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Milano, 12 apr. (askanews) – Compie 40 anni la Lega Lombarda. Ma a festeggiarla c’è la Lega per Salvini premier. Il Nord non fa più parte della ‘ragione sociale’ del movimento, alle “nazioni” storiche che componevano il Carroccio (oltre alla Lega Lombarda, la Liga Veneta, e le federazioni delle altre Regioni del Nord), si sono via via aggiunte le Regioni del Meridione. La “Padania” e il Sole delle Alpi finiti tra i ricordi, la secessione archiviata, come il colore verde da anni sostituito dal blu intenso nella comunicazione di partito. Per non parlare delle ampolle con l’acqua del fiume Po, del matrimonio col rito celtico, e del Tricolore usato per scopi non consoni.
Una svolta assecondata da tutto il movimento, negli anni della cavalcata che ha visto la Lega della segreteria Salvini risalire dal 4% del 2012 fino al 33% della Europee 2019, picco ineguagliabile nelle percentuali del Carroccio. Ma che ora semina dubbi nei territori del Nord e vede i nostalgici (esclusi dal nuovo corso salviniano) sfruttare il 40esimo per radunarsi intorno all’icona di Umberto Bossi e invocare il ritorno alle origini.
Divisione plastica, nei giorni dell’anniversario, con i dissidenti riuniti intorno all’anziano fondatore nel feudo di Gemonio, e l’ultimo rimasto della vecchia guardia, Giuseppe Leone, ad attaccare dai giornali: “Salvini è un fascista, lombardi e veneti sono stufi, raccogliamo tanta insofferenza”.
Il segretario però tira dritto, più volte ha ribadito che la scelta di una Lega nazionale è irreversibile. Domenica festeggerà in piazza a Varese, e alle critiche sul tradimento degli ideali di una volta, a chi lo accusa di aver abbandonando la difesa del Nord senza essere riuscito a sfondare al Sud, ribatte sventolando la bandiera dell’Autonomia, che dopo l’ok in Senato appare davvero in dirittura d’arrivo: “Siamo nati per difendere l’identità dei popoli, diventando motore di cambiamento in Italia e in Europa. Lo rivendichiamo con particolare orgoglio nelle settimane in cui l’Autonomia sta facendo concreti e decisivi passi in avanti”, dice il segretario.
Eccolo, il parafulmine per il risultato non brillante che si profila alle Europee per la Lega: il via libera ad una riforma che, nelle varie declinazioni assunte negli anni (prima secessione, poi devolution, poi federalismo fiscale), i leghisti attendono da sempre. Il contraltare a scelte impensabili, per la Lega di una volta, a partire dall’impegno per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Oltre alla collocazione all’estrema destra dell’arco politico: scelta che ha fornito il substrato ideologico per la Lega nazionale e che ha anche dato frutti negli anni passati, ma che ora subisce la concorrenza di Fratelli d’Italia sullo stesso terreno. Salvini tuttavia non ha alcuna intenzione di abbandonare il percorso intrapreso, anzi, nella speranza che la Giorgia Meloni di governo, stretta nell’abbraccio con Ursula von der Leyen, prima o poi paghi uno scotto elettorale per la nuova linea.
Evento che i sondaggi non sembrano prevedere ancora, per le prossime Europee. Con la Lega lontana dalla doppia cifra, ormai scavalcata da Forza Italia pur orfana di Berlusconi, e Fratelli d’Italia ancora primo partito con ampio vantaggio. Ma per ora la linea di Salvini non cambia, e anche alle Europee tutte le carte sono sull’internazionale della destra estrema. Contando sulla tradizione leghista che non prevede cambi traumatici di segretari: con Salvini ormai da 12 anni alla guida del Carroccio, superando il Papeete e il riflusso dell’onda lunga, le accuse di filo putinismo e le inchieste giudiziarie. E una Lega che in fondo mantiene molti dei suoi tratti caratteristici: un leader assoluto e incontrastato, l’identità definita in contrapposizione al ‘diverso’ (una volta i “terroni”, ora i migranti) e l’insofferenza verso un potere lontano e maligno (prima Roma ladrona, oggi la burocrazia di Bruxelles).
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