Giorgia Meloni
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Sulle nomine Ue, Meloni al bivio: restare nel “club” e rompere con i suoi o stare fuori condannandosi all’irrilevanza
La difficile “quindicina” per Giorgia Meloni. Entro la fine del mese governo e premier dovranno fronteggiare varie questioni, e quasi mai saranno loro a dare le carte.
La prima: oggi Bruxelles notificherà a palazzo Chigi la procedura d’infrazione per eccesso di deficit. La seconda: proseguono le trattative per le nomine europee rispetto alle quali Meloni dovrà decidere entro il 27-28 giugno se stare dentro, spaccando i Conservatori ma assicurandosi una nomina di peso, oppure stare fuori, coerente con il suo gruppo, rischiando però l’irrilevanza.
La terza, la più facile da risolvere ma forse la più grave: la premier deve condannare i “giovani fascisti nostalgici” raccontati dall’inchiesta di Fanpage (che hanno così tanto impressionato a Bruxelles) e Giuseppe Marasco, neo eletto consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Manfredonia che, riunito nel comitato elettorale, ha parlato di «abitudine ai forni crematori».
LE INTESE EUROPEE
La decisione sui top jobs europei – la governance della nuova Europa così come è uscita dal voto del 6-9 giugno – è solamente in parte rinviata al Consiglio europeo del 27-28 giugno. Quella di lunedì sera all’Europa building di rue de la Loi a Bruxelles è stata una cena informale dove in realtà non si poteva decidere nulla in via definitiva. Bene quindi ha fatto il padrone di casa uscente, Charles Michel, a scendere nell’atrio dove lavorano i giornalisti e dichiarare quasi all’una del mattino.
«Quella di stasera – ha detto Michel – è stata una buona occasione per scambiarsi opinioni e preparare il Consiglio europeo della prossima settimana a Bruxelles. La conversazione va nella giusta direzione, non c’è alcun accordo stanotte ma è nostro dovere prendere una decisione entro la prossima settimana quando ci sarà il Consiglio europeo».
Nessuno, in realtà, pensava che la cena di Bruxelles potesse dare subito risultati certi. Scremando racconti, retroscena, dichiarazioni, possiamo dire che i “vincitori” – Popolari, Socialisti e Liberali, con 406 seggi su 720, dunque una larga maggioranza – hanno messo sul tavolo una “quadriglia”, pacchetto di nomine che vede von der Leyen (Popolari) confermata per il bis; il portoghese e socialista Costa al Consiglio europeo; Roberta Metsola (Popolari) confermata per almeno due anni e mezzo alla guida dell’Europarlamento; la liberale estone Kaja Kallas al “ministero degli Esteri” a cui in genere si abbina una vicepresidenza. Ci sono dubbi su Costa e Kallas. Sugli altri no.
GIOCHI FATTI, GIORGIA MELONI AL BIVIO SULLE NOMINE UE
Giorgia Meloni, che i giornali di destra ieri raccontavano come «la vittima di veti incrociati che non tengono conto del fatto che ha vinto», è arrivata lunedì a Bruxelles trovando quello che aveva provato a esorcizzare, facendo intendere che è lei l’unico leader forte tra tante anatre zoppe. A Bruxelles Meloni ha trovato due “tavoli” già apparecchiati. In entrambi, in realtà, c’è un posto a lei riservato. La prima tavola, la più “scomoda”, è quella dei vincitori, coloro che hanno già la maggioranza.
«Non capisco perché dovrei interpellare Meloni, visto che abbiano già la maggioranza, non abbiano bisogno di lei, se però si volesse aggregare…» ha chiarito il premier polacco Tusk, che è anche lo sherpa per i Popolari. A questa tavola siede anche Sholz, che relega Meloni senza se e senza ma «all’estrema destra».
L’ingaggio per questo tavolo è chiaro: appoggiare il bis di Ursula, lasciando però al proprio destino Orbán, Vox e tutti gli altri che stanno in Id avendo in cambio quella casella nel governo europeo di cui Meloni ha bisogno come dell’aria.
Il secondo tavolo è quello delle destre. E’ stato Orbán ad aprire la caccia con un tweet notturno: «La volontà dei cittadini europei è stata ignorata oggi a Bruxelles, i giochi sono già fatti, ignorando però le destre che hanno vinto».
Da qui l’appello del leader ungherese, uscito ridimensionato nelle urne, all’unità di tutte le destre. Un blocco unico, Conservatori e Id, a dare battaglia dall’opposizione. Un’opzione che Meloni non può accettare. Per lei vorrebbe dire tornare indietro di anni. Buttare lo standing della statista conquistato sul campo in questi anni. Ecco perché, più che arrabbiata, la premier ha lasciato Bruxelles nella notte per non dover parlare con nessuno.
DEFICIT E RIFORME
Meloni dovrà quindi accettare il compromesso. «Per dare alla nazione ciò che merita e che le spetta» ha detto sabato nella conferenza stampa di fine G7. Per avere quel Commissario che le levi qualche castagna dal fuoco. Per esempio, sul bilancio e sui conti pubblici. Oggi Bruxelles ci dirà che a settembre servirà una manovra correttiva (almeno 14 miliardi) per cui non potremo fare deficit. Dove prendiamo quei soldi? In Parlamento, intanto, i gruppi di maggioranza corrono sui provvedimenti bandiera. Entro stasera alla Camera diventerà legge l’Autonomia differenziata (seconda lettura, nessuna modifica). Ieri pomeriggio il premierato ha concluso il suo primo passaggio parlamentare su quattro previsti. Diversivi rispetto a un’Europa che ci guarda con fare severo. E anche un po’ diffidente.
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