Il Cara Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto
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Sospesa l’interdittiva antimafia per la Prociv di Isola Capo Rizzuto, la difesa: «Discriminata una comunità sulla base di un elenco di parenti di parenti in un contesto ad alta densità mafiosa»
ISOLA CAPO RIZZUTO – L’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Crotone nei confronti dell’associazione Prociv Arci Isola Capo Rizzuto è sospesa per decisione del Tar Calabria che ha provveduto con decreto cautelare. L’associazione, insieme alla società Translator di Agrigento, faceva parte del raggruppamento che un anno fa si aggiudicò la gestione del Cara S. Anna, struttura per migranti tra le più grandi d’Europa, per un importo di quasi sei milioni di euro per 24 mesi. Il collegio presieduto da Giancarlo Pennetti ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato Gaetano Liperoti, che ha contestato che la sussistenza di rapporti di parentela controindicati, alcuni dei quali frutto di errore secondo la ricostruzione difensiva, in assenza di ulteriori elementi, sia idonea a costituire rischio di infiltrazione mafiosa.
«In una comunità locale segnata dalla presenza della ‘ndrangheta e da varie operazioni di polizia giudiziaria che hanno coinvolto decine e decine di persone – afferma l’avvocato Liperoti –, l’incidenza genealogica di parenti attinti da pregiudizi è naturalmente più diffusa della media; tale elemento non può contribuire ad escludere dal mondo del volontariato e del terzo settore un’associazione che opera con finalità non lucrative, in mezzo agli ultimi del mondo, fra terremoti, macerie e sbarchi».
INTERDITTIVA ALLA PROCIV DI ISOLA SOSPESA, LA TESI DELLA DIFESA
L’avvocato Liperoti contesta anche la presunta contiguità tra Prociv e Misericordia, il precedente ente gestore del Cara S. Anna, i cui vertici sono stati condannati per mafia anche in Appello nel processo scaturito dall’inchiesta che nel maggio 2017 portò alla maxi operazione Jonny.
Il presidente del Tar, nel concedere la sospensiva urgente, ha «ritenuto sussistente il periculum con riferimento alla verosimile prospettiva di definitiva perdita dei rapporti in corso da parte dell’associazione ricorrente», che gestisce – allo stato – tre progetti del Sistema Accoglienza Integrazione a Crotone e ad Isola di Capo Rizzuto.
La Prefettura e il ministero dell’Interno non si sono costituiti in giudizio. Il processo amministrativo prosegue il 6 marzo in camera di consiglio davanti ai giudici della Prima sezione del Tar della Calabria.
Il provvedimento scaturiva da accertamenti della Dia di Catanzaro che ha continuato a indagare su tentativi di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’appalto anche dopo l’operazione di “self cleaning” compiuta da Prociv con la rimozione dei vertici e alcuni licenziamenti. Operazioni dietro le quali gli inquirenti ipotizzano una “regia collettiva” proprio al fine di eludere l’interdittiva, il cui iter era stato avviato con una comunicazione antimafia. Riscontrata una serie di criticità sul conto di 18 (su 28) dipendenti di Prociv, per parentele e rapporti economici con personaggi vicini o appartenenti ai clan di Cutro e Isola. La tesi degli inquirenti è che la cosca Arena, anche dopo l’affaire Misericordia, puntava a controllare il Cara.
INTERDITTIVA ANTIMAFIA ALLA PROCIV DI ISOLA SOSPESA DAL TAR, IL RICORSO
Nel ricorso, però, si avversa la tesi della contiguità in quanto la fondazione della Prociv a Isola, risalente al 2000, avvenne «ad opera di un gruppo di volontari che già facevano parte della Fraternita di Misericordia, organizzazione di volontariato confederata con le Misericordie d’Italia, in seguito a rilevanti contrasti sorti rispetto alla gestione di quest’ultima, pubblicamente sottoposta a contestazione da parte di un gruppo di iscritti che non ne condivideva obiettivi e metodi di lavoro».
La Prociv Arci, osserva il legale nel suo ricorso, ha sempre svolto senza addebiti le prestazioni contrattuali richieste dalle amministrazioni pubbliche. Fungendo da “braccio operativo” della Prefettura di Crotone e del Comune di Isola Capo Rizzuto governato per sei anni da commissioni prefettizie in seguito a due scioglimenti per infiltrazioni mafiose. Insomma, la Prociv è «da sempre schierata, a viso aperto, sul fronte dell’antimafia, avendo gestito beni confiscati alla mafia, avendo impiegato propri volontari nella coltivazione di terreni confiscati alla ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto e affidati alla cooperativa “Terre Joniche – Libera Terra”, avendo collaborato con Libera di don Luigi Ciotti e partecipato ai relativi eventi, ed essendosi contraddistinta per la denuncia e la critica (in tempi non sospetti) della gestione operata dalla Fraternita di Misericordia nella gestione del Cara».
IL CONTRADDITORIO IN PREFETTURA
Ma veniamo al tasto dolente. Durante il contraddittorio in Prefettura, la Prociv ha reso noto di aver rimosso «gli elementi di potenziale criticità» con la decadenza dalla carica del consiglio direttivo composto dalla presidente Caterina Tambaro, dal vice Anselmo Rizzo e dalla segretaria Eugenia Ranieri, e il licenziamento dei soci menzionati nel preavviso di interdittiva. Il nuovo direttivo è composto da Cesare Bruno (presidente), Adriana Scaramuzzino (vicepresidente), Anna Amadeo (consigliere). La prefettura ha considerato le misure di self cleaning insufficienti perché tra i soci vi sono stretti congiunti dei decaduti e perdurerebbero pertanto legami con ambienti controindicati.
Ci limitiamo a ripercorrere le posizioni della ex presidente Caterina Tambaro, dell’ex presidente Anselmo Rizzo e del socio Aldo Giordano. L’ex presidente Tambaro, già dipendente della Rocca srl, sottoposta ad amministrazione giudiziaria per infiltrazioni della cosca Grande Aracri di Cutro, cugina di un imputato del maxi processo Aemilia, nel 2014 costituì una coop insieme, tra gli altri, alla moglie del figlio di Franco Arena, capo militare dell’omonimo clan assassinato nel marzo 2000. L’avvocato Liperoti però rileva la «plateale irrilevanza giuridica e sostanziale» di un «legame, che certamente non può qualificarsi come parentela o affinità» che è quello con la zia acquisita che è sorella della suocera di un fratello (Domenico Grande Aracri) del capocosca di Cutro (Nicolino Grande Aracri), il boss ergastolano.
LA POSIZIONE DELL’EX VICEPRESIDENTE RIZZO
All’ex vicepresidente della Prociv Rizzo, invece, osserva la difesa, si contesta di «essere stato socio di cooperative sociali in cui figuravano persone incensurate ma a loro volta parenti di soggetti controindicati». Il punto è che Rizzo viene menzionato, in una conversazione intercettata tra imputati del processo Jonny, come colui al quale avrebbero consegnato 400mila euro per l’appalto del catering, e nello stesso brano si fa riferimento al boss ergastolano Pasquale Nicoscia come colui al quale all’epoca bisognava dare conto per l’affare dei migranti.
Rizzo è peraltro vice presidente della Socialcoop il cui presidente è Fortunato Geraldi, che ha rivestito la carica di consigliere nella Prociv, ha percepito redditi da Misericordia dal 2010 al 2017 ed è cognato del boss Nicoscia. La difesa però riconduce tutto a un «elenco di “parenti di parenti”, un reticolato di parentele/affinità che trova la sua spiegazione nel fatto che la Prociv Arci opera in una realtà locale di modeste dimensioni e contraddistinta dall’operatività di talune ‘ndrine».
IL CASO DEL DIPENDE CONDANNATO A DIECI ANNI DI CARCERE
Uno dei dipendenti licenziati, in particolare, è Aldo Giordano, condannato a dieci anni di reclusione in primo grado di giudizio, e a sei in appello, per associazione mafiosa, ma assolto dalla Corte di Cassazione che ha annullato le sentenza di secondo grado senza rinvio nel processo Jonny. Indagato e condannato a 6 anni nel medesimo procedimento penale, sia in primo che in secondo grado, sempre per mafia, anche il fratello Aurelio Giordano, marito della figlia di Nicola Arena, capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta ormai deceduto. Ma anche per Aurelio Giordano la Cassazione ha annullato senza rinvio le sentenze. «Al momento della sua assunzione» presso la Prociv, secondo la difesa, Aldo Giordano «era incensurato e lo è tuttora». L’arresto nel blitz interforze risale al 2017. E alla Dia risulta che Aldo Giordano «ha continuato a lavorare alle dipendenze della Prociv ininterrottamente dall’anno 2013 all’anno 2023».
Il botta e risposta su ogni singola posizione prosegue a lungo. La conclusione dell’avvocato Liperoti è che, a suo avviso, «ragionare in questa direzione produce la conseguenza di condannare un’intera comunità cittadina a rimanere al bando della società, a non poter neppure strutturare realtà – come quella in oggetto – che si fondano in larga parte sul lavoro volontario, a non potersi attivare nella protezione civile e nelle iniziative afferenti al terzo settore, quello dei servizi alla persona, dei servizi sociali».
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