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BOLOGNA – Lo speciale di Massimo Giletti sulla strage di Ustica (ieri sera su RaiTre) apre forse davvero una breccia nel “muro di gomma” di cui parlò Andrea Purgatori. Di sicuro porta elementi importanti a spiegare cosa accadde la sera del 27 giugno 1980 quando il Dc9 Itavia Bologna-Palermo cadde nel mar Tirreno con 81 persone a bordo. Purtroppo nessuno si salvò.

Nella serata, vissuta per molti tratti sullo scontro duro ed emozionante tra i parenti delle vittime e il generale dell’aeronautica Leonardo Tricarico che continua a sostenere la tesi (del tutto superata) di una bomba a bordo, sono emersi fatti nuovi e importanti come la testimonianza dell’ex agente segreto maresciallo Giuseppe Dioguardi e come il racconto dell’addetto militare dell’ambasciata francese a Roma intervistato (a volto coperto) da Giletti.

Entrambi hanno dato una spinta decisa in direzione della tesi (rivelata l’anno scorso da Giuliano Amato) secondo la quale, quella sera, nel cielo di Ustica ci fu una caccia all’uomo, un inseguimento ad opera di due Mirage francesi (e, forse, di un Tomcat Usa) che volavano a folle velocità dietro un Mig libico sul quale, secondo informazioni sbagliate, doveva esserci Muammar Gheddafi. I francesi cercarono probabilmente di colpire il Mig con i loro missili, ma presero (in pieno o di striscio) il Dc9 che precipitò in mare con il suo carico di innocenti. Il Mig libico, probabilmente andò a schiantarsi sui monti della Sila calabrese.

USTICA, LA BRECCIA NEL MURO DI GOMMA

Lo speciale di Giletti inizia con l’inquadratura, in primo piano, di un casco da pilota di aereo militare statunitense. “C’entrerà o non c’entrerà con la strage di Ustica? Lo vedremo nel prosieguo del programma” dice il popolare conduttore e giornalista televisivo, avvicinandosi all’oggetto e girandoselo tra le mani. Il casco è rimasto sulla colonnina dove era sistemato, per quasi tutto il programma.

Il casco è stato segnalato a Giletti dal nostro giornalista Paolo Orofino, che, nel 2005, lavorava spesso da Amantea, cittadina del Basso Tirreno cosentino. Un uomo del posto che per hobby faceva il pescatore ha mostrato l’oggetto al cronista. L’uomo di Amantea, poi prematuramente scomparso nel 2011, parlando con Orofino, già al primo incontro col giornalista, aveva collegato quel casco alla tragedia di Ustica, sostenendo di averlo trovato nel luglio del 1980, nei pressi della battigia del mare che lambisce il tratto di spiaggia a nord di Coreca, rinomata località turistica amanteana.

Versione confermata in trasmissione dalla vedova del pescatore. Intervistata di spalle dall’inviata di Giletti, proprio lungo la spiaggia del rinvenimento dell’oggetto, ha ribadito il ritrovamento di quel casco “nel luglio del 1980”. Vale a dire, pochi giorni dopo la strage di Ustica. Amantea geograficamente è molto vicina a Ustica e si trova proprio ai piedi della Sila. Se un aereo esplode sopra l’isoletta siciliana è probabile che qualcosa possa arrivare sui lidi tirrenici calabresi.

IL RACCONTO DEI CONIUGI DI AMANTEA E LE TESTIMONIANZE A SOSTEGNO

La data riferita dai coniugi amanteani (luglio 1980) è stata avvalorata pure dalla testimonianza di un albergatore del luogo, che vide il casco il giorno del ritrovamento. Glielo mostrò l’amico pescatore, al ritorno a terra dopo la battuta di pesca. Il casco, nel suo interno, riporta una matricola e un nome, abraso, ma decifrabile. E attraverso questi dati, l’anchormen da poco rientrato in Rai, è riuscito a risalire a un incidente aereo militare nel mar Tirreno, avvenuto nel 1981 quando un Viking S3 della portaerei Nimitz cadde in mare con quattro uomini a bordo.

Le tre testimonianze, quindi, non collimano con la data dell’incidente a cui è risalito Giletti. Ricordano male tutti e tre i testimoni? Non sembra possibile perché la famiglia del pescatore ha fornito tutta una serie di elementi a favore dell’ipotesi del ritrovamento del casco ai primi di luglio, quasi certamente del 1980. Ma c’è un altro indizio da valutare, ovvero le condizioni molto buone del casco ritrovato, il che lascia suppore che l’oggetto non sia stato per lungo tempo in mare, soggetto quindi alla corrosione dell’acqua salata e ai marosi.

L’INCIDENTE AEREO DEL 1981 E IL LEGAME CON IL CASCO

L’incidente aereo a cui ha fatto cenno il giornalista televisivo sarebbe capitato nel novembre del 1981. Ammettendo, quindi, un errore di memoria dei tre testimoni, il casco ritrovamento del casco risalirebbe a luglio del 1982 o, magari, del 1983. Ciò significherebbe, però, che il casco sarebbe rimasto in acqua, quantomeno 8 mesi, 8 lunghi mesi. Ecco, guardando il casco da vicino, non pare proprio che sia rimasto un tempo così lungo in mare.

Ma, come si diceva, Giletti, ha portato altre due importanti testimonianze. La prima è quella dell’ex agente segreto Giuseppe Dioguardi che, intorno al 1985, venne mandato (come corriere) a portare all’allora ministro della Difesa, Giovanni Spadolini, una lettera riservata. Dioguardi, armato e scortato, si recò a Firenze a casa di Spadolini e gli consegnò la lettera. Spadolini l’aprì, lesse il contenuto e s’infuriò. Poi quasi costrinse il giovane corriere a leggerla. Dioguardi ha raccontato a Giletti che nella lettera (un documento del Sismi strettamente collegato alla vicenda di Ustica) si parlava di due Mirage francesi e un Tomcat americano all’inseguimento di un Mig libico. E Dioguardi ha anche raccontato con grande amarezza come l’aeronautica militare abbia fatto di tutto per insabbiare la storia di Ustica. Lo stesso nome dell’isola della tragedia non andava più scritto né nominato e sostituito dalla dicitura: “il noto episodio”.

IL CASO USTICA, IL MURO DI GOMMA E LA TESTIMONIANZA DELL’ADDETTO MILITARE DELL’AMBASCIATA FRANCESE

Importante, si diceva, anche la testimonianza dell’ex addetto militare dell’ambasciata francese a Roma. Ripreso a volto oscurato in una casetta in campagna (forse in Corsica) l’uomo ha raccontato di come si sia trovato a mentire alle autorità italiane. Era l’estate del 1990, dieci anni dopo la strage di Ustica. La Commissione stragi del Parlamento italiano chiese all’ambasciata francese in Italia, tutti i dati e i tracciati radar della base francese di Solenzana in Corsica relativi alla sera del 28 giugno.

Oggi, 34 anni dopo, l’uomo ha raccontato a Giletti di aver mentito rispondendo che il radar, quella sera era spento perché la base era ferma e funzionava solo di giorno. Quindi, non c’era nessuna documentazione. L’anziano francese ha detto di aver ricevuto indicazioni in questo senso dallo Stato maggiore dell’aviazione francese. Che Solenzana fosse chiusa di sera, venne recisamente smentito dal famoso generale dei carabinieri Nicolò Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa nella battaglia contro le Br e la mafia. Bozzo, in quei giorni, si trovava in vacanza in Corsica vicinissimo a Solenzana e ha raccontato che la base funzionava a pieno regime di giorno e di notte ed era difficile dormire a causa del rumore dei Mirage che decollavano e atterravano in continuazione.

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