Il nuovo tribunale di Vibo Valentia
2 minuti per la letturaCitazione diretta in giudizio per la presunta truffa sui lavori del III lotto del nuovo tribunale di Vibo: revocato l’incarico al direttore dei lavori finito a processo
VIBO VALENTIA – È venuto meno il rapporto fiduciario. Questa la motivazione che ha spinto l’amministrazione comunale a procedere alla revoca dell’incarico di direttore dei lavori per Pasquale Lagadari. La decisione a seguito della citazione diretta in giudizio per il professionista con l’udienza che si terrà questa mattina al palazzo di giustizia di Vibo.
La vicenda ruota attorno ad una presunta truffa per i lavori di completamento del III lotto del nuovo tribunale di via Lacquari. Inchiesta che ha visti indagati anche il costruttore Umberto Memoli e Marco Magi, 64 anni, di Montevarchi (Arezzo), in qualità di legale rappresentante della società che aveva vinto l’appalto con un ribasso del 63% che aveva portato il costo a 3,2 milioni di euro su un totale di circa 7 milioni. Il Comune ha adottato il provvedimento, vergato dal segretario comunale Domenico Libero Scuglia, il 12 gennaio scorso.
Poche righe in burocratese in cui si evince chiaramente la sostituzione di Lagadari dall’incarico ricoperto fino a qualche giorno addietro, anche a seguito del fatto che l’ente locale è intenzionato a costituirsi Parte civile nel dibattimento.
NUOVO TRIBUNALE DI VIBO, REVOCATO L’INCARICO AL DIRETTORE DEI LAVORI FINITO SOTTO PROCESSO
In particolare, secondo le investigazioni condotte dal tenente colonnello della Finanza, Froio, e dal capitano Castorina, gli indagati avrebbero attestato falsamente, nelle certificazioni e schede tecniche relative al contratto d’appalto, la fornitura di beni che per natura, qualità e quantità si rivelavano in concreto diversi; eseguito lavori che avevano una maggiore incidenza di manodopera e che richiedevano una bassa fornitura di materiale avente costo maggiore, senza il completamento di aree parziali in modo da renderle usufruibili per l’appaltante; contabilizzato lavori non eseguiti per una differenza, incamerata illegittimamente, di 350mila euro.
Nel 2015 il Cipe aveva accolto le richieste dell’amministrazione comunale targata Nicola D’Agostino deliberando il finanziamento per il completamento del terzo lotto. Era quindi stata predisposta la gara e nonostante un ribasso “monstre”, ben il 63%, l’appalto concernente la sola struttura (6,8 milioni) era stato aggiudicato alla Polimpianti di Villaricca (Na) per 3,2 milioni di euro. Ne era nata una battaglia legale con l’azienda risultata seconda in graduatoria. Battaglia trascinata per quasi un anno e, nonostante due pronunce del Tar di Catanzaro sfavorevoli, Palazzo Razza aveva confermato l’appalto alla società partenopea. Società che però, nel frattempo, era finita in liquidazione. Era quindi subentrata la “Sici”.
L’edificio di quattro piani più un seminterrato si estende su una superficie di 9mila metri quadri (16mila compresa anche l’area esterna) ma attualmente le attività al suo interno, lo ricordiamo, sono esigue. I locali, tutti al pian terreno, ospitano gli ufficiali giudiziari, il Giudice di pace, i magistrati di lavoro e previdenza, l’aula bunker e la sede dell’Ordine degli avvocati
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