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CROTONE – La provincia di Crotone è quella in cui si estraggono più criptovalute in Italia. E c’è un picco altissimo a Isola Capo Rizzuto. In tutto il Crotonese, la presenza di Helium hotspot, indizio potenzialmente significativo dell’attività di “mining”, è dieci volte superiore rispetto a Roma. Il dato anomalo e sorprendente si ricava dallo studio “The Dark-Web Side of Mafias”, coordinato dallo storico Antonio Nicaso, che esplora come la nuova criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta, si sia adattata ad operare nel cyber spazio e come sappia sfruttare le nuove tecnologie. Le grafiche proposte nella sezione relativa a ‘ndrangheta e criptovalute, all’interno della pubblicazione di Zolfo Editore, sono impressionanti. In particolare, nelle aree socialmente più depresse della Calabria, il Crotonese e la Locride, zone ad alta densità mafiosa, viene rilevato un elevato know-how nel campo delle criptovalute.

La cartina dell’Italia contiene una mappatura di esagoni verdi che si concentrano soprattutto nei grandi centri urbani, dove le esigenze di connettività sono enormi. La presenza di hotspot correlati alla popolazione è di uno ogni 20mila abitanti, ma l’anomalia è rappresentata proprio dalla provincia di Crotone, dove c’è in media un hotspot ogni 4600 abitanti. A Isola addirittura si rileva un hotspot ogni 900 abitanti. Confrontiamo questi dati con quello di Roma, che conta due milioni e 873mila abitanti. Qui si registra 1.08 hotspot per 10mila persone. A Isola, con 17.312 abitanti, si contano 8,67 hotspot per 10mila persone. Nell’area della Locride, a fronte di una popolazione di 61.173 abitanti, si rilevano 11.60 hotspot per 10mila persone.

La mappa degli hotspot: è evidente la concentrazione nella zona di Isola Capo Rizzuto

Gli interrogativi in piedi sono molti, anche perché parliamo di due aree, il Crotonese e la Locride, tra le più povere d’Italia, a bassa scolarizzazione e con un forte gap tecnologico. Due aree che sono anche epicentro di organizzazioni criminali che da tempo, come mettono bene in luce le inchieste degli ultimi anni, guardano con interesse ai meandri della finanza creativa e reclutano hacker che lavorano a stretto contatto con i boss. Senza dire che l’attività di estrazione di criptovalute implica un notevole dispendio energetico e quindi investimenti consistenti a monte. Eppure, nella sola provincia di Crotone, osservano gli autori di questo pregevole lavoro interdisciplinare (realizzato dal professor Nicaso insieme a Walter Rauti, Greta Nasi e Luca Fantacci e appena pubblicato da Zolfo Editore), sono censiti 32 clan e si conta un affiliato ogni 200 residenti. In buona sostanza, dal confronto tra le province italiane, «nessun dato giustifica una presenza così massiccia di hotspot di mining di criptovalute in quella zona della provincia di Crotone».

Chi è che “scava” così intensamente, allora? Gli indizi per supporre che ci sia la criminalità organizzata dietro un utilizzo così intenso di una tecnologia recente, come quella delle criptovalute, nata nel 2019, vengono dai nuovi, sofisticati scenari criminali esplorati, per esempio, dall’inchiesta della Dda di Catanzaro che nel giugno scorso ha portato all’operazione “Glicine Acheronte”, con cui è stata fatta luce, tra l’altro, sull’interesse della cosca Megna di Crotone per il trading clandestino online. Tra l’altro, è emerso che il clan reclutava hacker tedeschi che hanno lavorato a stretto contatto con i referenti del boss Domenico Megna e che per un certo periodo hanno alloggiato a Crotone. Uno dei suoi principali fiduciari, Salvatore Aracri, presunto referente tedesco della cosca, pagava in Bitcoin hacker brasiliani in grado di movimentare cifre a sei zeri con un clic. Insomma, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nelle attività di mining come metodo per lavare danaro sporco attraverso transazioni on line non è assolutamente da escludere.

A ciò si aggiunga una nuova tendenza, messa in evidenza da Eurojust, secondo cui negli ultimi anni «sono aumentati i casi in cui le richieste di sequestro e confisca, soprattutto al di fuori dell’Italia, prendono di mira wallet con-tenenti criptovalute, a dimostrazione dell’interesse crescente delle organizzazioni criminali per le valute digitali». Non a caso il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che fino a poche mesi fa guidava la Dda di Catanzaro, nella prefazione afferma che «il rilevamento anomalo di hotspot in Calabria conferma la forte capacità estrattiva di alcune famiglie di ’ndrangheta sul fronte della creazione di criptovalute. Non siamo più in presenza di clan scarsamente competenti, come li avevamo immaginati, ma di organizzazioni in grado di districarsi tra i meandri della finanza creativa e speculativa, grazie anche a hacker e pirati informatici sempre più funzionali alle logiche imprenditoriali e finanziarie della ’ndrangheta, una delle organizzazioni criminali più ricche e potenti».

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