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Milano, 22 gen. (askanews) – Non c’è solo un Vladimir in Russia. Venerato e ancora oggi ascoltato come uno dei pochi aneliti di libertà, il cantautore, attore, “poeta del magnetofono” e dissidente sovietico Vladimir Vysotskij avrebbe compiuto 85 anni il 25 gennaio. Premio Tenco nel 1993, considerato tra i più grandi cantautori del secondo dopoguerra, e marito di Marina Vlady, Vysotskij è stato in grado di incarnare e mettere in musica la ruggente anima russa ingabbiata dal regime sovietico, tra gli anni 60 e i 70, sino alla sua morte avvenuta nel 1980. E proprio le sue esequie a Mosca, taciute dalla stampa locale ma partecipatissime, dimostrano ancora oggi come funzionava – e forse funziona – la controcultura, all’epoca del samizdat e del magnetofono.

A ricordare oggi Vysotskij a Mosca è il prestigioso – ma di nicchia – Igor Butman Jazz Club che proprio questo giovedì ha in cartellone “le iconiche canzoni di Vysotskij sul nostro palco, eseguite da Alla Reed”. Per ora non si segnala altro di eclatante.

Eppure, figlio di un ebreo russo, ufficiale dell’Armata Rossa, e di una interprete dal tedesco, Vysotskij con il suo mito è sopravvissuto non soltanto alla morte, ma anche ai ripetuti tentativi della propaganda di ucciderlo nuovamente. Tra gli ultimi il film russo “Vysotskij. Grazie per essere vivo” (2011), che pure avendo come sceneggiatore il figlio del bardo e poeta, è stato considerato ampiamente dalla critica come un insulto alla memoria dell’artista.

La sua canzone “Dal fronte non è più tornato” (“On ne vernulsja iz boja”) di cui esiste anche una versione in italiano relizzata da Eugenio Finardi, rappresenta ancora oggi quanto fosse diropente la natura delle sue creazioni e della sua denuncia, attuale come non mai.

Boicottato dal regime di Brezhnev, Vysotskij mai approfittò del privilegio offerto dal matrimonio con la francese di origini russe Marina Vlady, celebrato senza marcia nuziale nel 70 e con gli sposi in dolcevita: il passaporto per viaggiare all’estero – ottenuto soltanto nel 1973 – non venne mai usato per fuggire oltre cortina, ma piuttosto per un viaggio in Europa a bordo di una Renault. Peraltro nel 1965 aveva già composto una canzone sui problemi che avrebbe potuto affrontare un cittadino sovietico che avesse deciso di viaggiare all’estero; cominciava con le parole: “Prima di andare all’estero / Compili un mucchio di moduli…”.

(di Cristina Giuliano)

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