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Alessandro Giuli giura come ministro della Repubblica

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Alessandro Giuli prenderà il posto di Gennaro Sangiuliano, intellettuale organico del melonismo dovrà guidare il ministero della cultura


Non sarà un collezionista compulsivo di libri come il suo predecessore Gennaro Sangiuliano, ma questo particolare potrebbe rivelarsi un vantaggio. Alessandro Giuli, da poche ore neoministro della cultura del primo governo Meloni, esibisce un profilo professionale e intellettuale obiettivamente originale, specie se rapportato alla goffa erudizione, non priva di gaffe seriali, del ministro uscente.

CHI È ALESSANDRO GIULI, L’INTELLETTUALE DEL MELONISMO SCELTO PER SOSTITUIRE SANGIULIANO

Classe 1975, Giuli compirà 49 anni il prossimo 27 settembre. Dal novembre 2022 è il presidente della Fondazione MAXXI, il museo delle arti del 21° secolo con sede a Roma, nominato dal governo Meloni dopo la giubilazione della pasionaria ambientalista e democratica Giovanna Melandri, celeberrimo caso di nomina “de sinistra” in totale assenza di coerente curriculum.
Il giovane Giuli muove i suoi primi passi da militante politico nel movimento di estrema destra Meridiano Zero, nato nel settembre del 1991 dalla fusione di alcuni gruppi di fuoriusciti dal Fronte della Gioventù sotto il segno della battaglia: già nell’ottobre del 1991 il gruppo si rende protagonista di violenti incidenti con appartenenti ai collettivi studenteschi di estrema sinistra.

Il movimento mutua la denominazione dal Trattato del Ribelle del filosofo tedesco Ernst Jünger e dalla decisione del regime fascista di istituire un proprio meridiano zero passante da Battipaglia (Salerno), da contrapporre a quello di Greenwich. Il simbolo del movimento era l’Algiz, ovvero la runa della vita nonché lettera etrusca. La filosofia è la tecnoribellione ovvero la rivolta contro il potere tecnocratico. Per fortuna di tutti, l’eredità di quella militanza su Giuli, che nel frattempo studia filosofia alla Sapienza di Roma senza mai laurearsi, si limita soltanto a una certa originalità anticonformista, senza tracce di violenza fascistoide.

LA CARRIERA GIORNALISTICA CHE SBOCCIA AL FOGLIO

Meglio la carriera giornalistica che, dopo alcune esperienze in testate locali minori, sboccia al Foglio – assunto dopo un colloquio durato “tre secondi” con il direttore Giuliano Ferrara – dove cresce fino a diventare condirettore nel 2017. Da febbraio a novembre 2017 è direttore del settimanale Tempi, mentre dal 2018 collabora con varie testate tra cui Linkiesta, Il Tempo, Il Corriere dell’Umbria, Il Sole 24 ore. Nel 2021 diviene anche analista e consulente per la fondazione di Leonardo, Med-Or. Sposato con Valeria Falcioni, una collega che lavora a Sky nella redazione del Tg24, la coppia ha due figli.

Proprio come il suo predecessore, Giuli è anche autore di diversi libri, dai titoli altisonanti e dai contenuti decisamente alternativi rispetto al mainstream culturale di sinistra che domina l’editoria italiana: Il passo delle oche, L’identità irrisolta dei postfascisti, Sovranismo per esordienti, Individui e potere tra identità e integrazione e E venne la Magna Madre: i riti, il culto e l’azione di Cibele Romana. Volumi che raccontano un percorso tra gli steccati della destra ma originale, molto più dell’accattona erudizione da parvenu della cultura che emerge dai testi e dalle opere di Sangiuliano.

LO SVILUPPO DEL MELONISMO E IL MOMENTO IN CUI GIULI DIVENTA INTELLETTUALE DI RIFERIMENTO PER IL PENSIERO DELLA DESTRA

L’ultimo saggio di Giuli, poi, può intrigare assai tutti coloro che auspicano l’evoluzione della destra verso lidi più contemporanei e l’abbandono dei cliché della rozzezza autoritaria e antiliberale tipica degli antenati della fiamma tricolore. In Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea, infatti, Giuli sfida la destra a “transitare dalla mentalità degli esclusi e dei ‘governati’ a una logica di sistema, che alla lettera significa ‘stare insieme’ e oltre la lettera vuol dire appunto percepirsi come una classe dirigente sorretta da una visione prospettica della società”.

Insomma, per l’ex presidente del MAXXI e neoministro della cultura “urge una destra capace di affermare se stessa illuministicamente”, capace di comprendersi come “la più progressista tra i conservatori” e di “disincagliarsi dalla caricatura mostrificante che gli odiatori cercano di cucirle addosso” con l’obiettivo di farsi “destra moderna, matura e plurale”, superando il generico patriottismo. In questa prospettiva, Gramsci può diventare l’ispiratore inaspettato della egemonia culturale che la destra vuole imporre da quando è al governo Giorgia Meloni ed è diventato di fatto un punto di riferimento per il pensiero dei postfascisti.

Una egemonia culturale intesa come azione culturale per penetrare e conquistare la società civile e l’ambiente intellettuale. Una egemonia culturale esercitata in quest’ultimo biennio, con un certo estro, proprio al MAXXI, all’interno di “valori non negoziabili e non rinnegabili che stanno al cuore della identità collettiva”. Ovvero: “Il rispetto della Costituzione del 1948, dei diritti civili e del dialogo, la fede nella democrazia come necessario strumento di convivenza”. Entro i confini di questi valori imprescindibili è auspicabile, secondo Giuli, “superare le vecchie divisioni ideologiche tra vecchia destra e vecchia sinistra”.

LA SFIDA CULTURALE DELLA DESTRA

Superato il sovranismo (“uno choc anafilattico sopraggiunto nel sistema immunitario dell’Occidente globalizzato”) e il populismo al governo, si apre oggi la strada di “un’aurora normalizzante” che consiste nel ripristino di una democrazia dell’alternanza “fondata sul confronto tra un progressismo riformista con venature radicali e un conservatorismo social-liberale”.

La sfida per la destra è quella di affermarsi “illuministicamente”, neutralizzando quel “terribilismo assertivo degli ultimi arrivati” di cui le recenti “varianti vannacciste” non sono altro che “infantili declinazioni”. A dispetto della storia culturale della destra italiana percorsa da “fantasticherie reazionarie e regressive”, l’obiettivo contemporaneo dovrebbe essere quello di diventare “i più progressisti fra i conservatori”, traghettando la nuova destra “dall’epica trasfigurata del Signore degli Anelli” verso la realtà. Basta dunque con i cascami da recinto culturale descritti a suo tempo da Furio Jesi – Mito, Tradizione, Passato, Razza, Origine, Sacro – e con il più recente immaginario orfico-tolkeniano. Disponibilità, invece, ad assorbire una quota parte dei valori della sinistra, dalla cittadinanza agli stranieri alla sensibilità verso il mondo arcobaleno.

LA NUOVA SFIDA AL MINISTERO DELLA CULTURA

Giuli cita e mixa figure diverse in un pantheon improbabile ma suggestivo. Da Giuseppe Bottai, ministro delle corporazioni del Regno d’Italia: “il più liberale degli intellettuali fascisti o il più fascista degli intellettuali liberali”. Al filosofo Guido Calogero: “l’indiscutibile è il dover discutere”. Fino a Guido Dorso, meridionalista e antifascista della sinistra non comunista di cui Giuli ricorda il volume “Cento uomini di ferro e più” per “il risveglio del Mezzogiorno”. Chi legge il programma del MAXXI di questi ultimi anni dovrà riconoscere al suo ormai ex presidente un grande estro, una suggestiva varietà e una certa abilità combinatoria.

Tuttavia, al ministero della Cultura il gioco si farà ben più complicato. Assai ardito costruire da quella sede l’intellettuale organico della destra. Allo stesso modo sarà arduo preparare o trovare i ‘cento uomini di ferro’ della classe dirigente meloniana: l’ultimo a proporsi, Gennarino Sangiuliano da Napoli, si è spiaccicato come uno yogurt dalle parti di Pompei.


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