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La vittima Vincenza Ribecco

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Le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Alfonso Diletto spiegano le ragioni del femminicidio dell’ex moglie Vincenza Ribecco uccisa «non per gelosia ma per castigo»


CUTRO – Il movente del femminicidio compiuto l’8 marzo del 2022 a San Leonardo di Cutro? Non sta nella gelosia, che era un «mero pretesto», ma nello «spirito punitivo» che animava Alfonso Diletto nei confronti dell’ex moglie Vincenza Ribecco, e che «da ultimo si traduceva nel proposito fermo e duraturo di sanzionarne l’insubordinazione con l’estremo castigo». Lo scrive la Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta da Massimo Forciniti, nelle motivazioni della sentenza con cui, nel novembre scorso, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore di Crotone Pasquale Festa, ha condannato all’ergastolo Diletto per il delitto compiuto nella frazione San Leonardo di Cutro, piccolo borgo di meno di mille anime, in una casetta in pieno centro, in via dei Gesuiti. L’imputato doveva rispondere anche di atteggiamenti persecutori.

La Corte spiega perché le risultanze istruttorie smentiscono la versione di Diletto. Questi, al termine del dibattimento, ha reso dichiarazioni spontanee sostenendo che pensava che in casa ci fosse un’altra persona e che il colpo era partito accidentalmente. Questa era stata anche la tesi difensiva, sostenuta dall’avvocato Luigi Colacino. I giudici valorizzano, invece, altri elementi, a partire dalla testimonianza della dottoressa Giovanna Vitaliano, medico curante della donna. Vitaliano ha riferito dei «trascorsi tumultuosi tra la vittima e il marito». Descrivendo un «contesto di sopraffazione» tant’è che constatò uno «stato d’ansia e di crescente turbamento emotivo». L’uomo infatti, stando a quanto riferito dalla vittima alla dottoressa, «le telefonava e la minacciava al punto che fino al febbraio 2022, in occasione della sua ultima visita, aveva manifestato il serio timore che il marito potesse ucciderla».

Elementi che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni dei nipoti e dei figli, dalle quali emerge un quadro di «vessazioni non solo psicologiche». Da una parte, «un uomo morbosamente geloso e dal temperamento burbero e aggressivo»; dall’altra, «la condizione subalterna della vittima incline a subire». Almeno fino a quando la donna, nell’estate 2021, ha deciso di lasciarlo ponendo fine alla convivenza. Da quel momento si sarebbe manifestata la «maggiore pericolosità» di Diletto in seguito alla decisione della donna che, con determinazione, non voleva tornare indietro sui suoi passi. Da qui la «condotta persecutoria» dell’imputato, «solito ad appostarsi nei pressi dell’abitazione della moglie con frequenza quotidiana e negli orari più disparati». Tanto che nei familiari si era ingenerato «uno stato d’allerta».

Ma perché la donna decise di lasciarlo? Dalle testimonianze è emerso che quell’uomo le vietava perfino di accavallare le gambe in pubblico. La accusava di stendere i panni per farsi notare dagli uomini che frequentavano un bar nelle vicinanze. La accusava di essere andata a lavorare in un villaggio turistico per poter avere relazioni. Senza dire di maltrattamenti anche fisici. Un incubo, insomma.

A ciò si aggiunga la testimonianza di un uomo che Diletto indicava come amante della donna, al quale aveva detto che sarebbe stato disposto a compiere una “pazzia” se fosse stato “sicuro” di quella relazione.
Il pm aveva messo in evidenza, nel corso della sua requisitoria, l’indole aggressiva di Diletto e la sua gelosia morbosa. Le parti civili rappresentate dagli avvocati Luigi Falcone e Tiziano Saporito si erano associate alle richieste del pm. Che Diletto ossessionasse la vittima era risaputo in paese. Per questo la donna temeva di ritrovarsi nei pressi di casa il suo ex e che questi potesse ucciderla. E così è stato, alla fine.

Diletto, secondo la ricostruzione accusatoria che ha retto in aula, il pomeriggio dell’8 marzo si presentò a casa dell’ex moglie con in tasca una pistola calibro 7.65 illegalmente detenuta. Sparò appena fuori dalla porta-finestra un colpo che trapassò il vetro raggiungendo al cuore la vittima. Durante l’interrogatorio condotto dai carabinieri crollò, dopo aver prima negato di sapere che l’ex moglie fosse morta. Ammise di essersi armato perché temeva di trovare a casa il presunto – più che mai presunto – amante di lei.

Soltanto una volta messo alle strette, dopo che i carabinieri gli fecero sapere di essere al corrente del fatto che a suo fratello, che vive nel Mantovano, subito dopo il delitto aveva detto di aver «perso la testa» commettendo qualcosa di “brutto” riferito all’ex moglie, Diletto confessò di aver sparato. Quindi fece ritrovare l’arma, di cui s’era liberato durante il rientro nella sua abitazione, da San Leonardo a Cutro, gettandola in un dirupo.

Soltanto la parte della versione dei fatti in cui Diletto ammette di avere sparato viene ritenuta “genuina” dai giudici. In quanto la sua ricostruzione “alternativa” non è suffragata nemmeno dagli accertamenti balistici. Intanto, i figli della vittima, residenti in Nord Italia, cambieranno cognome. Domenico ha già ottenuto il via libera dalla Prefettura di Mantova, Rosaria attende l’ok da quella di Genova.

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