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Le ragioni dell’addio dei giovani alla Basilicata: studio al 36%, lavoro al 40% ma anche il 21% per questioni personali. Il 73% pensa che le proprie capacità e competenze siano meglio valorizzate fuori regione. Il 44 per cento sa in partenza che non tornerà

POTENZA – È un giovane dalle eccellenti doti ma nella cittadina lucana in cui è nato – e che ama e amerà per tutta la vita – non riesce a manifestarle appieno. Poi si trasferisce a Roma, può studiare come aveva sempre desiderato e va anche a perfezionarsi all’estero (il papà, pur di umili origini, ha i mezzi per mantenerlo). Quando torna a Roma riesce in poco tempo a valorizzare i suoi studi e a mostrare il proprio talento. Grazie a un mecenate che ne comprende il valore riuscirà a vivere della sua passione: la poesia.

Sembra una biografia attuale. Ma il mecenate è proprio Mecenate, la cittadina lucana è Venosa, la storia si svolge prima della nascita di Cristo e il poeta emigrante è Quinto Orazio Flacco.
Antenato illustre e ideale dei protagonisti dell’indagine “Via dalla Basilicata: necessità o scelta?”, capaci di cogliere l’attimo non fuggente ma “fuggitivo”, utile a saggiare altri ambienti, altre opportunità fino a rimanerne affascinati e viverci. Lo studio è stato presentato nel Polo bibliotecario di Potenza da chi l’ha immaginata e realizzata: Davide Bubbico, docente del dipartimento di Studi politici e sociali dell’UniSa e Adriana Salvia, presidente della Libera Università delle Donne. È stata proprio la Salvia (della cui relazione scriviamo in altro articolo di queste pagine) a suggerire il parallelo con Orazio.

A introdurre i lavori il direttore della Biblioteca nazionale, Luigi Catalani, che ricorda come la struttura adempia al ruolo culturale impresso all’atto dell’inaugurazione.
Bubbico presenta la ricerca sottolineando subito come emerga una lettura non dualistica della realtà: non solo il lavoro e lo studio come molle per lasciare la regione ma anche motivi diversi, più personali (il 21%, per quantificarne la percentuale).
Inoltre, non è vero che vadano via solo quelli con lauree e master. Non emigrano solo i più preparati.

Per l’indagine è stato seguito il metodo Cawi, ossia la compilazione di un questionario via web (5 sezioni per 60 domande). Interessato chi ha lasciato in forma stabile la Basilicata (preferibilmente dal 2000 in poi) per andare in un’altra regione italiana o all’estero (escluso chi è ancora studente universitario e i pendolari di medio-lungo raggio). Raccolte 574 risposte, di cui 503 quelle utilizzate.
Identikit degli intervistati: per la maggior parte donne (59% contro il 41% dei maschi), 38 anni di media, per buona parte del Potentino, per metà con la laurea magistrale.

Le motivazioni di base per il trasferimento? Studio al 36%, lavoro al 40% ma anche motivi personali per un significativo 21%.
Chi studia o ha studiato fuori regione lo ha fatto soprattutto per seguire un corso di laurea triennale non presente all’Unibas (22,1%), in seconda battuta (15,2%) per iscriversi in un ateneo fuori regione indipendentemente dal corso di laurea. Già qui è chiara una distinzione fra la necessità (prima esigenza) e la scelta (seconda esigenza).
Il 44% già all’atto della partenza per gli studi sapeva che non sarebbe rientrato.
Sul versante del lavoro, ex aequo (24,5%) fra chi cercava un’occupazione e chi invece inseguiva un’opportunità commisurata alla propria preparazione universitaria. Anche qui testa a testa fra necessità e scelta. Il 71% ha un lavoro a tempo indeterminato.

Molti hanno avuto esperienze di lavoro in Basilicata prima di levare le tende. La prima osservazione in merito è che quel posto non soddisfaceva dal punto di vista professionale (opportunità di carriera, livello retributivo eccetera). La seconda è che non corrispondeva alle aspettative. E poi via a un campionario di precarietà, lavoro in nero, licenziamenti improvvisi e via dicendo.
Il 73% pensa che le proprie capacità e competenze siano state meglio valorizzate fuori regione rispetto a ciò che sarebbe accaduto rimanendo in Basilicata.

Le motivazioni personali per il trasferimento mettono in fila la voglia di «vivere in un territorio più stimolante sotto il profilo socioculturale», la decisione di seguire il partner, la «ricerca di una migliore qualità della vita», l’aspirazione a «mettersi alla prova» o ad avere «una completa indipendenza dalla famiglia», il desiderio di trasferirsi altrove o l’ambizione a «non vivere più in un piccolo comune».
Ma ci sono anche l’incompatibilità con la mentalità del luogo di origine, il peggioramento dell’occupazione in Basilicata e il sostegno dei genitori. Meno il parere degli amici.

Il 32,8 per cento non vuole più tornare in regione. Un 14,5% non lo ha programmato ma non disdegnerebbe. Lo farebbe ma non subito il 13,9%. Lo farebbe immediatamente il 12,9%.
Ciò che piace molto fuori regione sono le possibilità di svago e intrattenimento culturale, le opportunità formative e lavorative, la qualità dei servizi pubblici, le amicizie. Meno il costo della vita e i prezzi del mercato immobiliare, veri (e quasi unici) problemi della vita fuori dai confini lucani.
Da fuori è duro il giudizio sugli ostacoli allo sviluppo della Basilicata: eccessivo peso delle clientele, incapacità di programmare a partire dalle tante risorse lucane, scarsa cultura imprenditoriale, troppi gruppi di potere nel mondo delle professioni, inadeguatezza della pubblica amministrazione.
Insomma, andare via è scelta o necessità? Incrociando tutte le risposte, il responso è che si tratta di necessità per il 58% degli intervistati e di scelta per il 42%. Non è un pareggio ma poco ci manca.

Le considerazioni finali: rilevanza dei fattori extra-occupazionali nelle motivazioni alla base della partenza e giudizio negativo sulle esperienze di lavoro avute in Basilicata. Una domanda: le “politiche di richiamo”, quelle che dovrebbero servire a far tornare chi è andato via, sono davvero una prospettiva utile da perseguire? Forse converrebbe «migliorare la qualità della vita, dell’occupazione e il funzionamento del mercato del lavoro come condizione fondamentale per contrastare la propensione migratoria».
Interviene Margherita Perretti, presidente della Commissione regionale pari opportunità, che ricorda come «la mobilità sia positiva, un arricchimento per le persone e i territori. Il problema è che in Basilicata è solo in uscita». L’invito è a migliorare l’accoglienza per chi migra in Basilicata (dall’Africa, dai Paesi dell’Est), a ripensare l’Unibas, a rimettere in sesto le aree industriali in condizioni disastrose.

Sul bonus gas: «Sarà servito a contenere l’inflazione ma sicuramente non attrae e non trattiene». Dito puntato sulla «assoluta mancanza di politiche per i giovani e le donne», gli asili nido (in ospedale, università e Regione) mai realizzati.

Intervento appassionato quello della cofondatrice di Generazione Lucana, Margherita Dilucca. Molto attenta alle questioni di genere, Dilucca ricorda come le donne sopportino sulle spalle un lavoro di cura e accudimento che società e partner spesso non supportano. Ma «se si fanno meno figli in Basilicata c’entra anche il petrolio. La questione ambientale fa paura, è difficile far nascere qualcuno in un mondo in rovina».
E sulla possibilità di andarsene: «Non tutti abbiamo la possibilità di scelta, non tutti siamo privilegiati».
Il primo emigrante lucano Orazio avrebbe detto: «Con la ricchezza aumentano le preoccupazioni. Con la povertà non diminuiscono».

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