Christian Ferlaino
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 Com’è cominciata questa storia?
- 2 E cosa è successo?
- 3 Quindi quella volta suona la zampogna o no?
- 4 Aveva ragione lui.
- 5 Quali sono gli elementi strutturali della musica tradizionale?
- 6 Poi il dottorato finisce.
- 7 Altri oggetti della tradizione?
- 8 Alla fine ce l’ha fatta.
- 9 Lei è anche coordinatore scientifico del Festival “Felici & Conflenti, in programma dal 23 al 27 luglio nel Reventino. La parola “felici” è promettente.
Christian Ferlaino, il musicista che ha girato l’Europa a tempo di jazz per poi tornare in Calabria dove ha deciso di rimanere
«Facevo jazz, musica contemporanea, suonavo il sassofono a Bologna, e nella mia Nocera Terinese apprendevo dagli anziani l’arte della zampogna. Mondi che volevo tenere separati». Poi Christian Ferlaino ha fatto dei giri immensi: il Dams più cinque anni di Conservatorio, Olanda, Scozia, Germania, fino a tornare al punto di partenza, anzi di nascita. Con una Borsa Ue di prestigio, la “Marie Curie” e un progetto che si chiama LoMus, dove per incanto il mondo delle tradizioni e quello della sperimentazione si incontrano.
Com’è cominciata questa storia?
«Sono dell’81, prendo la maturità ad Amantea poi via, verso l’ Emilia, in una città al centro della scena, presto dentro band abbastanza conosciute. Schematizzando: musica degli altri per campare, con i gruppi più creativi per vivere. Suonavo e studiavo. Tesi di laurea sulla musica da ballo di Conflenti. A proposito: etnomusicologia meriterebbe un’attenzione maggiore nelle Università calabresi, vista la ricchezza del panorama. Poi i 3+2 in jazz al Conservatorio: ne esco frustrato, non riesco a sviluppare nessuno dei miei interessi. Nello stesso panorama dei Festival poco spazio per gruppi come Comanda Barabba o EL, con i quali collaboravo. Per cui saluto i miei amici che si dirigevano verso Berlino e punto su Amsterdam, un posto dove non conosco nessuno, con un imperativo: suonare solo la musica che mi piace».
E cosa è successo?
«Approdo sentimentale al Bimhuis, il tempio del jazz olandese. Al ristorante lavo anche i piatti, ma in compenso ogni tanto salgo sul palco, e mi godo gratis tutti i concerti. Un posto internazionale, con musicisti brasiliani e argentini, presi per la gola con i famosi pacchi che arrivano dalla Calabria, la convivialità che accende la musica e viceversa. Nasce una orchestra indipendente, tante volte mi chiedono: vieni a suonare la zampogna? Che è un strumento speciale. L’accordatura è una parte del rito, dello spettacolo, può passare anche mezz’ora. La stessa composizione è un viaggio da una armonia disordinata a una razionalizzata».
Quindi quella volta suona la zampogna o no?
«Ho sempre la paura di snaturarla, di autocolonizzarla, di portarla a contatto con ambienti troppo duri, troppo moderni. Ma alla fine mi chiedono di fare una presentazione al Conservatorio, e un professore mi dice: perché ce l’hai tenuta nascosta?».
Aveva ragione lui.
«Ho pensato che fosse arrivato il momento di valorizzare queste conoscenze. Scrivo un progetto di ricerca per un dottorato: “Composizione di musica contemporanea ispirata da elementi strutturali della musica tradizionale calabrese”. L’università di Edimburgo lo approva senza correzioni».
Quali sono gli elementi strutturali della musica tradizionale?
«La ripetizione, la micro-variazione. Ed è importante come si ascolta, in quale contesto».
Poi il dottorato finisce.
«Vado a Berlino, conosco Sophie che diventerà mia moglie: direttrice di un coro, viene da una famiglia di musicisti classici, abbiamo due figli. Continuo a lavorare nel mondo della ricerca e della scrittura fino a vincere per il post-dottorato la “Curie”, che è un progetto in mobilità, transnazionale. Insomma bisogna viaggiare, e nel mio caso, tornare. E soprattutto sperimentare, fare innovazione musicale. Per esempio “All’erva radicchia” è una composizione per campane di capra che ho presentato ad alcuni Festival di Musica contemporanea. Anche i non-strumenti, gli oggetti sonori della tradizione producono note, e possono essere utilizzati anche da non musicisti».
Altri oggetti della tradizione?
«Giocattoli sonori, richiami di caccia, troccole».
Alla fine ce l’ha fatta.
«Questa ricerca mi ha fatto tornare, anche la mia famiglia vuol restare in Calabria. La musica è una nobile forma di arte e partecipazione, il progetto LoMus ha base al dipartimento studi umanistici dell’Unical. Fra l’altro, rappresenterò “All’erva radicchia” il 7 agosto a Lamezia, al Mulino delle Fate».
Lei è anche coordinatore scientifico del Festival “Felici & Conflenti, in programma dal 23 al 27 luglio nel Reventino. La parola “felici” è promettente.
«È una grandissima festa, piena di momenti magici. Ci sono laboratori, incontri, ricerche sul campo, concerti. È alla sua decima edizione, la mia è la numero 8. Sono contento perché durante le mie ricerche capitava di ascoltare i più esperti musicisti del paese: si lamentavano dell’assenza di ricambio generazionale, con i bambini che si vergognavano di suonare l’organetto, la zampogna, la chitarra. Strumenti che hanno sempre accompagnato i pellegrinaggi alla Madonna di Conflenti, e così sarà ancora. Chi viene a suonare con noi?».
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