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Autonomia differenziata: “In fondo la riforma serve solo per firmare un paio di ordinanze senza aspettare lo Stato”; le bigie di Zaia


Così parlò Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, leghista della prima ora, pasdaran dell’autonomia differenziata. Frasi in linea con il personaggio. Foto preferita: in sella con gli stivaloni da cavallerizzo. Del resto è tutta una questione di feeling: con i veneti è un rapporto di lunga data. Per tutti è “Doge”. Uomo appunto d’altri tempi, seppur di larghe vedute. Cittadino di quel mondo al contrario che non piace al generale Vannacci. Lui ambientalista, difensore dei diritti civili , dell’eutanasia, laico. L’altro attaccato come l’edera alla tradizione, sguardo fisso nello specchietto retrovisore.

Poi c’è l’altro capitolo: Zaia e il potere. Un capitolo incompiuto, lasciato a metà, ancora da scrivere. Candidature europee, ministeri, ruoli apicali in via Bellerio: con lui finisce sempre allo stesso modo: un gran rifiuto. A lui il potere piace purché sia circoscritto, perimetrato. Perché vista da Palazzo Balbi, Roma è rimasta una ladrona tentacolare, non fa per lui. E lui infatti vorrebbe un terzo mandato, che poi sarebbe il quarto. Attaccato a quella poltrona che neanche l’attack..

Il caldo della pianura padana, certo. Ma più del caldo di questi tempi a infastidirlo è quella valanga di firme per abrogare la legge del suo amico Roberto Calderoli. Indispettito è dire poco Zaia. Di questo passo quelle firme gli manderanno di traverso il Ferragosto. Tanto che lui il Referendum preferisce definirlo per il momento “quesito”. Lui spera che ci sia un giudice, non a Berlino, ma a Roma, nel Palazzo della Consulta, quello che affaccia su quel Quirinale, un ermellino che lo bocci illudendosi che in questo modo quelle firme finiscano al macero.
O che altrettanto faccia la Cassazione con il ricorso delle Regioni. E dato che quella valanga di No rischia di travolgerlo, come diceva Totò, “a prescindere”, visto che il sentiment della nazione si sta ribellando, che da Nord a Sud si è capito che lo Spacca-Italia è una furbesca secessione dei ricchi, ecco la discesa in campo per rovesciare la narrazione.

Zaia se la prende con la sinistra ma parla a nuora perché suocera intenda. Attacca la Schlein e Bonaccini ma in realtà si rivolge alla Meloni che ha fatto dietrofront, che di autonomia in questa legislatura non ne vuole parlare. C’è il mal di pancia dei suoi Fratelli d’Italia, c’è la pietra d’inciampo di Forza Italia, c’è Antonio Tajani che da ex monarchico credeva nel Regno d’Italia e ora ha messo le mani avanti. C’è il centro destra che si sta riposizionando lasciando la Lega sola nel suo torrido delirio autonomista.

Che cosa volete che in fondo sia l’autonomia? Qualche ordinanza, si diceva all’inizio. Allora, visto che le interviste si rilasciano solo a certi giornali, che hanno smesso da tempo di essere un contraddittorio, forse è bene rinfrescare la memoria al Doge.

La Protezione civile di cui parla è una di quelle 9 materie che il Comitato di saggi presieduto da Sabino Cassese ha definito “non lepizzabili”. Per le quali dunque non bisogna attendere due anni, il tempo che la commissione fabbisogni standard presieduta dalla professoressa Elena D’Orlando – già collaboratrice di Zaia alla Regione Veneto, quantifichi i livelli essenziali delle prestazioni. L’autonomia si può chiedere da subito. E infatti la Liguria, una delle regioni più colpite dai disastri ambientali, alluvioni e frane, prima che scoppiasse il caso Toti, era pronta a farlo. Poco importa se Marta Vincenzi, ex presidente della provincia ed ex sindaca di Genova sia stata condannata per come aveva gestito l’alluvione del 2011. Il Carroccio ha la memoria corta.

Liguria a parte, è bene ricordare al presidente Zaia come nacque la Protezione civile: dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, proprio per evitare che a occuparsi dei disastri fossero gli enti locali. Che venissero lasciati soli. Per creare un coordinamento nazionale. Non 4 firme qui e là ma ben 41 funzioni, attività che, non si sa in base a cosa, lo Stato dovrebbe devolvere alle regioni come “ulteriore forma di autonomia”.

Un suicido assistito (per restare in tema, visto che più sopra si parlava di eutanasia) “In ambito internazionale il Dipartimento della Protezione civile – citiamo il sito istituzionale – promuove accordi e programmi tecnico-scientifici per l’attività di previsione e prevenzione dei rischi, organizza e partecipa a esercitazioni che coinvolgono diversi Paesi; prende parte a progetti di scambio e condivisione di esperienze e metodologie di intervento, contribuisce alla diffusione della cultura di protezione civile”.

Frammentazione? No, l’esatto contrario, l’esigenza di alzare lo sguardo, allargare il campo e condividere a livello nazionale e internazionale i progetti. Se c’è un evento sismico in Italia o in un altro Paese, i soccorsi partono da tutto il mondo. Immaginate il caos delle nostre 20 mini Protezioni chiamate ad operare in un contesto internazionale. “Attraverso il Dipartimento, l’Italia partecipa al Meccanismo Unionale – leggiamo ancora dal sito – : strumento dell’Europa che nasce per rispondere in modo efficace e tempestivo alle emergenze all’interno e all’esterno dell’Unione, attraverso la condivisione delle risorse di tutti gli Stati membri. Da qui la domanda: ma non erano solo 2 ordinanze da firmare senza aspettare lo Stato…?

Intanto, ieri, il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha deciso di impugnare dinanzi alla Corte costituzionale la legge “Calderoli” per lesione della sfera di competenza delle Regioni, come previsto dall’art. 127, comma 2, della Costituzione. La Giunta ha affidato oggi l’incarico al prof. Massimo Luciani, di chiara fama, uno dei massimi costituzionalisti italiani, e al capo dell’Avvocatura regionale Rossana Lanza che coordina il gruppo per lo studio dell’autonomia differenziata istituito dal presidente della Regione.


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