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CATANZARO – I Tribunali calabresi stanno già rinviando i processi per abuso d’ufficio perché i fatti su cui sono chiamati a pronunciarsi presto non potrebbero più essere previsti dalla legge come reato. In attesa che si allontani la “paura della firma”, come auspica il ministro Nordio, il cui Ddl approvato dal Senato si appresta a passare in seconda lettura alla Camera, cerchiamo di capire quali sono i processi principali che potrebbero naufragare.
Cominciamo da Crotone, dove l’altro giorno il cosiddetto processo Piscina, che per presunte irregolarità nell’affidamento dell’impianto olimpionico vede imputati l’ex sindaco Ugo Pugliese, due ex assessori, dirigenti comunali e componenti del consorzio sportivo Daippo, è slittato al 15 aprile in attesa delle determinazioni del Parlamento. La vicenda portò alle dimissioni dell’ex sindaco per evitare una misura cautelare e al commissariamento del Comune. Il processo è ormai alle battute finali (il pm Alessandro Rho ha già chiesto sei condanne e una sola assoluzione) e l’abuso d’ufficio è soltanto una delle contestazioni insieme a quelle di falso e turbativa d’asta. Il Tribunale ha accolto una richiesta della difesa nel disporre il rinvio.
Spulciando sempre tra i fascicoli pendenti nelle aule del Palazzo di giustizia di Crotone, l’abuso d’ufficio è uno dei reati contestati anche all’ex sindaco di Petilia Policastro Amedeo Nicolazzi, a un imprenditore, a un ex assessore, a un funzionario comunale. Anche questo processo volge al termine dopo una complessa istruttoria. Il solito pm Rho ha chiesto undici condanne nei confronti di altrettanti imputati accusati a vario titolo di peculato, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, soppressione, distruzione e occultamento di atti e, appunto, abuso d’ufficio – ipotesi in cui è stata riqualificata quella più grave di corruzione ai sensi della “spazza corrotti” (il solo Nicolazzi risponde anche di concussione sessuale).
Non sono disposti, invece, a concedere rinvii i giudici di Catanzaro. Nel corso del processo “Robin Hood” che vede imputati tra gli altri l’ex consigliere regionale – e sindaco di Serra San Bruno – Nazzareno Salerno, per la gestione dei fondi del credito sociale, sono stati dichiarati prescritti i reati di abuso di ufficio e turbativa d’asta, mentre restano in piedi la truffa, l’estorsione aggravata dal metodo mafioso, la corruzione e il peculato. Salerno, però, ha inteso rinunciare alla prescrizione e quindi per lui – come per altri – il dibattimento in corso da oltre cinque anni a Catanzaro andrà avanti fino alla sentenza di primo grado. La vicenda riguarda la presunta gestione illecita di Calabria Etica, ente in house della Regione Calabria, che avrebbe fagocitato al suo interno assunzioni fittizie. La difesa si era opposta all’ordinanza di prescrizione proprio in vista dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Analoga questione era stata sollevata dalle difese nel processo a carico dell’ex commissario ad acta per l’attuazione le Piano di rientro alla Sanità Massimo Scura, per l’ex sub-commissario Andrea Urbani e per i dirigenti veterinari che facevano parte della task force della Regione. Istanza respinta. Il processo prosegue per accertare se gli imputati abbiano ratificato atti consentendo l’elargizione di somme di denaro non dovute ai dirigenti veterinari comandati alla Regione.
A Reggio Calabria, il processo con l’imputato eccellente per antonomasia è il cosiddetto “Miramare bis”, che vede sotto accusa il sindaco Giuseppe Falcomatà. Fino a poco tempo fa sospeso in base alla legge Severino dalla carica di sindaco della Città metropolitana dopo una condanna per abuso d’ufficio, e riabilitato in seguito a una decisione della Cassazione, nel frattempo è stato rinviato a giudizio per lo stesso reato nell’inchiesta bis. Il processo è scaturito da un esposto in Procura presentato dal movimento politico “Reggio Futura” sulla mancata costituzione del Comune come parte civile nel processo “Miramare” (che ha visto Falcomatà assolto dai supremi giudici).
A Cosenza proprio oggi è fissata l’udienza preliminare nel procedimento scaturito dall’inchiesta che nel maggio 2022 portò all’operazione Mala Arintha che avrebbe svelato presunte irregolarità nella gestione di appalti e nell’affidamento diretto di lavori pubblici da parte del Comune di Rende. Sono già cadute otto ipotesi di abuso d’ufficio originariamente contestate all’ex sindaco Marcello Manna, che risponde solo di una turbativa d’asta. Di abuso d’ufficio devono rispondere due dirigenti comunali accusati di “macroscopiche violazioni” nell’attestare falsamente che una ditta fosse inserita nell’apposito albo per l’affidamento di lavori di somma urgenza e che gli interventi per rispristinare la funzionalità della rete fognaria fossero stati regolarmente eseguiti. A 42 imputati è contestata una fitta serie di reati contro la pubblica amministrazione, una sola di abuso d’ufficio, ipotesi che ormai, visti i tempi che corrono, i pm tendono già ad “abrogare”, anche se spesso – a sostenerlo è anche il procuratore Nicola Gratteri – è la “spia” di qualcos’altro, come emerge anche dai processi che abbiamo passato in rassegna.
Nella (breve) casistica non abbiamo menzionato i procedimenti in fase d’indagine, che sembrano destinati a sgonfiarsi, e quelli definiti con sentenze passate in giudicato: per questi ultimi vale l’articolo 673 del codice di procedura penale. In caso di abrogazione (o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice), il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. I difensori di sindaci, ex amministratori, imprenditori e funzionari più o meno apicali già condannati sono pronti a produrre istanze a raffica. Anche in Calabria.
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