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Antonio Tajani

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L’eredità politica di Berlusconi è il tentativo di costruire un’alternativa moderata per il cambiamento. Nel momento in cui i vecchi partiti della Prima Repubblica erano saltati, il Cavaliere scese in campo per non dare spazio a un nuovo giacobinismo. Oggi come allora Forza Italia deve provare a essere coagulo delle menti riformiste per aprirsi uno spazio tra il giacobinismo populista di Salvini e quello revanscista che gira intorno alla Meloni, non a lei come capo di governo. Per fare questo deve sfruttare l’unico grosso vantaggio che ha e, cioè, giocare la carta internazionale di Tajani.

Sull’anniversario dei trent’anni di Forza Italia e il racconto della figura del suo fondatore che è un unicum assoluto nella storia della politica di questo Paese, anche nei rapporti con la magistratura, della sua politica estera, della economia, della comunicazione e del costume, si sono dette e si continueranno a dire molte cose vere, ma almeno altrettante fuori misura perché il racconto appartiene alla storia e ha bisogno dei suoi tempi per essere sedimentato e ricostruito nel modo più veritiero possibile.

Quello che la gente ha oggi bisogno di capire è quale può essere la vera eredità di Berlusconi togliendo almeno per ora dal tavolo gli aspetti folcloristici che sono stati il suo limite. L’eredità forte nella politica è rappresentata dal tentativo compiuto di costruire un’alternativa moderata per il cambiamento. Nel momento in cui si rese conto che i vecchi partiti della Prima Repubblica erano saltati, il Cavaliere scese in campo perché era convinto che non si poteva dare spazio a un nuovo giacobinismo. Purtroppo, questo giacobinismo si è invece rafforzato con un copione speciale che ha riguardato il suo rapporto con i giudici milanesi e un racconto mediatico del Berlusconi brutto e cattivo dando lui stesso stupidamente spago a questa immagine che ha finito con il lasciare nell’ombra un’azione di governo e di politica estera che ha avuto momenti importanti.

Se Forza Italia oggi vuole fare qualcosa di buono, e ha tutte le carte per farlo, deve prendere come eredità proprio quel tentativo che ha segnato l’inizio dell’attività politica di Berlusconi e presentarsi oggi come allora al giudizio degli elettori, come motore principale del cambiamento rispetto al giacobinismo di oggi. Ha la possibilità reale di aprirsi uno spazio importante tra il giacobinismo a tratti straccione di Salvini e quello un po’ revanscista che gira intorno alla Meloni non a lei come capo di governo.

Per fare questo deve sfruttare l’unico grosso vantaggio che ha e, cioè, giocare la carta internazionale di Tajani e i risultati di qualche buon amministratore. Deve rifare l’operazione che andò male a Berlusconi proprio all’inizio, quando chiamò a raccolta un gruppo di intellettuali che generassero un pensiero riformista, e può attuarla oggi assumendo, ad esempio, una linea di garanzia dell’indipendenza della gestione della Rai o nella allocazione dei posti pubblici da sempre appannaggio della politica in ogni tipo di azienda a controllo statale diretto e indiretto.

Perché questo tipo di atteggiamento potrebbe di certo fare la differenza facendo e diventando nel pensiero comune collettivo ciò che fu l’esperienza repubblicana di Ugo La Malfa nella prima metà della prima Repubblica. Fu un partito che aveva una dirigenza che aveva capito che non bisognava sbavare e che incontrò alleati che tendenzialmente non sbavarono. Oggi negli alleati di governo c’è una forte volontà di sbavare e porre un argine a questo processo o tenersene fuori potrebbe fare la differenza. Il contesto geopolitico con le due guerre allargate e la grande crisi internazionale rilanciano la sfida europea e obbligano l’Europa a uscire dalle sue miopie.

Questo contesto, per gli indubbi risultati conseguiti a più riprese come commissario e come presidente del Parlamento europeo, rilancia il ruolo di Tajani che conta su un bagaglio storico di relazioni costruito in circa venti anni che nessuno ha nella coalizione di Destra centro oggi al governo. Tajani è l’unico che può svolgere un ruolo inclusivo aprendo a quella parte molto forte di europeismo che c’è nel Pd selezionando e stabilizzando le alleanze giuste in casa e fuori per avviare un confronto costruttivo e rispettoso che si misuri con la gravità dei problemi e abbandoni le mitologie dei talk show. In tutti i ruoli di governo della Commissione e alla guida del Parlamento europei ha sempre preservato un rapporto molto forte con i popolari anche quando la Merkel con a fianco Sarkozy oltrepassò i limiti consentiti a un capo di governo di un grande Paese nelle sue relazioni con Berlusconi che è stato il capo di governo più a lungo in carica di un altro grande Paese europeo, l’Italia, e ha avuto proprio nella politica internazionale intuizione e risultati di non poco conto.

Questa cultura internazionale, che è conoscenza dei fenomeni e prova di competenza, è l’unico vero punto da cui Forza Italia può ripartire. Per tornare a svolgere questo ruolo pedagogico nei confronti della Destra ed aprire un ponte di dialogo con la Sinistra. Questo è il lavoro da fare in casa che si intreccia con una visione e una coerenza di comportamenti in Europa che il bagaglio di esperienza e di relazioni favorisce. Si farebbe bene nel dibattito pubblico italiano a non banalizzare sempre tutto e, soprattutto, farebbero bene dentro Forza Italia a non lasciare spazio a questo tipo di banalizzazioni in casa propria perché la partita del futuro la possono vincere solo ora restando uniti. I distinguo e le polemiche tagliano i ponti intorno e fanno il gioco dei giacobinismi da cui sono circondati.


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