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Fra gli scienziati sociali essere etnocentrici è considerato un atteggiamento che va contro l’obiettività, la razionalità e la comprensione delle diversità culturali. Causa anche di conflitti immani


Se è vero che le nostre società occidentali sono diventate sempre più individualiste, è altrettanto vero che questa tendenza è sempre stata alimentata, consapevolmente o meno, da un atteggiamento di “naturale etnocentrismo”.
Ci accorgiamo oggi che i valori di comunità e di relazione con Altro sono ridotti quasi esclusivamente al rango di relazioni di convenienza, che hanno alla base uno scambio di natura economicistica, spinti come sono da una domanda di competizione che finisce con il tradire lo stesso spirito di collettività nel quale, come umani, dovremmo essere invece totalmente a nostro agio.

L’etnocentrismo, in questa prospettiva, finisce allora per essere esattamente la chiave di lettura della differenziazione artificiosa con gli altri, del distacco da chi viene vissuto come competitor ma molto più spesso come possibile sottomesso, in un tentativo di primeggiare che segue sempre e solamente regole legate al profitto. Di fatto, si tratta di una prospettiva culturale o atteggiamento in cui si tende a valutare, giudicare o percepire altre culture in base a parametri, norme e valori della propria cultura come punto di riferimento. In altre parole, chi mostra comportamenti etnocentrici tende a considerare la propria cultura superiore o più importante rispetto alle altre e a giudicare le altre culture in base a questa scala di valori.

È evidente che l’etnocentrismo conduca spesso a pregiudizi, incomprensioni e conflitti tra diverse culture, poiché le persone che lo praticano tendono a vedere le altre culture come strane, inferiori o “sbagliate” semplicemente perché differiscono dalla propria. Questo atteggiamento può ostacolare la comunicazione interculturale e la comprensione reciproca. L’etnocentrismo è un atteggiamento che è stato presente in varie forme in molte società e culture lungo la storia dell’umanità. La tendenza a considerare la propria cultura come superiore o a giudicare le altre culture in base ai propri parametri culturali è un comportamento umano che può essere riscontrato in varie epoche e contesti. Nella storia, l’etnocentrismo ha spesso contribuito a conflitti culturali, colonialismo, xenofobia e altre forme di discriminazione.

Ad esempio, durante l’epoca del colonialismo europeo, l’etnocentrismo ha svolto un ruolo significativo nell’oppressione delle culture indigene da parte dei colonizzatori. Trattandosi di un fenomeno iper-complesso, l’etnocentrismo ha alla base una serie variegata di motivazioni, a partire da quella che possiamo identificare come socializzazione culturale. L’etnocentrismo spesso inizia durante il processo di socializzazione, quando le persone imparano i valori, le norme e le credenze della propria cultura: ed è proprio questa socializzazione che può portare a una visione di sé stessi come appartenenti a una cultura superiore o “giusta”. In aggiunta, e spesso peraltro anche in collegamento, vi è spesso un problema di mancanza di esposizione culturale.

Le persone che hanno limitate esperienze o contatti con culture diverse possono essere più inclini all’etnocentrismo, poiché non hanno avuto l’opportunità di imparare e apprezzare le differenze culturali. Un ruolo importante lo gioca ovviamente anche la storia, il passato. Le dispute storiche, le guerre e i conflitti tra gruppi culturali possono a loro volta contribuire all’etnocentrismo, poiché possono portare a sentimenti di rivalità e ostilità tra le culture coinvolte. E non va dimenticato l’aspetto legato alla pressione sociale: in alcuni contesti, infatti, le persone possono sentirsi spinte a conformarsi all’etnocentrismo prevalente nella loro comunità o gruppo.

Va detto che quasi sempre, insomma, alla base di un atteggiamento etnocentrico c’è una questione di ignoranza o stereotipi: la mancanza di conoscenza accurata e informazioni precise sulle altre culture può portare a stereotipi, che a loro volta possono alimentare l’etnocentrismo. Fermo restando che purtroppo, come spesso accade in varie parti del mondo, l’atteggiamento etnocentrico diventi anche foriero di razzismo e discriminazione, manifestandosi come un pregiudizio o un atteggiamento negativo verso gruppi culturali o etnici diversi.

Attorno ad un problema così profondamente radicato nelle culture e nelle storie delle società, è evidente che si sono alzate molte voci per provare a comprenderne cause e possibili rimedi. Da sempre moltissimi studiosi – antropologi e sociologi innanzitutto – hanno affrontato vari aspetti legati al problema dell’etnocentrismo, a partire da uno dei sociologi contemporanei più influenti, Pierre Bourdieu, che ha esaminato il concetto di “capitale culturale” e messo in luce come le differenze culturali possono portare a disuguaglianze sociali, analizzando quindi come l’etnocentrismo possa essere associato alla gerarchia sociale e al potere. Fra i numerosissimi antropologi, ricordiamo certamente Franz Boas, uno degli antropologi culturali più influenti del XX secolo, che ha svolto ricerche pionieristiche sul relativismo culturale, sottolineando l’importanza di comprendere e rispettare le culture diverse senza giudicarle in base a criteri etnocentrici.

Anche Margaret Mead, antropologa culturale e una delle prime donne a guadagnarsi un riconoscimento significativo nell’ambito accademico, ha evidenziato come le norme e i valori culturali possano variare ampiamente e ha sottolineato la necessità di una prospettiva aperta verso le culture diverse, mentre Clifford Geertz è noto per il suo approccio interpretativo all’antropologia culturale. Ha studiato come i simboli culturali influenzino il comportamento umano e come la comprensione delle culture richieda un’analisi approfondita delle loro rappresentazioni simboliche.

Ma per tornare ai sociologi, va detto che William Graham Sumner, un sociologo americano del XIX secolo, è spesso considerato uno dei primi sociologi a teorizzare sull’etnocentrismo. William Graham Sumner ha contribuito in modo significativo all’evoluzione della sociologia come disciplina accademica negli Stati Uniti. Le sue idee sull’etnocentrismo e sul relativismo culturale hanno avuto un impatto duraturo sulla comprensione delle relazioni interculturali e sulle dinamiche sociali: nel suo lavoro, fra l’altro, ha esaminato come le persone giudicano altre culture in base ai propri valori culturali e ha evidenziato l’importanza di riconoscere questa tendenza. Il suo contributo sul tema è certamente rilevante: Sumner è infatti accreditato per aver coniato il termine “etnocentrismo” e per aver iniziato a sviluppare una comprensione sistematica di questo concetto.

Ha utilizzato il termine per descrivere l’atteggiamento in cui le persone giudicano altre culture in base ai propri valori culturali e considerano la propria cultura come superiore o universale. Con un approccio al relativismo culturale, Sumner ha sottolineato che ogni cultura ha i propri valori, norme e credenze, e che queste non dovrebbero essere giudicate o misurate da un punto di vista etnocentrico. Ha enfatizzato l’importanza di rispettare la diversità culturale e di evitare il pregiudizio culturale. Sumner ha anche contribuito alla teoria dell’evoluzione culturale, sostenendo che le culture si sviluppano e cambiano nel corso del tempo in risposta alle esigenze e alle sfide ambientali, e ha studiato il modo in cui le culture si adattano e si trasformano in risposta a cambiamenti sociali ed economici.

Infine, Sumner è noto per la sua teoria della competizione sociale, in cui ha analizzato le interazioni tra individui e gruppi nella società, sostenendo che la competizione sociale è una forza importante che influenza il comportamento umano e la struttura sociale. Da un punto di vista della sociologia politica, risulta evidente in ogni caso che l’etnocentrismo può avere anche ragioni politiche, in quanto le identità culturali e nazionali possono essere utilizzate come strumento di coesione sociale e di mobilitazione politica. Ciò significa che i leader politici possono utilizzare l’etnocentrismo per promuovere la propria agenda e creare un senso di unità e coesione nazionale, spingendo le persone a identificarsi con il proprio gruppo culturale o nazionale e a percepire gli altri gruppi come minacciosi o inferiori.

L’etnocentrismo può quindi essere utilizzato come mezzo per esercitare il potere e il controllo sociale, per giustificare l’oppressione di gruppi minoritari o per promuovere l’espansione territoriale o il nazionalismo. In questo contesto, l’etnocentrismo può diventare particolarmente pericoloso, poiché può alimentare conflitti tra i gruppi e portare a forme di discriminazione e violenza, diventando in qualche modo una forma di potere non legittimo, nell’accezione weberiana del termine. Alcuni studi sottolineano anche che potrebbe esserci una relazione tra la auto-percezione di inferiorità culturale e l’etnocentrismo come mezzo di difesa. In particolare, un gruppo culturale o nazionale che si sente culturalmente o politicamente subordinato a un altro gruppo potrebbe adottare una posizione etnocentrica come mezzo per difendere e proteggere la propria identità culturale e nazionale.

In questo senso, l’etnocentrismo può essere utilizzato come una sorta di “arma di difesa” per proteggere l’identità culturale e nazionale di un gruppo che si sente minacciato. Con il rischio, naturalmente, di scatenare conflitti – anche solo ideologici – con altri. Non c’è totale accordo, in ogni caso, su questo aspetto, come è giusto che sia d’altra parte, in una società che discute di aspetti così importanti. Ricordiamo infatti la posizione di Ernst Gellner, scomparso nel ’95, che è stato un sociologo, filosofo e antropologo di origini austriache, noto soprattutto per i suoi studi sul nazionalismo.

Gellner ha studiato filosofia e psicologia all’Università di Praga, ma ha dovuto lasciare il paese con l’ascesa del regime comunista nel 1948. Ha poi studiato antropologia all’Università di Oxford, dove ha trascorso gran parte della sua carriera accademica, proponendo una teoria del nazionalismo basata sull’idea che le nazioni sono costruzioni artificiali, create attraverso l’omogeneizzazione culturale, la standardizzazione linguistica e l’adozione di istituzioni politiche centralizzate. Secondo Gellner, il nazionalismo si è sviluppato come risposta alle sfide poste dalla modernità, come la creazione di uno stato moderno e l’unificazione del mercato.

Gellner ha anche sviluppato teorie sulla società industriale, sulla modernizzazione e sull’identità culturale, sottolineando l’importanza dell’educazione e della diffusione della conoscenza nella creazione di società moderne. Le sue teorie sono state comunque criticate da molti studiosi per la loro visione troppo razionalista e modernista della cultura, che semplifica e riduce la complessità delle identità culturali. Tuttavia, la sua influenza sulla teoria del nazionalismo e sulla sociologia della cultura è stata significativa e molte delle sue idee sono state oggetto di dibattito e sviluppo da parte di altri studiosi nel corso degli anni. Resta la considerazione che per la maggior parte degli studiosi l’etnocentrismo non è considerato un approccio valido o giustificato, anche da un punto di vista filosofico.

La filosofia si occupa di analizzare le questioni fondamentali dell’esistenza umana, tra cui l’etica, la morale e la giustizia, e cerca di fornire risposte basate sulla razionalità e sulla logica: l’etnocentrismo, che implica il giudizio e la valutazione degli altri sulla base delle proprie norme culturali, va contro i principi di razionalità e di obiettività che sono alla base della filosofia. Emmanuel Levinas, per esempio, ha sviluppato una teoria etica che mette in luce la responsabilità etica nei confronti dell’altro, e critica l’etnocentrismo come un atteggiamento che nega l’alterità e la diversità dell’altro; allo stesso modo, il filosofo italiano Umberto Galimberti ha affrontato il tema dell’etnocentrismo in relazione alla questione dell’identità culturale e ha sottolineato l’importanza di riconoscere la complessità e la pluralità delle identità culturali.

In generale, insomma, fra gli scienziati sociali l’etnocentrismo è considerato un atteggiamento che va contro l’obiettività, la razionalità e la comprensione delle diversità culturali. Gli studiosi di queste discipline cercano di analizzare e comprendere i fenomeni sociali e culturali in modo oggettivo e critico, senza assumere posizioni etnocentriche o ideologiche. Con distacco, come dovrebbe essere sempre qualsiasi ragionamento che voglia provare a far luce sulle cose.


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