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Ritorna “Che ci faccio qui” il programma di Rai 3 dove il giornalista Domenico Iannacone fa luce ancora una volta sulla Calabria


In qualche modo bisogna farsi un’idea diversa della Calabria, bisogna interrogarsi su come la retorica precipiti sulla storia, su come l’indistinto voglia prevalere sulla visione ostacolata, su come l’ottuso rinneghi la dialettica, su come la ripugnanza stupri la bellezza. E allora si muove il racconto che è un agire politico, accendere la luce su paesaggi umani che si oppongono all’ovvio, così torna “Che ci faccio qui”, di Domenico Iannacone, giovedì 30 maggio alle 21.20 e giovedì 6 giugno alle 21.20 su Rai 3, attraverso una lente d’ingrandimento sul territorio calabrese in cui la legge elementare del volto apre al non detto, ridiscute la fotografia statica di luoghi che rivelano in realtà identità sommerse, ricche di stupefacente umanità.

La prima puntata dal titolo “Ti vengo a cercare” si concentra su Bartolo Mercuri, il piccolo commerciante di mobili della Piana di Gioia Tauro, con la sua associazione “Il Cenacolo”, sempre pronto a sostenere i migranti di Rosarno. “Papà Africa”, così lo chiamano da queste parti, ci riporta nella Tendopoli di Rosarno tra le pieghe di un’umanità che soffre dentro sacche di povertà estrema. Accade, ad esempio, ad Alì, un bracciante di origini senegalesi che da anni abita in un deposito abbandonato, senza luce, né acqua, simbolo di questa schiera di invisibili. Iannacone vede in uomini come Mercuri l’impegno costante alla “grande cura che viene fatta sostanzialmente da singoli, da associazioni.

Lo Stato non lo vedo così presente soprattutto sul campo dell’immigrazione, che è un problema di natura più nazionale, è evidente e chiaro anche, che la tendopoli di San Ferdinando sta ritornando assolutamente baraccopoli la terza, quarta, quinta volta. Vuol dire che tu non hai adottato nessuna misura, se mandi le ruspe la situazione diventa estrema, non dai alcuna soluzione al problema che ti affligge. Cioè se tu vedi seicento persone che possono utilizzare un cesso solo, le sembra una cosa normale? Senza acqua. Senza docce. In questa puntata ho incontrato Alì, che è la cartina tornasole di questo problema per nulla affrontato. Ma io l’ho incontrato dieci anni fa, stava lì, in quell’insediamento industriale abbandonato dentro quella stanza.

E la cosa peggiore è che non abbiamo dato dignità, non abbiamo saputo riconoscere il ruolo anche di lavoratore, ma è anche di uomo ancora prima di lavoratore, una persona che parla un italiano fluentissimo, che legge sinonimi e contrari, ho fatto un pezzo fortemente politico, senza pietismi, senza ideologie, senza populismi, poi ogni telespettatore se ne farà un’opinione personale”.
Viene poi affrontato il tema della ’ndrangheta, piaga che ostinatamente continua a infangare un territorio così prezioso. Antonino De Masi, invece, è ciò che si contrappone al fatalismo, combattente senza tregua contro le cosche, protetto dall’esercito che fa da scudo alla sua azienda nel porto di Gioia Tauro.

Scortato da anni, insieme alla famiglia costretta a vivere al Nord in un luogo protetto, l’imprenditore calabrese sta pagando a caro prezzo la scelta di denunciare la criminalità organizzata, senza mai fare un passo indietro, senza mai cedere al ricatto. Resistere, questo è l’obiettivo. Oggi, a fianco di Antonino, c’è il figlio Giuseppe che ha deciso di tornare in Calabria per sradicare questo male spesso inconfessabile. Una scelta difficile che ha nella legalità il seme più fecondo, l’ideatore del programma insiste su come si debba intervenire su una visione che “produce effetti se non residuali. La questione meridionale parte da qui e potrebbe essere risolta con il lavoro e la legalità, comprendi che c’è un gap quasi insanabile quando vedi un’azienda che vive da più di dieci anni con l’esercito e con la sua famiglia che vive sotto scorta”.

Il lavoro, o meglio la ricerca di un lavoro, senza necessariamente partire altrove, si allontana sempre più dall’idea logorante del miraggio. Una parte del capitolo della puntata è dedicata a Gianluigi Greco, professore universitario che insegna informatica all’Unical di Cosenza, è uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale, oggi quasi oggi quasi tutti i suoi allievi trovano un lavoro presso una multinazionale giapponese che ha trasferito proprio in Calabria uno dei tre poli mondiali dell’IA.
Il conduttore del programma sottolinea che, da una parte c’è una ragione di sconforto che attanaglia questa regione, dall’altra una spinta di innovazione che è solo un primo bozzolo da cui partire: “ricordo un lavoro fatto a Berlino tempo fa dopo la caduta del muro, e vidi che il gap con la Germania dell’Est fu risanato subito grazie agli investimenti in formazione e tecnologia. Solo oggi la politica si accorge che il colosso giapponese NTT è una grande opportunità per i cittadini calabresi, anni fa contava 180 assunti, oggi ne ha in attivo 400 con un piano di occupazione intenso, volendo superare le 600 unità con una nuova sede.

Capisce che valore ha un’occasione del genere? Significa che un giovane, dopo gli studi, può rimanere qui, lavorare, e comprarsi una casa, invece di essere allevato in un’azienda del Nord a Milano, dove puoi permetterti a malapena una stanza. Qui c’è grande un grande potenziale ed è assolutamente inespresso, e di questo sono francamente avvilito, bisogna assolutamente rilanciare questo luogo attraverso intelligenza e comprensione delle capacità”. Altro squarcio di pulsioni reali è dedicato a Mammola, ai piedi dell’Aspromonte, luogo fuori dal tempo in cui l’arte è il giocatore fuori campo che segna. Qui Nik Spatari, artista sordo a causa di una mina scoppiata durante la Seconda Guerra Mondiale, parte da autodidatta, frequenta Picasso, Le Corbusier, Cocteau, insieme alla sua compagna Hiske Maas, fondò, dai ruderi di un vecchio
monastero, il Musaba: un museo laboratorio d’arte contemporanea al cui interno è custodito “Il sogno di Giacobbe”, da molti definito la
Cappella Sistina della Calabria.

Nel 2020, all’età di 91 anni, Nik è mancato. A preservare la sua opera è rimasta Hiske, che continua a rendere immortale questa bellezza. Mammola ora è un posto che inizia a splendere, prima ingiustamente osteggiato, mal visto. Iannacone torna a raccontare le storie minime, quelle che si avvicinano al concetto di verità, capace di intercettare la parte a margine di una società che si rivela preziosa per quella virtù che può essere battezzata anche come chiarezza di vita, è il quotidiano che non ha voce e chiede parola, senza clamori.


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