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Le dimissioni di Sangiuliano e Alessandro Giuli nominato nuovo ministro della Cultura: l’arrocco di Giorgia Meloni


La premier Giorgia Meloni sostiene che il governo non si indebolisca con l’uscita del ministro della Cultura. Può essere, di certo non si rafforza. Sangiuliano aveva la non trascurabile missione di imporre una nuova egemonia culturale di destra in un rocambolesco turnover con quella “sinistrorsa”. Ma di questa presunta egemonia se ne sono perse le tracce da tempo immemore, bombardata dai social e dalla nuova politologia pret a porter. Insomma, una battaglia di retroguardia. Ma Sangiuliano si era fatto missionario per diffondere il nuovo verbo nel Paese.

È vero anche che l’evento più eclatante organizzato dal Ministero della Cultura è stato una mostra su Tolkien, come se l’immaginario della destra fosse impregnato solo di fantasy e non del pensiero di Evola, Drieu La Rochelle, Junger. Ma come spesso accade, cherchez la femme.
Ma l’aspetto più rilevante e rivelatore della forma mentis meloniana è stata la scelta del successore; più che una scelta, un riflesso condizionato. Non poteva essere che un fedelissimo rodato, affidabile, con pedigree certificato e soprattutto solidi meriti di appartenenza acquisiti nel tempo.

È qui che Meloni rivela tutta la sua insicurezza. Si circonda solo di giannizzeri, di guardie del corpo. Eppure guida un Paese ricchissimo di umori, personalità straordinarie, non schierate. La società civile, termine è vero svuotato dalla sinistra, in realtà esiste ed è uno spreco non chiamarla in causa. Una premier che si sente assediata, come considerasse il suo governo un sorta di ridotta della Valtellina non può andare lontano con un orizzonte troppo ristretto. Molti nemici molto onore, si sa come è finita.

Niente da dire sulla scelta di Alessandro Giuli che rispetto a certi ministri si staglia come un gigante del pensiero. Del resto aveva cercato di inserire pure Gramsci nel Pantheon della destra (ci hanno provato anche con Che Guevara con risultati interessanti). Ma quella di Giuli non è stata una scelta meditata e piuttosto scontata. Meloni ha fatto della coerenza il suo motto nobiliare. Ma la coerenza, quando diventa radicale, non sempre è una virtù, soprattutto in politica. Ricordiamoci cosa pensava Oscar Wilde della coerenza.


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