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La cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Potenza

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POTENZA – Un tempo la Basilicata era comunque considerata un trampolino per rilanciare carriere, acquisendo i “gradi” da spendere in contesti più ambiti, ma ora non più, e se va deserta persino la selezione per l’incarico di presidente della Corte d’appello di Potenza, allora c’è da temere per il futuro degli uffici giudiziari lucani. Perché viene a mancare proprio chi dovrebbe difenderlo con maggiore determinazione. Sa di ultimo avvertimento quello lanciato ieri da Alberto Iannuzzi, inaugurando l’anno giudiziario nelle vesti di presidente vicario della Corte d’appello. Il magistrato potentino, diventato celebre in tutta Italia come gip delle inchieste che hanno portato in carcere, tra il 2006 e il 2006, Fabrizio Corona e Vittorio Emanuele di Savoia, ha sottolineato la solennità dell’occasione, ma non ha rinunciato ad affrontare le criticità nel distretto giudiziario. Marcando le distanze in maniera evidente dai toni entusiastici con cui l’anno scorso l’allora presidente della Corte, Rosa Sinisi, intanto trasferitasi al Ministero di Giustizia, aveva celebrato i dati sulla riduzione delle pendenze e della durata media dei procedimenti.

Un’accorata denuncia, quella di Iannuzzi, che in premessa ha voluto subito chiarire che quella di ieri sarebbe stata la sua unica ed ultima relazione sull’andamento della giustizia in Basilicata, dal momento che tra un mese dovrebbe andare in pensione. «Chi vive la realtà quotidiana sa bene che “non tutto è oro quel che riluce”». Così il giudice potentino , che si è soffermato soprattutto sulle carenze di organico degli uffici giudiziari lucani, che un tempo parevano limitate ai ruoli più bassi dell’ordinamento giudiziario, risparmiando gli incarichi direttivi.

«In meno di due mesi si sono verificate due scoperture particolarmente pesanti, in quanto hanno interessato gli uffici apicali della Corte di appello, che si sommano a quelle già preesistenti nella sezione civile. Una situazione di scopertura di per sé già grave, che assume connotazioni davvero preoccupanti e, per certi versi impensabile sino a ieri, se si considera che per la prima volta nella storia di questo distretto il posto di Presidente della Corte, pubblicato con procedura concorsuale, quasi certamente rimarrà vacante per mancanza di aspiranti. E parliamo del posto apicale più prestigioso della carriera giudicante, un tempo molto ambito anche dai magistrati in servizio nei distretti viciniori». Iannuzzi, che per la copertina della sua relazione ha scelto un’immagine dell’Incompiuta di Venosa, di chiara valenza metaforica, ha parlato di un fatto, l’assenza di domande per la guida del distretto giudiziario lucano, che «deve far riflettere».

«Perché costituisce – ha aggiunto – un evidente sintomo della scarsa attrattività della Corte di appello e non può non essere motivo di preoccupazione sugli scenari futuri che si aprono, considerando che dal prossimo primo marzo rimarrà scoperto anche il posto di presidente della sezione civile della Corte, insieme a quello di presidente vicario, dal momento che anche io andrò in pensione».

«E’ doveroso da parte mia rilevare – ha aggiunto ancora Iannuzzi – che questa situazione mette a rischio la stessa sopravvivenza della Corte di appello di Potenza, laddove fosse rispolverato il progetto legislativo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, che sembrava ormai accantonato e che prevedeva la soppressione o comunque l’accorpamento della Corte di appello di Potenza ad altra più vicina. E’ evidente, infatti, che in una situazione di scopertura come quella attuale, la proposta di soppressione troverebbe terreno estremamente fertile, stante anche la minore capacità di resistenza che ci sarebbe in assenza dei titolari degli uffici apicali, i più interessati a contrastare tale disegno».

Il presidente vicario della Corte d’appello ha sottolineato anche «negli uffici giudiziari lucani, la situazione non meno preoccupante riguardante il personale amministrativo, destinata ad aggravarsi e a raggiungere livelli di scopertura da record nazionale assoluto». Col 45,10% di personale mancante al 30 giugno, inclusi tutti e tre i funzionari contabili previsti e il funzionario tecnico. «Degli otto operatori giudiziari previsti in pianta organica – ha proseguito il giudice potentino – risultava coperto solo un posto, con una scopertura pari all’87,50%. Analoga scopertura si riscontrava tra gli ausiliari, poiché dei sette posti restavano vacanti ben sei posti».

«Peraltro, si tratta di una situazione destinata in prospettiva ad aggravarsi – ha insistito Iannuzzi -, poiché a seguito dei prossimi sicuri pensionamenti, per raggiunti limiti di età, la pianta organica del personale amministrativo nell’anno 2024 farà registrare un ulteriore aumento della scopertura totale, che sarà pari al 56,86%». Il presidente vicario non si è sottratto nemmeno a un’analisi, molto critica, delle ultime riforme in materia di giustizia. Già compiute o in itinere. Da quella della prescrizione, che «riscrive la materia per l’ennesima volta in meno di sette anni, facendo coesistere ben cinque discipline e creando complessi problemi interpretativi»), all’ abolizione del reato di abuso d’ufficio, perché «non appaiono fondate le ragioni esplicitate a sostegno dell’abolizione del reato, riconducibili alla cosiddetta “paura della firma”, che tra l’altro, potrebbero essere invocate da tutti i pubblici ufficiali, non solo i sindaci, compresi i magistrati che firmano ogni anno decine di migliaia di sentenze e di provvedimenti amministrativi».

Ma anche la «cosiddetta legge bavaglio» per i giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria. Perché per questi ultimi: «se non fosse possibile riferire il contenuto delle ordinanze cautelari, l’alternativa sarebbe trovare altre fonti, con il rischio di dare spazio a fonti informative che facilmente potranno risultare inquinate e condizionate dalla esigenza non solo di vedere riconosciuti i diritti dell’indagato, ma anche di vedere soddisfatti più agevolmente gli interessi di coloro che hanno maggiori disponibilità economiche, tra i quali certamente non possono essere annoverati i cittadini comuni». «A ben vedere – ha tirato le somme Iannuzzi -, non una di queste riforme sembra in grado di incidere positivamente sui tempi di svolgimento delle attività processuali e sulla possibilità di dare una risposta tempestiva alla domanda di giustizia che proviene dai cittadini; e, anzi, a volte si ha il fondato timore che le innovazioni proposte, nel momento in cui ampliano le garanzie processuali riconosciute all’imputato, possano essere foriere di ulteriori intralci al cammino della giustizia, che già procede lentamente».

«C’è da chiedersi, e il discorso vale non solo con riguardo all’attualità, ma anche per il passato – ha concluso il presidente della Corte d’appello -, se in tema di riforme non si debba dar ragione a chi sostiene che la più grande delle riforme sarebbe quella di non fare più riforme; meglio, di far funzionare l’esistente, vale a dire mettere i magistrati nelle condizioni di poter svolgere le loro funzioni negli uffici giudiziari lucani e non solo».

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