Aula tribunale
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L’inchiesta di Roma e il business dei carburanti, i Mancuso fruivano della collaborazione di imprenditori di fiducia, l’intromissione dei camorristi indusse i referenti della cosca a correre ai ripari.
VIBO VALENTIA – Il business dei carburanti fa gola anche alle consorterie mafiose. Nel Vibonese lo si è capito con l’inchiesta “Petrolmafie” che ha visto l’interesse del clan Mancuso di Limbadi. E lo stesso sodalizio ha ampliato i suoi orizzonti arrivando fino alla Capitale – come ci riporta l’inchiesta della Dia di Roma – costola della più nota “Assedio” che ha interessato il territorio di Aprilia – solo che, al contrario che in provincia di Vibo, la torta andava spartita con organizzazioni camorristiche, di cosa nostra e con la criminalità romana, con il rischio di intromissione di una (o più d’una) di queste nel redditizio business.
I MANCUSO E IL DISTURBO DEI CAMORRISTI NEL BUSINESS DEI CARBURANTI
Come avvenuto per quella camorristica dei Formicola che avrebbe tentato in più occasioni di subentrare ai Mancuso. È qui che Roberto Macori – uno dei personaggi chiave dell’indagine – evidenziava che il problema più urgente da risolvere è questo ventilando l’intervento del clan di Limbadi su quest’ultimo. Brigandì esponeva che il passo successivo fosse risolvere il malcontento che stava serpeggiando tra le fila del suo sodalizio, ancora in attesa di risposte certe da Piero Monti e per poter fare questo, ed anche per decidere le eventuali azioni da contrapporre ai Formicola, rilevava la necessità di ottenere riscontri dall’imprenditore.
A quel punto Macori lo incalzava perché lo mettesse sotto pressione, pretendendo risposte chiare che avrebbero messo al riparo l’investimento della famiglia Mancuso “…a Pie’… io ti ho dato quei soldi… i parenti miei non so io… gli devi dà qualcosa…fallo però…”; e oltre a ribadire che nonostante Monti si presenti come titolare effettivo, sottolineava che il ruolo dei Mancuso nell’azienda è noto nell’ambiente “…è il tuo… tutta Italia viene da me a dirmi: mi fari parlare con Antonio…(,)… per fare le macchine?”.
Di fronte alle difficoltà di Monti – arrestato da circa 4 mesi – , la cosca di Limbadi avrebbe finito per acquisire il completo controllo delle operazioni tra il 31 luglio 2019 ed il 2 agosto 2019, attraverso Andrea Betrò, il quale sarebbe dunque diventato titolare della maggioranza delle quote della “Mediolanum Holding Spa” inserendo nel Cda persone di sua fiducia.
IL NUOVO INVESTIMENTO DEL CLAN
Nel prosieguo del dialogo, mentre il Brigandì ribadisce di subire forti pressioni dalla sua cosca, emerge un secondo investimento conferito da altri esponenti dei Mancuso, il cui importo non viene precisato, ma che dovrà produrre un utile mensile pari a 50mila euro.
“La conversazione – spiega il gip – offre ulteriore conferma della presenza “fisica” nelle attività del gruppo Mediolanum della cosca Mancuso”. Brigandì racconta, riferendosi alle vicende del mese di settembre 2018, quando a Monti furono sottratti 500mila euro, di essere intervenuto personalmente e, pur non avendo autorizzato la compagna di quest’ultimo, Domitilla Strina, a riferire che la somma era dei Mancuso, per non screditare la cosca, l’ha autorizzata a riferire che la vicenda procurava un danno a lui personalmente (“…senza che gli andate a dire che i soldi sono della famiglia di giù…e i soldi non sono della famiglia di giù, sennò passa pure che ci avevano fatto i soldi a noi…! (,)… passa che noi siamo i coglioni… (,)…no, non gli dite che i soldi sono di giù gli ho detto io …perché i soldi non sono di giù… ditegli che ci sono io qua che è un altro discorso”).
SOLDI DEI MANCUSO NELL’ECONOMIA LEGALE
Chiaramente, l’obiettivo di Macori, Monti, Brigandì e compagni era quello di far entrare il cash del clan nell’economia legale per evitare i rischi di accertamento legati alla tracciabilità dei flussi. E così il progetto di Macori è stato quello di perseguire un protocollo consolidato, al quale si era già attenuto in passato per trasformare i soldi da illeciti a leciti, fruendo della collaborazione di imprenditori compiacenti (“… ovvio che… pure a noi se ci chiedi una piotta… legale non è.. però te la diamo a te diventa legale…”).
Con tale strategia, in sostanza, e “grazie alla compiacenza di Monti i soldi dei Mancuso sono entrati nell’economia “sana” pronti per essere riciclati”, rileva ancora il gip evidenziando che dalle indagini è anche emerso che Monti si era impegnato a riconoscere mensilmente al clan Mancuso la somma di 100.000 euro come “guadagno” rispetto all’investimento iniziale, oltre alla piena partecipazione di Brigandì alla fase costitutiva della Mediolanum Holding Spa accanto all’imprenditore.
I MANCUSO NEL BUSINESS DEI CARBURANTI
E per implementare le operazioni commerciali in favore di Brigandì, Monti e Macori decidono di utilizzare la Cft Srl e i 100mila euro che sulla stessa sono stati accreditati dai Mancuso, essendosi poi Brigandì dichiarato disponibile a trasferire in modo tracciato ulteriori 150mila euro.
La cifra a giudizio di Monti è appena sufficiente (“… tutti i giorni mi devi pagare 130 mila euro per me … tu sai che hai 250 mila euro sul conto vuol dire che 2 giorni li hai coperti … quindi anche se il giorno dopo… il giorno stesso ti fa il bonifico tu sai che il giorno dopo sei coperto e magari ti arriva il giorno dopo il bonifico… hai capito? Ecco perché dico che una base serve omissis… tu puoi avere 10 milioni di euro, vai in banca e che gli dici? Ti verso i soldi? Io un po’ con i distributori ce li sto mettendo dentro qualcosa capito?”).
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