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Il viceministro Gava, i “sentimentalismi” da mettere da parte (secondo lei) e la condanna di Crotone ad una pena senza fine


Niente da fare. Non basta neanche la facile accessibilità sul web ai dizionari della lingua italiana per indurre a scegliere i termini appropriati. Diversamente, tale Vannia Gava, viceministra della Repubblica italiana, non avrebbe invitato la Regione Calabria e gli enti locali a mettere da parte “sentimentalismi” e a essere collaborativi… In soldoni voleva dire che Regione, Provincia e Comune di Cotone devono allinearsi al diktat del Ministero dell’Ambiente che ha deciso che i rifiuti della bonifica della disgraziata area industriale devono essere smaltiti in una discarica privata di Crotone.

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Di diktat si tratta, e non solo perché i tre enti hanno comunicato ufficialmente che ricorreranno al Tar contro la decisione ministeriale, ma anche perché il dissenso emerge chiaramente nel testo dello stesso decreto della direzione generale “economia circolare e bonifiche” del Ministero. Quindi una cosa certa c’è: quei sentimentaloni della Regione, della Provincia e del Comune di Crotone, che fino a prova contraria rappresentano tutti i cittadini dell’ex polo industriale della Calabria, dell’ex “Milano del Sud”, dell’ex tante altre cose, ritengono che le scorie prodotte dagli interventi di bonifica delle aree dei dismessi (trent’anni fa) stabilimenti industriali della chimica e della metallurgia non ferrosa, debbano essere smaltite fuori dalla Calabria. E di fronte a questo si pone un braccio di ferro durissimo, una situazione di contrasto di quelle che – almeno una volta era così – fanno sollevare una popolazione.

I “SENTIMENTALISMI” E LA VERITÀ SULLA CITTÀ DI CROTONE

Che poi, a leggere solo le date dei provvedimenti citati nello stesso decreto del Ministero che pone fine (“positivamente”) alla conferenza di servizi decisoria sulle sorti di rifiuti che hanno inquinato e compromesso l’ambiente, mentre la città viveva il suo sogno industriale, si torna nella realtà della cialtronaggine pura. Perché, solo per citarne uno, il decreto ministeriale con il quale il sito “Crotone-Cassano-Cerchiara” era stato individuato come “intervento di bonifica di interesse nazionale” risale al settembre del 2001. Ventitré anni fa.

Le polemiche, gli interessi, le mosse e le contromosse che fino ad oggi hanno impedito di avviare la bonifica (paga Eni, per il principio secondo il quale “chi inquina paga”) sarebbe davvero complicato riassumerle. Basta ricordare quel numerino. Ventitré. Se, dunque, nessuno potrebbe contestare che per questa bonifica si è atteso troppo, d’altro canto non si possono digerire a cuor leggero interventi manu militari. Intollerabili. Persino per una popolazione che si è un po’ abituata, negli anni, a vivere in una città che è sempre più parsa condannata a una pena infinita.

Sentimentaloni. Se non fosse che neppure si sa quante morti siano collegabili ai disastri ambientali che il sogno svanito ha lasciato in terra e in mare, ci sarebbe da sorridere. Ma in questo caso proprio non ci sono margini. Né per sorrisi, né per sberleffi istituzionali nei confronti di chi (hanno nome e cognome, e sono quelli del presidente della Regione, Roberto Occhiuto, del presidente della Provincia di Crotone, Sergio Ferrari, e del sindaco di Crotone, Enzo Voce) ha detto chiaro e tondo che quei rifiuti devono essere portati fuori regione a tutela della salute dei cittadini crotonesi e calabresi. Motivazioni più serie di queste…

DUBBI, ALLARMI, LACUNE NELLA REALTÀ DI UN DISASTRO AMBIENTALE

La cronaca in questi giorni ripropone dubbi, allarmi, lacune (il registro dei tumori che non c’è, per esempio) che restituiscono in tutta la sua enormità la dimensione di un’era industriale (piccola, per la verità) che si è trasformata in qualche anno lasciando il posto a un disastro ambientale. E guai a cedere alla tentazione di assecondare bizzarre teorie del tipo “ma le fabbriche a Crotone hanno portato benessere”. È vero che la città per decenni ha vissuto anche e soprattutto grazie ai salari degli operai della Montecatini, poi Montedison, della Pertusola… multinazionali che non stavano qui perché colte dallo spirito del missionario.

È la normale logica industriale: qui produco e qui faccio profitto. Gli operai, i cui figli e nipoti hanno avuto la possibilità di andare all’università e di diventare professionisti, in quelle fabbriche andavano a lavorare. E tanti sono morti. E poi quelle fabbriche, le prime, negli anni venti del secolo scorso, a Crotone ci sono venute perché c’era energia idroelettrica a basso costo, territori pianeggianti, un porto, risorse umane. Com’era logico che fosse. Poi è finito tutto, industrie, indotto. E la città – così come hanno fatto tutti i rappresentanti delle tre istituzioni maggiori – ha tutto il diritto, oggi, di dire che quei rifiuti devono andare fuori. Punto. Altro che sentimentalismi.

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