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Nel Governo Meloni si registra una spaccatura mentre incombono le tensioni sul terzo mandato e nascono i dubbi sull’atteggiamento di Matteo Salvini


Le tensioni all’interno della maggioranza restano. L’affaire terzo mandato è solo la punta dell’iceberg. Il sistema proporzionale impone a ogni singolo di differenziarsi dall’altro, ma certo non impone di andare contro l’alleato. È questa la tesi di Palazzo Chigi, che ha tanti dubbi sull’atteggiamento del vicepremier Salvini. Mettere in fila quello che è successo nell’ultima settimana pone interrogativi.
«Perché non c’è solo il terzo mandato, c’è l’atteggiamento diverso sul Medio Oriente, la richiesta di un condono…» lamentano i meloniani. Le distanze, insomma, stanno diventando troppe e questo potrebbe comportare che alla lunga la coalizione possa sfaldarsi.

TERZO MANDATO, MAGGIORANZA DI GOVERNO SPACCATA E MATTEO SALVINI MINA VAGANTE

Girano voci strane tra Palazzo Chigi e Montecitorio sul fatto che Salvini, dopo le Europee, voglia far saltare il tavolo, così come fece nel 2019, dopo l’exploit per il rinnovo del Parlamento europeo. In queste ore al Governo l’annosa questione che divide Giorgia Meloni e Matteo Salvini riguarda il terzo mandato per gli amministratori regionali e comunali.
La Lega, va da sé, conduce questa battaglia perché non vuole cedere una Regione strategica per la narrazione di via Bellerio come il Veneto. Giovedì prossimo si consumerà il braccio di ferro sull’emendamento che aprirebbe la strada alla conferma di Luca Zaia. Una norma che, se passasse, metterebbe di sicuro a repentaglio la tenuta della maggioranza. La premier per ora non ha chiesto di ritirare la modifica caldeggiata dalla Lega, e vorrebbe anche evitare di farlo. È convinta che il vicepremier sia responsabile e non sia necessario fare determinate richieste.
Anche perché se la Lega andasse avanti con l’emendamento della discordia, che estende la possibilità di candidarsi per la terza volta ai presidenti di Regioni e ai sindaci dei grandi Comuni, si arriverebbe alla conta.
La questione accende gli animi dentro e fuori la maggioranza di governo. Raffaele Nevi di Forza Italia utilizza questi argomenti: «È un dibattito che va affrontato in modo serio, tenendo fuori le questioni relative ai rinnovi dei presidenti di Regione ed entrando nel merito della questione. Noi siamo dell’idea che la grande concentrazione di potere, come hanno i sindaci dei grandi Comuni e gli stessi presidenti di Regione, sia da limitare, mantenendo ciò che finora ha funzionato, il tetto ai mandati».
E ancora, sempre Nevi a Start su SkyTg4: «Dobbiamo avere la forza, come politica in generale, di affrontare una discussione seria sulle riforme senza cambiare le regole in base ai giocatori che piacciono di più o meno. Per il Veneto, Tosi sarebbe un ottimo candidato, sta lavorando bene come parlamentare, ha risollevato il partito nella sua regione facendo un’operazione capillare ed è stato sindaco di una città come Verona: ha le carte in regola per candidarsi».

IL BRACCIO DI FERRO

Discorsi e analisi che non sono condivisi da Fratelli d’Italia. Da quelle parti hanno già deciso: per il dopo Zaia, il successore è già pronto. Si chiama Luca De Carlo, senatore bellunese di Fratelli d’Italia. «La Regione spetta a noi: abbiamo molti nomi di persone preparate, non c’è necessariamente il mio». Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, l’ha messa così: «Senza peccare di modestia, noi vogliamo giocare tutte le partite. Per Zaia, che è stato un ottimo governatore, sarebbe il quarto mandato. L’alternanza potrebbe essere possibile. Nessuno è eterno, nemmeno Zaia».
E il diretto interessato ha replicato in questo modo: «L’eternità non è di questo mondo e quindi è vero che nessuno è eterno». Gira voce che Zaia potrebbe comunque correre, candidarsi come consigliere regionale e poi puntare su un nome di fiducia per la presidenza. Uno scenario che potrebbe per la prima volta rendere contendibile una regione che fin dall’inizio della Seconda Repubblica è stata sempre in mano al centrodestra.
Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli, cerca di abbassare i toni: «Sul terzo mandato, e in generale sulle regole della partecipazione democratica dei cittadini, non si possa consumare uno scontro tra forze politiche, bisogna ragionare in termini di principio. Altri discorsi li ritengo controproducenti per una visione che deve essere super partes».
Inoltre, secondo Fedriga non va bene che «chi ha il mandato diretto del popolo abbia limitazioni rispetto al numero di mandati, e che per chi invece non ce l’ha, non ci sia limite. Dovrebbe essere il contrario. Dopo di che le coalizioni sceglieranno liberamente chi proporre a quella singola comunità in modo aperto. Abbiamo avuto anche dei casi, penso al Molise o alla Sardegna, dove dopo il primo mandato la coalizione ha proposto un altro candidato presidente. Quindi non è che il terzo mandato sia automaticamente di chi ha già il secondo. Mettere vincoli e togliere a prescindere dalla volontà dei cittadini mi sembra sbagliato».

Caso rientrato? Non si direbbe. I bookmaker non scommettono sulla ritirata del leader della Lega. E che il clima si sia piuttosto surriscaldato lo si comprende dalle parole del meloniano Raffaele Speranzon.
«Noi abbiamo sempre ragionato in una logica di coalizione – dice – portando acqua al mulino del centrodestra quando c’erano candidati di Lega o Forza Italia e quando eravamo minoritari. In un’ottica di bipolarismo, la logica è quella di costruire un’alternativa alla sinistra, l’abbiamo fatto responsabilmente per anni e auspichiamo lo stesso approccio da parte degli alleati. Altrimenti se qualcuno, a differenza nostra, ha un atteggiamento egemonico è condannato alla sconfitta correndo solo col proprio simbolo».


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