Il presidente francesce Macron insieme al cancelliere tedesco Scholz
6 minuti per la letturaL’autonomia strategica militare dell’Europa, al volontarismo della Francia fa da contraltare la consueta “egemonia riluttante” della Germania
NEI momenti di difficoltà estrema, si va alla ricerca dei fondamentali: per l’Europa e per il suo processo di integrazione la congiuntura assomiglia ad un tornante decisivo, ad un punto senza ritorno e l’asse o motore Francia-Germania è senza dubbio condizione necessaria affinché l’Ue possa affrontare le attuali sfide. Allo stesso modo, se per decenni accanto a “necessaria” si poteva aggiungere “sufficiente”, oggi non ci troviamo più in questa situazione. L’asse Berlino-Parigi non può mancare, ma non riesce a determinare da solo le sorti dell’Unione. Procedendo tra storia e cronaca, è fuori di dubbio tale centralità.
Tutti i passaggi significativi dell’integrazione europea sono nati da un impulso franco-tedesco. Dalla Ceca sino alla moneta unica, passando per Schengen e i vari successivi allargamenti (da quello alle nuove democrazie mediterranee fino al grande allargamento del 2005-2007). Passando dalla storia alla cronaca, come non notare che in piena campagna elettorale per le europee e con l’Europa lacerata dalla guerra russo-ucraina e dalle nuove divisioni sulla questione mediorientale, il presidente della Francia Macron ha optato (tra il 26 e il 28 maggio scorsi) per una visita di Stato in Germania, come non accadeva dal 2000 con Jacques Chirac? Nei tre giorni spesi oltre Reno si sono susseguiti molti momenti altamente simbolici, culminati nel discorso sulle sfide europee pronunciato dall’inquilino dell’Eliseo di fronte al duomo di Dresda, ricostruito dopo i bombardamenti alleati sul finire del secondo conflitto mondiale, e nel Consiglio dei ministri congiunto presieduto dal cancelliere Scholz e dallo stesso Presidente Macron.
Se dai simboli si passa alla concretezza occorre però notare che poco o nulla è stato deciso. Ecco il primo elemento che ci aiuta a supportare l’idea di un asse indispensabile ma non sufficiente: Parigi e Berlino oggi divergono sui dossier più rilevanti per il futuro dell’Ue. Sulla possibilità che chiuso il piano post-pandemico si prosegua con la mutualizzazione del debito al via libera di Parigi corrisponde un “no” secco di Berlino. A proposito del mercato comune dei capitali, prerogativa fondamentale per integrare strategici settori industriali europei, ancora una volta Parigi trova l’opposizione oltre Reno. E cosa dire a proposito del rapporto tra Europa e Cina, dove la logica protezionistica della Francia non trova in Germania grandi sostenitori. E infine sull’ipotesi che l’Unione si doti di una sua autonomia strategica prima di tutto, ma non solo, per affrontare con un salto di qualità anche militare le sfide più urgenti, al volontarismo “verboso” di Macron fa da contraltare la consueta “egemonia riluttante” incarnata dal grigio e spento Scholz. Dunque, prima di tutto l’asse non basta più perché vi è non poca sabbia nei suoi ingranaggi. Ma in secondo luogo non è più sufficiente perché alla direttrice lungo il Reno, in un’Ue a 27, occorre aggiungerne almeno altre due. Prima di tutto quella sud, mediterranea, considerata la centralità dei flussi migratori, ma anche dei canali di approvvigionamento energetico così clamorosamente mutati dopo il 24 febbraio 2022 e sull’onda della nuova crescente destabilizzazione dell’area mediorientale. E come terza ragione perché altrettanto indispensabile, per la più volte citata guerra in Ucraina ma non solo, è l’evoluzione lungo l’asse est.
Ebbene lungo la direttrice sud è evidente quanto il nostro Paese possa svolgere un ruolo strategico, almeno quanto quello della Polonia lungo la direttrice est. Quindi a Parigi e Berlino occorre aggiungere Roma e Varsavia. Seguendo tale ragionamento e spostando il baricentro della nostra attenzione proprio sull’Italia, Roma potrebbe fornire (e il condizionale mai come in questo caso è d’obbligo) un triplice decisivo impulso. Grazie al Trattato del Quirinale e allo storico rapporto con il mondo tedesco, potrebbe lavorare per far virare l’asse Berlino-Parigi nel formato di un più equilibrato “triangolo”. Rispetto alla dimensione euro-mediterranea Roma dovrebbe, magari muovendosi lungo una direttrice asse est/ovest, coinvolgere Madrid ed Atene, mettendo a disposizione tutto il suo capitale di esperienza (e i suoi “campioni industriali nell’area, per citarne uno soltanto si pensi ad Eni) sui temi migratori, energetici e di mediazione sul conflitto arabo-israeliano. Infine, riproponendo un canovaccio già di recente sperimentato nei confronti della destabilizzante Ungheria di Orban, la presidenza del Consiglio italiana potrebbe fornire il suo sostegno politico ad un rinnovato triangolo di Weimar (Berlino-Parigi-Varsavia), considerato l’arrivo dell’affidabile Tusk alla guida del governo polacco.
Purtroppo, se dalla teoria ci si muove verso la pratica, la campagna elettorale di Giorgia Meloni non sembra cogliere tali opportunità. Al contrario nelle ultime settimane la presidente del Consiglio italiana sembra essersi infilata in un doppio vicolo cieco. Da un lato impegnando energie e investendo credibilità per riabilitare a livello europeo la leader del Rassemblement national Marine Le Pen in funzione anti-Salvini. Dall’altro investendo tutto su una soltanto teorica indispensabilità del gruppo dei Conservatori e Riformisti, come potenziale alleato dei Popolari, in una alquanto improbabile nuova maggioranza a Strasburgo. E tutto ciò pur risultando evidente ai più che la maggioranza ufficiale al Parlamento europeo non cambierà e qualora vi siano voti di deputati del gruppo ECR a sostegno del prossimo presidente della Commissione, questo accadrà solo come conseguenza dell’appoggio fornito da ogni singolo capo di Stato e di governo al presidente della Commissione dopo le riunioni al vertice del giugno prossimo. Tutto ciò tradotto significa che i parlamentari di Fratelli d’Italia saranno liberi di appoggiare un’eventuale ricandidatura di von der Leyen se la stessa Giorgia Meloni ne farà la sua candidata al prossimo Consiglio europeo.
Qualcosa di simile accadde nel 2019 con gli eletti a Strasburgo del Movimento Cinque Stelle, come conseguenza del fatto che l’allora Presidente del Consiglio Conte appoggiò la candidata von der Leyen. L’idea di porsi alla guida di una nuova maggioranza sovranista ed euroscettica a livello continentale potrà anche scaldare qualche piazza militante, ma è frutto di un mix di utopia e demagogia. E intanto l’orologio della storia corre inesorabile. Manca poco più di una settimana per correggere lo strabismo mostrato da Palazzo Chigi, il tentativo di trasporre l’accordo di governo del nostro Paese a livello continentale. E per tornare a utilizzare le concrete carte che Roma potrebbe giocarsi contribuendo contemporaneamente all’interesse nazionale e a quello europeo. Puntellare l’asse franco-tedesco (sfruttando il Trattato del Quirinale), incentivare la dimensione euro-mediterranea (che fine ha fatto il piano Mattei?), sostenere la Polonia e in generale l’atlantismo che soffia ad est, mitigando le posizioni filorusse di Orban per completare l’opera. Si sta ballando sul Titanic. A Parigi se ne sono accorti da tempo. A Berlino fingono indifferenza. E a Roma quando giungerà lo scatto di crescita?
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