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Pechino, 28 lug. (askanews) – Un Piano d’azione triennale per rilanciare la cooperazione tra Italia e Cina dopo il ‘gelo’ tra Roma e Pechino per l’uscita dell’Italia dal Memorandum sulla Via della Seta. E’ quello firmato oggi dai governi italiano e cinese al termine dell’incontro tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il primo ministro cinese Li Qianq.

Al centro del colloquio nella Grande Sala del Popolo i rapporti bilaterali tra i due Paesi, che vedono un interscambio commerciale di 66,8 miliardi, con Pechino che è il secondo partner commerciale extra-Ue dopo gli Usa. La decisione del governo Meloni di non rinnovare l’accordo sulla ‘Road and Belt initiative’ siglato da Giuseppe Conte nel 2019 aveva però ‘irritato’ Pechino e non a caso oggi Li Qiang, parlando all’apertura del business forum alla presenza di circa 100 aziende, ha tenuto a richiamare “lo spirito della Via della Seta” che avrebbe assicurato “pace, cooperazione e inclusività”.

Era dunque necessario riannodare i fili del dialogo e ricucire la ferita e il Piano d’Azione va in questa direzione, individuando sei ambiti di cooperazione: dai prodotti agricoli e alimentari alle indicazioni geografiche, dall’istruzione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile fino all’industria, compreso il settore strategico delle auto elettriche (particolarmente rilevante anche alla luce dell’intesa di Stellantis con Leapmotor).

Aprendo il business forum Meloni ha sottolineato l’importanza di “coltivare” i rapporti, in particolare nell’attuale “complessa situazione internazionale”, con la guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, le tensioni nel Mar Rosso e l’instabilità in Africa. Tutte “crisi che si ripercuotono sulla sicurezza e l’integrazione economica globale, rimettendo in discussione l’ordine internazionale basato sulle regole” e creando un “rischio oggettivo” per la sicurezza economica. In questo contesto si inserisce anche l’impatto di “tecnologie dirompenti” come l’Intelligenza artificiale, con “rischi di polarizzazione e di ulteriore verticalizzazione della ricchezza” che non devono essere “ignorati”.

Se l’Italia è “desiderosa di cooperare”, Meloni ha però più volte sottolineato nel suo intervento la necessità di creare un rapporto equilibrato e “leale”. Quindi i partner devono “giocare secondo le regole” perché le aziende possano competere sui mercati internazionali “in condizioni di parità”: “Se vogliamo un mercato libero, quel mercato deve essere anche equo”, “trasparente” e “reciprocamente vantaggioso” – ha rimarcato – anche con una migliore “tutela della proprietà intellettuale”. Un equilibrio che deve anche riguardare gli “strumenti di difesa economica” come i dazi, che devono rispettare un principio di “proporzionalità” senza produrre una “compressione” della “libertà economica e commerciale”, principio che è “il tratto distintivo di una democrazia e di una società aperta come l’Italia”.

Tra i problemi evidenziati da Meloni nei rapporti con la Cina, c’è il “forte squilibrio” nella bilancia dei pagamenti, con un “importante deficit per l’Italia”, che deve vedere un “progressivo bilanciamento”. Un riequilibrio che deve riguardare anche gli investimenti, dato che quelli cinesi in Italia sono oggi circa un terzo di quelli italiani in Cina. A questo proposito, Meloni ha sottolineato la piena disponibilità dell’Italia ad accogliere investimenti, a patto che siano “buoni”, cioè quelli da cui “possiamo trarre beneficio in termini di incremento della produttività e del valore aggiunto” e che creino “occupazione e ricchezza”. L’Italia, ha assicurato, è oggi “competitiva e attraente”, “un’economia solida” con “un’importante stabilità politica”, fatto – ha rivendicato – “da noi abbastanza raro, ma non secondario”, perché è “una garanzia per chi investe e per chi riceve l’investimento”.

Domani alle 17 (le 11 in Italia) ci sarà il momento più importante della missione di Meloni, l’incontro con il presidente Xi Jinping. Al centro non solo i rapporti bilaterali, ma anche i dossier di politica internazionale, a partire dall’Ucraina. Un tema particolarmente rilevante e ‘scivoloso’, dopo l’accusa rivolta poche settimane fa dalla Nato a Pechino di sostenere, anche con forniture militari, la Russia.

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