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Il Pil è cresciuto, l’inflazione in calo, l’Italia batte gli stati dell’Ue. Quasi un miracolo che in un contesto di tensioni internazionali l’Italia riesca a tenere il passo sui mercati globali
Pil, occupazione, export e prezzi: promozione per l’Italia. Su Pil e prezzi, in particolare, i risultati sono migliori rispetto agli altri Paesi dell’area euro. Ma su tutti aleggia lo spettro dell’incertezza per il proseguimento della guerra in Ucraina e per il conflitto nel Medioriente che, per la situazione del Mar Rosso, sta comportando difficoltà e alti costi dei trasporti con una ricaduta sui sistemi produttivi europei.
La nota dell’Istat sull’andamento dell’economia italiana, pubblicata ieri, fotografa comunque un’Italia in buona salute. Nel 2023 il Pil è infatti aumentato dello 0,9% (bisogna però tener conto che è ormai scontata la revisione al rialzo in autunno) in decelerazione sul 2022, ma a un livello decisamente più elevato rispetto a quello dell’area euro che si è fermato a +0,4%.
E se Spagna e Francia hanno mantenuto ritmi positivi del Pil, la Germania ha segnato un calo dello 0,3%, confermandosi così il Paese che più degli altri ha risentito delle difficoltà di approvvigionamento e dei rialzi dei prezzi dei prodotti energetici provocati dalle tensioni mondiali.
EXPORT E TURISMO
Tornando all’Italia, sulla crescita del prodotto interno lordo ha inciso l’aumento del 4,7% degli investimenti fissi lordi, dell’1,2% dei consumi e delle esportazioni che, seppur con un andamento più lento, hanno superato le importazioni fornendo un contributo positivo.
L’export resta un motore fondamentale, anche se in una condizione di estrema debolezza del commercio mondiale. Da un lato lo spegnersi del dinamismo post-pandemia, dall’altro l’impatto dei conflitti e delle modifiche delle rotte per gli attacchi alle navi che hanno reso impraticabile il Canale di Suez stanno mettendo a dura prova il commercio. I costi di spedizione si sono impennati e i tempi di consegna dilatati con il rischio che possano impattare sulle catene di approvvigionamento internazionali, innescando una nuova ondata inflazionistica.
È vero che al momento domanda debole e scorte stanno mettendo in sicurezza i prezzi sia alla produzione che al consumo, ma non è possibile prevedere quanto questa relativa tranquillità possa durare. La circumnavigazione dell’Africa, che sostituisce il passaggio nel canale di Suez, comporta, secondo i conti tracciati dal Centro Studi Divulga, un maggior costo per il carburante di 600mila dollari e due settimane in più per le consegne, oltre all’incremento delle tariffe assicurative per merci e persone.
Nel canale infatti – sottolinea il report di Divulga – transita circa il 30% dei flussi navali a livello mondiale, con il passaggio in media di 48 navi portacontainer e 25 petroliere ogni giorno: tradotto in volumi, il 12% delle merci movimentate globalmente (1,4 miliardi di tonnellate di prodotti annui). In media, il traffico complessivo tra ottobre 2023 e gennaio 2024 è crollato del 35%, mentre quello dirottato per il Capo di Buona Speranza è aumentato del 38%.
È dunque davvero un miracolo che in questo contesto l’Italia riesca a tenere il passo sui mercati globali, anche in un settore come l’agroalimentare, che ha registrato nel 2023, come sottolinea Coldiretti, un record di 64 miliardi.
Ed è forte l’incidenza del turismo sul Pil, come certifica uno studio di Bankitalia che segnala un balzo del 17%, lo scorso anno, della spesa dei turisti stranieri in Italia e una bilancia turistica che risulta in avanzo di 20,2 miliardi sul 2022 (18,2 miliardi). Nel solo quarto trimestre Bankitalia ha calcolato un aumento del 19%.
INVESTIMENTI E INFLAZIONE
Un altro elemento che conferma le buone performance dell’Azienda Italia è l’aumento degli investimenti, in forte recupero in termini congiunturali (+2,4%). Per quanto riguarda il valore aggiunto, nell’ultima parte dell’anno, la nota dell’Istat ha segnalato la stazionarietà del valore aggiunto dell’industria, la stabilizzazione dei servizi e la flessione dell’agricoltura.
A svettare sono le costruzioni con un +4,7%. Un settore che nel periodo tra il 2020 e il 2023 ha registrato la crescita più elevata tra i principali Paesi europei, ma che si è ridimensionato nei primi mesi di quest’anno.
E resta su terreno positivo l’occupazione, anche se a gennaio c’è stata una lieve frenata su dicembre. Rispetto a gennaio 2023 gli occupati sono aumentati di 362mila unità (+1,6%) e i disoccupati si sono ridotti dell’8,1%, pari a 162mila unità. Il tasso di disoccupazione è calato di 0,7 punti e di 0,8 tra i giovani e ci sono meno 157mila inattivi.
E soprattutto sono tornate a crescere le retribuzioni contrattuali orarie, che a dicembre sono salite del 5,1% su novembre, mentre rispetto a dicembre del 2022 l’incremento è stato del 7,9%, soprattutto al traino del settore pubblico (+22,1%). Positivi anche i segnali per la domanda di lavoro delle imprese.
Ma le maggiori soddisfazioni le ha date sicuramente il raffreddamento dei prezzi al consumo. Anche su questo fronte, secondo l’analisi effettuata dall’istituto di statistica, la discesa è superiore a quella rilevata nell’area euro. L’inflazione misurata sull’indice al consumo armonizzato risultava pari allo 0,9% nei primi due mesi del 2024. A febbraio era di 1,8 punti inferiore alla Germania (+2,7%), di 2 punti sulla Spagna (+2,9%) e di 2,2 punti sulla Francia (+3,1%).
E sono stati sicuramente il ridimensionamento dei prezzi e l’occupazione ad aver inciso sulla fiducia delle famiglie, orientata all’ottimismo.
Restano però da domare i listini di alcuni prodotti, in primis quelli dei prodotti alimentari che, anche se al +4%, si collocano a un livello più che doppio rispetto all’indice medio.
Prosegue poi anche il calo dei prezzi all’importazione, con una riduzione media nel 2023 del 7,4%. A trascinare verso il basso i listini sono i prodotti energetici (-36,8%). Più moderato, invece, il ribasso dei beni intermedi (-7,4%) e dei beni di consumo (-0,5%), mentre sono saliti quelli strumentali (+2,2%). Un andamento che è rimbalzato sui prezzi alla produzione,. che a gennaio di quest’anno, rispetto al 2023, hanno perso il 10,7%.
La strada imboccata dall’Azienda Italia sembra dunque quella giusta, pur con le asperità che sono legate a fattori esogeni. A ridursi lievemente (ma è comunque un segnale che non deve essere sottovalutato) è l’indice del disagio sociale, misurato dal “Misery Index” della Confcommercio, che a gennaio si è attestato a 13, in calo dello 0,2% sul mese precedente e sul quale ha inciso il rallentamento dell’inflazione per i beni e i servizi ad alta frequenza di acquisto. Anche se Confcommercio invita comunque alla prudenza nel valutare il ridimensionamento dell’area di disagio sociale.
GLI INDICI DELLA DISUGUAGLIANZA
In ogni caso, nella pubblicazione “I conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie” redatto dalla Banca d’Italia risulta che tra il 2017 e il 2022 i principali indici di disuguaglianza sono rimasti sostanzialmente stabili, mentre la concentrazione della ricchezza nel nostro Paese è inferiore rispetto all’area euro.
«Il divario rispetto al complesso dell’area – sottolinea lo studio elaborato dalla Banca d’Italia – riflette la più elevata quota di ricchezza netta detenuta in Italia dalle famiglie al di sotto della mediana (legata soprattutto al possesso di abitazioni), che controbilancia la più ampia quota di ricchezza detenuta dal 5% più ricco. Alla fine del 2022 le famiglie italiane sotto la mediana detenevano una ricchezza media di circa 60.000 euro, pari a tre volte quella delle rispettive famiglie tedesche».
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