave non era nelle condizioni di trainare l’imbarcazione di migranti». Eppure, «l’azione di contrasto all’immigrazione è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana», scrive la giudice dopo aver ripercorso la complessa normativa di settore.

PERICOLO INCENDI

Novelli, inoltre, secondo la sentenza sarebbe stato “consapevole” della situazione di pericolo data dai problemi che presentava il motore e non si sarebbe informato della pur probabile presenza a bordo di taniche di carburante, ordinando di proseguire il tragitto. La presenza taniche è stata poi confermata dai migranti. Invece di dichiarare il Sar, il militare avrebbe così fatto trascorrere «inutilmente» un’ora, sempre secondo la sentenza. Eppure lo stesso Giunta aveva «richiesto di soccorrere i migranti avendo la Capitaneria tutte le dotazioni per intervenire e salvare la vita dei migranti».

LAW ENFORCEMENT

A queste conclusioni la giudice giunge dopo aver ripercorso una vicenda che sembra ricondurre a gradi più alti della gerarchia. «La classificazione dell’evento come operazione di law enforcement era condivisa da tutti i responsabili del servizio e gli organi di vertice delle articolazioni e veniva presa sulla base dell’assenza di pericolo imminente per la sicurezza della navigazione e dopo essersi accertati che alcun soggetto presente sull’imbarcazione fosse bisognoso di aiuto».

PORTO SICURO

Per l’accusa si è trattato di imperizia, ma la difesa ha sempre obiettato che il porto di Catanzaro Lido mai è stato preso in considerazione come rifugio in nessuna operazione di soccorso in mare o di polizia giudiziaria, almeno nel triennio 2018-2020. Perché, tra l’altro, è un approdo poco attrezzato e di problematica praticabilità, come risulta dall’ordinanza 10/2020 dell’Ufficio circondariale marittimo di Soverato, e perché la rotta verso Crotone sarebbe avvenuta col mare a favore e in una zona protetta della costa. Nella sentenza si valorizza la testimonianza del sottocapo della Guardia costiera in servizio a Soverato che asserisce che «il porto di Catanzaro, seppure più angusto, era fattibile oltre che più vicino». Più vicino appariva anche il porto di Le Castella.

L’ESITO DELLA PERIZIA

L’affondamento avviene per l’incendio che compromise la struttura dello scafo. Dai sopralluoghi non è stato possibile rinvenire le taniche né si è trovata a bordo traccia di carburante. E, soprattutto, «non è stato possibile indagare la correlazione tra l’innesco e un eventuale corto circuito dato lo stato del relitto». Sono questi, forse, alcuni degli aspetti più controversi dell’inchiesta su cui sta già scavando l’avvocato Pasquale Carolei, alle prese con il ricorso in Appello.  Nel collegio difensivo anche gli avvocati Filly Pollinzi ed Emiliano D’alessandro che hanno ottenuto proscioglimenti.

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VERSO L’APPELLO

In particolare, l’avvocato Carolei ha annunciato che impugnerà la sentenza di condanna perché «non era necessaria alcuna abilitazione per condurla e lo dice il Codice della nautica. Giunta – precisa il legale – era nocchiere dal 1993 e la barca, pur se sovraccarica, presentava un ottimo galleggiamento. I giubbotti – aggiunge – vanno indossati in condizioni meteo estreme o in caso di abbandono di nave». E ancora: «la Heaven poteva essere trainata dalla Capitaneria dopo le difficoltà insorte e il Sar è tutta un’altra cosa».

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