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L'ambiente al primo posto del programma di Kamala Harris, che sfiderà Trump in Usa

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POCHE ore dopo l’annuncio che il presidente Joe Biden non si sarebbe ricandidato per la Casa Bianca, i siti Usa riportavano già il programma della vicepresidente Kamala Harris, che sfiderà Donald Trump e al primo posto figurava la questione ambiente. Da procuratore generale della California, Kamala Harris ha perseguito legalmente gli inquinatori. Poi, da senatrice, ha sponsorizzato il Geen New Deal, il piano di riforme economiche e sociali inizialmente promulgato negli Stati Uniti, incentrate sul cambiamento climatico e le disuguaglianze sociali. Secondo un sondaggio del maggio scorso a cura del Pew Research Center, il 65% degli statunitensi vuole che il Paese abbandoni progressivamente i combustibili fossili.

IL DIBATTITO SULL’AMBIENTE È CENTRALE NELLA CAMPAGNA ELETTORALE USA

L’ambiente è in questo momento un punto centrale dello scontro politico negli Usa. Donald Trump, appena eletto Presidente nel 2016, aveva ridotto o eliminato molte regole dell’era Obama destinate a ridurre le emissioni di gas serra. Tra queste, vi è stata la riduzione degli standard sulle emissioni di metano, l’eliminazione del Clean Power Plan e l’attenuazione delle restrizioni sulle trivellazioni petrolifere e sul fracking (una tecnica di estrazione del gas naturale che comporta l’uso di acqua, prodotti chimici e pressione per rompere le rocce sotterranee, che provoca però sfaldamenti nel sottosuolo). Nel 2017 aveva ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, sostenendo che danneggiava l’economia americana.

IL RUOLO DEGLI USA NELLA QUESTIONE AMBIENTE MONDIALE

Più di ogni altro argomento, sull’ambiente non c’è alcuna compatibilità tra il candidato democratico e quello repubblicano alla Presidenza Usa. Le loro posizioni ricalcano i poli del dibattito che in tutto il mondo avvolge la questione ambientale e climatica. Uno dei primi atti dell’amministrazione Biden è stato il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima, dimostrando un impegno rinnovato per combattere il cambiamento climatico a livello globale. Biden ha fissato ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, puntando a una riduzione del 50-52% delle emissioni entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005, con incentivi per la transizione verso veicoli elettrici, l’efficienza energetica degli edifici e l’espansione delle infrastrutture per le energie rinnovabili.

Gli Usa sono il secondo maggiore emettitore di gas serra al mondo dopo la Cina, contribuendo in modo significativo all’inquinamento dell’ambiente globale. La loro responsabilità è elevata sia storicamente che in questo momento, perché hanno un elevato consumo pro capite di risorse energetiche e materiali. La cooperazione con altri grandi inquinatori come la Cina e l’Unione Europea è fondamentale per raggiungere obiettivi globali. La strada verso una sostenibilità globale richiede continui sforzi e cooperazione internazionale.

LA CINA RESTA IL MAGGIORE EMETTITORE MONDIALE DI GAS SERRA

La Cina ha riaffermato il suo impegno per l’Accordo di Parigi e ha annunciato obiettivi ambiziosi, tra cui la neutralità carbonica entro il 2060. Nel 2021 il presidente Xi Jinping ha ribadito l’importanza di affrontare il cambiamento climatico e ha sottolineato l’intenzione della Cina di raggiungere questi obiettivi. Il Piano Quinquennale 2021-2025 include obiettivi specifici per ridurre l’intensità carbonica e aumentare la quota di energia non fossile nel mix energetico. La Cina resta comunque il maggiore emettitore di gas serra al mondo. Nonostante gli sforzi per ridurre l’uso del carbone, Pechino è il più grande consumatore di carbone al mondo, e continua a costruire nuove centrali a carbone per soddisfare la crescente domanda di energia. La dipendenza dal carbone rappresenta una delle principali sfide per la Cina nel raggiungimento dei suoi obiettivi climatici. Inoltre esistono preoccupazioni riguardo alla trasparenza e all’accuratezza dei dati sulle emissioni forniti da Pechino. Senza il concorso della Cina è impossibile giungere a risultati concreti nell’abbattimento dell’inquinamento globale. La pressione popolare all’interno del Paese ha portato comunque a una parziale riduzione dell’inquinamento nelle città cinesi. La speranza è che questa pressione sul governo continui e porti a un equilibrio tra le scelte di crescita economica e l’imperativo di ridurre le emissioni proteggendo l’ambiente.

L’EUROPA RALLENTA L’IMPEGNO AMBIENTALE A CAUSA DELLA GUERRA

Storicamente l’Europa della UE è stata leader nelle questioni ambientali, promuovendo iniziative globali come il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi. L’UE ha varato al suo interno alcune regolamentazioni ambientali, come il Regolamento REACH per le sostanze chimiche, la Direttiva Quadro sulle Acque, e la Direttiva sulle Emissioni Industriali. Tuttavia le recenti crisi economiche e geopolitiche, dalla guerra in Ucraina a quella in medio Oriente hanno rallentato i progressi raggiunti. Paesi una volta all’avanguardia dell’ambientalismo, come Svezia e Finlandia, hanno visto una regressione nelle loro politiche ambientali sotto nuovi governi di destra. In Svezia, il finanziamento per le misure climatiche è stato ridotto e le tasse sulla benzina abbassate. La Finlandia ha sospeso molti progetti e non ha preso misure sufficienti per proteggere le foreste antiche dal disboscamento. La Francia ha riaffermato il suo impegno verso l’energia nucleare sollevando molte critiche sulla sicurezza. La Germania ha riaperto alcune centrali a carbone per affrontare la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina.

Anche il Regno Unito, che non fa più parte dell’Unione, durante il governo di Rishi Sunak ha invertito alcune politiche favorevoli al clima, pianificando un’espansione della produzione di petrolio e gas nel Mare del Nord. Molte città europee continuano a registrare livelli pericolosi di inquinamento atmosferico, causato principalmente dal traffico automobilistico privato e dalle industrie. L’inquinamento delle acque, dovuto a rifiuti industriali e agricoli, resta un problema in molte aree e la deforestazione e la perdita di habitat minacciano la biodiversità europea. L’Unione Europea ha lanciato il Green Deal Europeo, un insieme di politiche volte a rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050, ma gli ultimi anni hanno reso improbabile il raggiungimento dell’obiettivo.

I PASSI INDIETRO DELL’ITALIA SULLA TRANSIZIONE ENERGETICA

Nonostante alcuni progressi, l’Italia lotta con alti livelli di emissioni di gas serra, in parte a causa della sua dipendenza dai combustibili fossili. Specialmente nelle grandi città, come Milano e Roma, l’inquinamento resta un problema serio. Traffico, industrie e centrali energetiche alzano i livelli di particolato e altri inquinanti atmosferici, con impatti negativi sulla salute pubblica. Gli ambientalisti accusano il governo Meloni di aver fatto retromarcia sugli impegni presi dal governo Draghi. Nel mirino i fondi per la transizione a un’economia verde, utilizzati per fare dell’Italia un hub del gas naturale. Critiche anche alla mancata valutazione ambientale per il progetto relativo al Ponte sullo Stretto di Messina. Resta alta la vulnerabilità a rischi idrogeologici, come frane e alluvioni, aggravate da una cattiva gestione del territorio.

Il PNRR ha reso possibili investimenti significativi in progetti sostenibili, con l’obiettivo di ridurre le emissioni e migliorare l’infrastruttura ambientale. I reati ambientali e la corruzione legata ad attività con impatto ambientale rimangono un problema serio, soprattutto al Sud. Come le carenze nella gestione dei rifiuti, specialmente al Centro e al Sud, che mortificano anche Roma, la capitale. La presenza di discariche illegali e il ritardo nel raggiungere gli obiettivi di riciclo aggravano la situazione.

DALLE PAROLE ALLE PROMESSE NON MANTENUTE: IL GREENWASHING

Il fenomeno del greenwashing, ovvero la pratica di aziende e governi di presentarsi come più ecologici di quanto non siano realmente, è diffuso sia in Cina, che negli Usa che in Europa. La Cina ha lanciato l’Emissions Trading Scheme, un sistema di scambio delle emissioni, che si è dimostrato inefficace e ha sollevato dubbi anche sulla trasparenza dei dati forniti alla comunità internazionale. Ci sono poi molti progetti legati alla Belt and Road Initiative, una strategia di sviluppo infrastrutturale globale adottata per investire in oltre 150 paesi, presentati come “green”, che, in particolare in Africa, dove la presenza cinese è massiccia, hanno comportato danni ambientali e non hanno ridotto le emissioni. Negli Usa invece grandi compagnie come ExxonMobil e Chevron hanno lanciato campagne pubblicitarie sull’ambiente che esaltano le loro iniziative “verdi”, ma continuano a investire massicciamente nell’estrazione di combustibili fossili. Molte aziende americane pubblicizzano prodotti come eco-friendly senza cambiamenti significativi.

Anche in Europa si verifica il fenomeno. Molte nazioni hanno stabilito obiettivi ambiziosi per la decarbonizzazione, ma in alcuni casi le misure concrete per raggiungerli sono state insufficienti o ritardate. A loro parziale discolpa, sono state colte di sorpresa dall’invasione russa dell’Ucraina e costrette a rivedere il loro approvvigionamento energetico. Nonostante l’impegno per le energie rinnovabili, alcuni paesi europei hanno aumentato l’uso del gas naturale, presentato come un “ponte” verso un futuro a basse emissioni, ma che contribuisce comunque alle emissioni di gas serra. Senza dimenticare alcuni scandali come il “Dieselgate”, della Volkswagen, con la promozione di veicoli a basse emissioni mentre venivano manipolati i test sugli effetti inquinanti. Marchi di moda hanno lanciato linee di abbigliamento “sostenibile” senza modificare le pratiche di produzione o affrontare le condizioni di lavoro nelle fabbriche e nei processi di produzione o senza certificazioni ambientali credibili. Alcune linee delle case di moda, come H&M Conscious, ad esempio, sono state criticate da Greenpeace per l’uso di etichette che possono confondere i consumatori. Anche Zara, altra importante fashion company, è stata accusata di non essere trasparente sulla presunta sostenibilità ecologica dei suoi prodotti e così è stato per Primark e Mango in Uk e per la campagna “Move to Zero” di Nike.

AMBIENTE, COSA DICONO GLI STUDI PIÙ RECENTI NEGLI USA

Con molta attenzione e senza alcun altro scopo che informare i lettori senza fare terrorismo psicologico, abbiamo raccolto i dati meno controversi sui reali e più imminenti pericoli che corre il pianeta. Le ultime ricerche, tra cui il rapporto IPCC del 2023, evidenziano i gravi impatti del cambiamento climatico e prevedono un peggioramento delle condizioni se le emissioni di gas serra non verranno ridotte in modo significativo. Si prevede che la temperatura globale aumenterà di 1,5 °C tra il 2021 e il 2040. Il World Resources Institute ci dice che in scenari ad alte emissioni ciò potrebbe portare a un aumento della temperatura tra 3,3°C e 5,7°C entro il 2100. I livelli del mare stanno aumentando a causa dell’espansione termica e dello scioglimento delle calotte glaciali, con proiezioni che indicano un aumento fino a 1,1 metri entro la fine del secolo. Secondo lo studio del World Economic Forum, supportato da una ulteriore ricerca della Nasa, questo aumento minaccia di sommergere le città costiere e di aggravare le inondazioni, soprattutto durante gli eventi meteorologici estremi.

La Nasa in particolare ha calcolato che numerose grandi città presentano grossi rischi per l’innalzamento del mare. Manila, Bangkok, Ho Chi Minh City e Chennai in Asia, ma soprattutto Giacarta, che si prevede sommersa dalle acque e inabitabile entro il 2050. Negli Usa sono a rischio New York e diverse città in Florida. In Italia sono a rischio inondazione Venezia e Napoli. Oltre all’innalzamento del livello del mare, l’aumento delle temperature sta contribuendo alla desertificazione e a condizioni invivibili in molte parti del mondo. Regioni come il Sahel in Africa e parti del Medio Oriente e del Nord Africa stanno sperimentando una desertificazione intensificata, riducendo i terreni coltivabili e minacciando la sicurezza alimentare. Fenomeni che sono alla base della fuga di esseri umani e dell’immigrazione in paesi abitabili. Anche la Pianura Padana in Italia sta sperimentando condizioni di siccità crescenti, con un impatto letale sull’agricoltura e sull’approvvigionamento idrico.

Una breve spiegazione merita invece la temperatura del “bulbo umido”, un valore soglia per il corpo umano, combinazione di calore e umidità tra i 31°C al 100% di umidità e i 43°C al 60% di umidità, che entro il 2070, ci dicono la Nasa e il World Resources Institute, renderà impossibile la vita all’aperto in alcune aree dell’Asia meridionale e del Medio Oriente, con possibile desertificazione di aree anche in Spagna, Italia e Grecia. In questi anni l’unico movimento internazionale che ha trovato eco in Italia è stato quello ambientalista. In tutto il mondo cresce soprattutto tra i giovani la coscienza che soltanto un intervento di cooperazione mondiale possa ridurre i danni. Alcune volte questa istanza è stata posta in forme discutibili. Ma l’urgenza c’è e non vederla sarebbe criminale.


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