Gratteri, Bombardieri e i vertici della Finanza
5 minuti per la letturaCATANZARO – Una maxi operazione, denominata “Stammer” della Guardia di Finanza di Catanzaro ha portato al fermo di 54 persone, mentre le persone coinvolte a vario titolo in un traffico internazionale di stupefacenti sono in tutto 74, e al sequestro di beni mobili e immobili per un valore approssimativo di circa 8 milioni di euro con interventi in 15 regioni diverse.
LEGGI I NOMI DELLE PERSONE FERMATE
A guidare l’operazione, i cui dettagli saranno resi noti nel corso delle prossime ore, è stata la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata dal procuratore della Repubblica Nicola Gratteri coadiuvato dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri. L’operazione è giunta al termine di un’indagine condotta dal Nucleo di polizia tributaria-Gico della Guardia di finanza di Catanzaro con la cooperazione della National Crime Agency inglese (Nca) e della Polizia Colombiana, ed il supporto del secondo Reparto del Comando generale e della Direzione centrale servizi antidroga (Dcsa) per le numerose rogatorie, coordinata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, dall’aggiunto Giovanni Bombardieri e dal pubblico ministero Camillo Falvo.
Nel corso dell’operazione sono state sequestrate in Colombia ben otto tonnellate di cocaina. Nel mirino degli inquirenti anche presunti affiliati alla ‘ndrangheta. Altri sequestri, nell’ordine di 60-100 chili per volta, sono stati effettuati in Italia ed in Europa. «L’operazione – ha detto il capo della Dda catanzarese Nicola Gratteri – conferma il rapporto privilegiato della ‘ndrangheta con i narcos sudamericani con accordi in cui i ruoli si mischiano, e la grande capacità di gestire la vendita in molte regioni».
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE SULL’OPERAZIONE STAMMER
NEL FASCICOLO AD AGGIORNAMENTO DINAMICO
L’intera operazione ha permesso di infliggere all’organizzazione rilevanti perdite economiche, sia sotto il profilo dei capitali investiti che dei mancati guadagni: la droga complessivamente sequestrata, una volta lavorata ed immessa in commercio, avrebbe fruttato all’organizzazione oltre 1 miliardo e 600 milioni di euro una volta raggiunte le piazze di spaccio; a ciò vanno aggiunti gli ingenti sequestri patrimoniali con cui si è proceduto a colpire gli accoliti dal punto di vista economico.
LE ACCUSE
Gli indagati, in tutto 74 a vario titolo, sono accusati di associazione per delinquere dedita al traffico internazionale di stupefacenti «forniti dai cartelli colombiani» che «venivano trasportati dalla Colombia e importati, o tentati di importare, sempre dalla Colombia o dalla Spagna, nel territorio nazionale». L’organizzazione aveva anche pensato di utilizzare delle motonavi con locali tecnici opportunamente modificati per accogliere il carico, da esfiltrare una volta arrivato a destinazione mediante l’impiego di sommozzatori all’interno di un’area portuale italiana. Ad essere colpita è stata un’organizzazione composta da diversi sodalizi criminali, riconducibili alla ‘ndrina Fiarè di San Gregorio d’Ippona, alla ‘ndrina Pititto-Prostamo-Iannello di Mileto ed al gruppo egemone sulla contigua San Calogero, organizzazioni satellite rispetto alla più nota ed egemone cosca dei Mancuso di Limbadi – tutte del Vibonese – con la partecipazione delle più note ‘ndrine della Piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria) e della provincia di Crotone.
L’organizzazione non solo poteva contare sulle entrature nel mercato sudamericano per l’acquisto della cocaina a prezzi assolutamente concorrenziali, ma era capace di tessere continui collegamenti con le floride «piazze» spagnole ed olandesi. Dalle indagini è emerso come i trafficanti calabresi ricevevano liquidità anche da soggetti insospettabili, celati dietro una facciata di liceità, spesso legata ad attività commerciali che vanno dalla ristorazione alle strutture ricettive turistico alberghiere, alle concessionarie di automobili, caseifici, bar e tabacchi, con partecipazioni anche in cantieri navali e aziende agricole, che non disdegnavano di fare affari con le potenti ‘ndrine vibonesi, tramite delle “puntate” per l’acquisto all’ingrosso della cocaina.
IL GRUPPO DEI VIBONESI
Tra i componenti di comando dell’organizzazione, secondo la Dda, vanno ricompresi alcuni soggetti facenti parte della ’ndrina di Mileto e di quella di San Calogero. Rispetto al gruppo di Mileto un ruolo fondamentale lo esercitava Filippo Fiarè, ritenuto il reggente della cosca omonima a seguito della detenzione del fratello Rosario, e sovraordinato rispetto al gruppo di Mileto. Ai vertici del gruppo secondo l’Antimafia si possono collocare «coloro che di fatto hanno promosso, diretto e organizzato le importazioni transnazionali di stupefacente, curandone tutte le fasi, dalla pianificazione sino alla consegna dello stesso, oltre all’approvvigionamento sul territorio. Tra questi sono certamente da annoverare Salvatore Pititto e Fortunato Lo Schiavo, mentre Pasquale Pititto, unitamente a Rocco Iannello e Antonio Prostamo, è da considerarsi indiscutibilmente a capo della ‘ndrina PITITTO-PROSTAMO-IANNELLO.
COINVOLTO ANCHE UN AVVOCATO
Dalle carte dell’inchiesta “Stammer” emerge la responsabilità di un avvocato del Foro di Vibo, per il delitto di favoreggiamento reale, posto che, lo stesso, “lungi dal compiere la doverosa e legittima attività legale, ha posto in essere, per un suo lucro personale, una condotta di aiuto a a Nazzareno Suppa finalizzato al conseguimento dell’utilità illecita, che gli ha consentito di non vedersi sequestrata la somma di danaro della quale era in possesso – sequestro che, come dimostra di essere ben consapevole il legale, viene sempre posto in essere per le utilità (prodotto, profitto o prezzo) in caso di arresto per reato di narcotraffico.
La vicenda scaturisce da una perquisizione al camion di Suppa nel corso della quale furono rinvenuti due kg di cocaina abilmente occultati all’interno del vano porta oggetti posto nella parte superiore della cabina del veicolo. L’indagato era pertanto stato arrestato in flagranza di reato. Nelle conseguenti conversazioni tra Suppa e l’avvocato quest’ultimo, si legge nel fermo, “dapprima consigliava al suo assistito di dimostrare ai finanzieri la provenienza dello stupefacente che gli avevano trovato nel camion, perché diversamente l’avrebbero arrestato (svolgendo così legittima attività legale), ma [richiamandolo con la sua utenza, immediatamente dopo, gli suggeriva] di dire ai finanzieri che i soldi in suo possesso erano per l’avvocato in modo da evitare il sequestro del contante “eh..questi qua ora ..tu ..potrebbero sequestrarteli..quindi se te li beccano digli che sono per l’avvocato che sto arrivando..hai capito”……”stai attento ..non ti fare pizzicare sti denari..quando arrivo me li dai subito..”.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA