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Crotone, 26 feb. (askanews) – I superstiti e i familiari delle vittime della tragedia di Cutro hanno deciso di intentare una causa civile per omissione istituzionale di soccorso e per i “patimenti successivi” al naufragio e “saranno valutate anche le responsabilità di Frontex”. Lo hanno annunciato ufficialmente, in una conferenza stampa, al termine dei tre giorni di commemorazione ad un anno dalla strage organizzata dalla Rete 26 febbraio, insieme al pool di avvocati che li assistono. Ad essere citati saranno “la Presidenza del consiglio, il ministero delle Infrastrutture e il ministero dell’Economia”.

E’ netta l’accusa rivolta al governo Meloni sulle ‘promesse mancate’ di spendersi per far arrivare in Italia o Europa i parenti rimasti nei campi profughi. “Il primo ministro aveva promesso che avrebbe fatto venire i nostri parenti in Italia o in Europa e la promessa non è stata mantenuta”, ha affermato Lailuma Nudrat. Ed è “ingiustificabile” il fatto che “nessuno del governo sia venuto qui a Crotone” in questi giorni, ha affermato la sorella di una vittima afghana, Zahra Barati. “Sono molto dispiaciuta che nessun rappresentante delle istituzioni e del governo sia venuto”, ha sottolineato.

Il pool di avvocati, che sta istruendo la causa e che rappresenta oltre 50 tra superstiti e familiari, è composto dagli avvocati Marco Bona, dello studio Bona Oliva e associati, dall’avvocato Stefano Bertone, dello studio Ambrosio e Commodo e dall’avvocato Enrico Calabrese. “Sopprimere la vita delle persone tramite omissione di soccorso è un reato e anche un illecito civile. Le famiglie hanno diritto a una indagine che faccia piena luce sugli eventi. Tra gli aspetti fondamentali è capire quando le autorità abbiano conosciuto la presenza dell’imbarcazione prima nelle acque internazionali e poi nelle acque italiane. Perché fin dal pomeriggio del 25, dalle 17,50, l’aeroplano Eagle one aveva intercettato le telefonate che partivano dal telefono satellitare. Importante è capire che non ci sono solo le responsabilità ultimi minuti ma c’è tutto un sistema non secondo noi non ha funzionato” perché “è doveroso l’impegno a trovare le corresponsabilità. Decideremo quindi nelle prossime settimane o mesi se ampliare i convenuti anche a Frontex”.

I legali hanno annunciato che si rivolgeranno ufficialmente alla Procura di Crotone poiché lamentano di non aver avuto risposta dalle autorità italiane alla richiesta di informazioni, “la Guardia costiera non ha risposto alle nostre domande”.

“Noi – ha poi precisato l’ambasciatore della Repubblica Afghana Khalnd Ahmad – non siamo contattati né in maniera diretta né indiretta dal governo italiano ma siamo pronti a fornire tutti i documenti necessari per procedere al ricongiungimento delle famiglie”.

“Le istituzioni sapevano da prima che la barca si trovava in mare vicino alle coste e che era in pericolo ma non hanno fatto nulla per diverse ore, ha detto l’afghano Gulaqa Jamshidi che nel naufragio ha perso un nipote.

“E’ bene chiarire – ha spiegato l’avvocata Vicchio dell’Asgi – che lo scorso anno non potevano essere promessi i ricongiungimenti perché le persone erano appena arrivate ed erano giuridicamente richiedenti asilo e non avevano ancora iniziato e concluso il riconoscimento. Quindi quando è stato promesso o non era giusto prometterlo o non si sapeva che non si poteva promettere in quella fase”. E poiché la legge prevede che possano essere ricongiunti alcuni familiari per far arrivare “gli altri congiunti bisognava trovare un’altra formula”, ha concluso. La richiesta dei familiari delle vittime e dei superstiti è quella di attivare infatti corridoi umanitari.

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