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BOLOGNA – Si è concluso con una sostanziale vittoria della pubblica accusa il primo grado del processo scaturito dall’operazione Black Monkey (LEGGI LE NOTIZIE SULL’OPERAZIONE BLACK MONKEY) che si è celebrato contro una organizzazione di tipo ‘ndranghetistico che si era infiltrata in Emilia Romagna.

Il tribunale, presidente Michele Leoni, ha, infatti, accolto le richieste avanzate dalla Procura distrettuale di Bologna e condannato tutti e 23 gli imputati, infliggendo la pena più alta, 26 anni e 10 mesi, a Nicola “Rocco” Femia (LEGGI LA NOTIZIA SUL RUOLO DEL BOSS DI MARINA DI GIOIOSA), ritenuto il vertice di un gruppo legato alla ‘ndrangheta che faceva profitti con il gioco illegale.

Le pene comminate dal tribunale hanno in alcuni casi superato le stesse richieste del Pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Francesco Caleca che per Femia, appunto, aveva chiesto 24 anni e 6 mesi. Dopo due anni e mezzo di udienze, il tribunale ha anche disposto risarcimenti alle parti civili.

Il tribunale ha previsto risarcimenti anche per il giornalista Giovanni Tizian e per l’ordine dei giornalisti: in un’intercettazione tra Femia e un altro imputato si parlava di uccidere il cronista (LEGGI LA NOTIZIA), autore di articoli sgraditi all’organnizzazione. Alla lettura del dispositivo era presente anche don Luigi Ciotti, presidente di Libera, pure parte civile. L’operazione con custodie cautelari scattò nel 2013.

LE CONDANNE

Il collegio giudicante, come detto, ha condannato tutti i 23 imputati del processo Black Monkey, pronunciando però alcune assoluzioni per alcuni capi di imputazione e non doversi procedere per prescrizione. La pena più alta è di 26 anni e 10 mesi per Nicola Femia (detto Rocco), ritenuto un personaggio legato alla ‘ndrangheta; 15 anni al figlio Rocco Maria Nicola Femia; 15 anni a Domenico Cagliuso, 12 anni e due mesi a Giannalberto Campagna, 10 anni e tre mesi a Guendalina Femia, 9 anni a Rosario Romeo e Guido Torello, 8 anni e 9 mesi a Luigi Condelli e Valentino Trifilio, 7 anni a Virgilio Petrolo, 7 anni e due mesi a Ettore Negrini, 7 anni e tre mesi a Salvatore Virzì, 7 anni a Francesco Agostino, 5 anni a Calogero Lupo, 4 anni a Massimiliano Colangelo e Giuliano Maccari, 3 anni e sei mesi a Massimiliano Rizzo, 3 anni a Manuele Cappiello, D. C., Filippo Crusco, 2 anni e sei mesi a Teresa Tommasi, 2 anni a Letizia Cucchi e Viktoriya Khmelevskaya.

Manuele Cappiello, D. C., Letizia Cucchi, Giuliano Maccari e Massimiliano Rizzo sono stati assolti dall’accusa di associazione mafiosa.

I giudici hanno poi disposto il risarcimento alle parti civili, da parte di alcuni condannati. Il più alto è di un milione alla Regione Emilia-Romagna; 100mila euro a Giovanni Tizian, 50mila euro all’ordine dei giornalisti, 50mila euro ciascuno a Provincia e Comune di Modena; 100mila euro al comune di Massa Lombarda (Ravenna), 300mila al Comune di Imola (Bologna), 300mila euro ciascuno a inpresidenza del Consiglio dei Ministri, ministero della Giustizia e ministero dell’Interno, 600mila euro all’agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 200mila a Libera, 200mila a Sistema Gioco Italia-Confindustria. Le motivazioni della sentenza saranno depositate in 180 giorni.

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE DI LIBERA DON CIOTTI

«Sono qui per prima cosa per non lasciare solo un giornalista che ha avuto coraggio, che ha scavato in profondità con le sue inchieste, che ha denunciato il malaffare, che ha subito minacce. Mi sembrava corretto». Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, spiega così il senso della sua presenza alla lettura della sentenza del processo di ‘ndrangheta ‘Black Monkey’ a Bologna, dove tra le parti civili, oltre alla sua associazione, c’era anche il giornalista dell’Espresso Giovanni Tizian, pure lui all’udienza.

«Da tre anni – ha detto don Ciotti ai giornalisti – ogni udienza Libera è presente con le scuole, i giovani, per non lasciare sole le vittime e per dare un segno di condivisione e di responsabilità».

Il risarcimento ottenuto dai giudici?

«A parte che i soldi non arrivano mai…, ma abbiamo sempre dichiarato che vengono spesi esclusivamente per dare una mano alla gente in difficoltà. Tra i progetti che portiamo avanti, col ministero della Giustizia, c’è quello per i ragazzi della messa in prova: ragazzi che hanno commesso dei reati, che hanno sbagliato, ma che devono trovare una via d’uscita. Se arrivano dei soldi vanno in questa direzione, per dare una mano alla gente che è più in difficoltà».

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