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Roma, 2 apr. (askanews) – Le critiche sono un venticello. Perché il voto alla fine è sempre allineato, ma i dubbi si insinuano e cominciano a sussurrare che le perplessità sul testo della riforma del premierato non arrivano soltanto da un buon numero di costituzionalisti e dalle opposizioni, ma anche dall’interno della maggioranza. La settimana scorsa era stato il senatore Marcello Pera, pur eletto con Fdi, a mettere in fila una serie di criticità, a pronunciare il suo sì accompagnato da molti “mugugni”. Oggi è il leghista Paolo Tosato a chiedere, pur con un giro di parole, se non sia il caso di fare un supplemento di riflessione, se non si debba ragionare su ulteriori correzioni. In entrambi i casi, il riferimento non è a una norma qualsiasi ma all’emendamento del governo che riscrive l’articolo 92 della Costituzione e che contiene il principio cardine dell’elezione diretta.
Dopo settimane di discussione alquanto a rilento, infatti, la commissione Affari costituzionali ha approvato oggi la proposta di modifica che porta la firma del ministro Casellati e che di fatto rappresenta il cuore della ribattezzata “madre di tutte le riforme”. Non è un caso se, pur trattandosi solo di un primo sì e pur essendo la trattazione del provvedimento ancora in corso, Fratelli d’Italia esulta con una serie di dichiarazioni in batteria. Peraltro, domani sempre in Senato, verranno presentati i primi comitati per il referendum che, pur essendo una iniziativa che parte dalla società civile, ha sopra il cappello del partito della premier.
L’emendamento approvato in commissione è anche quello che parla di nomina e revoca dei ministri e stabilisce il limite dei mandati per il capo del governo eletto, stabilendo che debbano essere al massimo due, elevabili a tre se la somma dei precedenti incarichi sia inferiore a sette anni e sei mesi. Ma è anche lo stesso emendamento con il quale si cancella il riferimento al 55% del premio di maggioranza che era invece contemplato nel testo originario e che rimanda a un nodo che in queste settimane è diventato centrale: quello della legge elettorale. La formulazione approvata si limita a parlare di un “sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio” attraverso cui si assegna “un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio”.
Le opposizioni da giorni vanno chiedendo che il governo e la maggioranza non giochino “a carte coperte” sulla legge elettorale spiegando che il sistema di voto scelto non può prescindere dalla trattazione della riforma. La posizione del ministro Casellati, e del presidente della commissione Alberto Balboni, tuttavia, è che “non si può cominciare a costruire la casa del tetto” e che se ne parlerà, aprendo un tavolo con tutti i partiti, ma soltanto dopo la prima lettura. Qualche particolare non di poco conto, tuttavia, lo svela proprio l’ipermeloniano Balboni: ci sarà una soglia minima e, in caso di mancato superamento, il ballottaggio.
Un riferimento, quello alla necessità di pensare a un doppio turno, che già la settimana scorsa e ancora oggi, è stato fatto proprio dal leghista Tosato. Che, praticamente unico della maggioranza a intervenire nella seduta, ha anche posto un problema più complessivo di efficacia della norma. L’esponente del Carroccio si è infatti chiesto se, così com’è scritta, non possa determinare “una circostanza in cui si abbia la certezza dell’elezione di un presidente del Consiglio, ma senza la certezza che abbia una maggioranza di uguale segno politico per sostenerlo”. Da qui l’invito a valutare se “ci sia margine per migliorare il testo”. Con una postilla che, visti i rapporti attuali tra i due partiti di maggioranza, diventa d’obbligo: “Non ho intenzioni dilatorie, la Lega non ha intenzioni dilatorie”.
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