La manifestazione in piazza del Plebiscito a Napoli contro l'autonomia differenziata
5 minuti per la letturaGONGOLA Roberto Calderoli mentre impettito fa il suo ingresso a Palazzo Madama: lui, ministro per gli Affari regionali e le autonomie del governo Meloni aspettava questo giorno da sempre ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato così presto e che lui, chirurgo mancato, avrebbe affilato il suo bisturi spacca Italia. Il vecchio sogno di Umberto Bossi che si realizza, l’idea che le regioni più ricche possano gestire le risorse meglio dello Stato centrale. Concetto che al tempo del senatùr si traduceva nella lotta contro Roma ladrona, concetto mutuato in “federalismo fiscale”. Ma la sostanza è la stessa.
Di acqua sotto i ponti del “sacro fiume” Po ne è passata tanta. Il sogno è rimasto, un misto di esaltazione dell’efficienza padana, battaglia identitaria e propaganda elettorale in vista delle prossime Europee. Il “va pensiero” di Calderoli è tutto dedicato al professor Sabino Cassese, un pubblico encomio al costituzionalista che ha sposato la causa leghista dell’autonomia differenziata. “Ringrazio il cielo di averlo incrociato per la mia strada e di averlo cercato – l’omaggio del ministro al professore – si è impegnato da maggio a fine ottobre lavorando giorno e notte, compreso agosto, per arrivare ad un obiettivo da entrambi condiviso”.
Nelle 58 audizioni che si sono tenute in commissione Affari costituzionali molti illustri colleghi di Cassese hanno definito il Ddl Spacca Italia “uno stravolgimento dell’ordinamento”. Per il padre del Porcellum la sua creatura è invece “il riconoscimento dei diritti civili e sociali dei cittadini”. Ci sarebbe da chiedersi se Cassese dinanzi a cotanto encomio da parte del ministro del Carroccio non debba farsi qualche domanda. Ma questo è un altro discorso e attiene ai contrasti che il presidente della Comitato Lep ha avuto con gli altri saggi che hanno deciso di farsi da parte e lasciare il Comitato, (Paino, Gallo, Amato e Bassanini). Ma tant’è.
La giornata di ieri è stata quella delle pregiudiziali sollevate dalle opposizioni. Il profilo di legittimità costituzionale di una legge spacca Italia che i senatori Pippo De Cristofaro (Misto), Enrico Borghi e Dario Parrini (Pd) non hanno esitato a definire “irrealizzabile”. “Verrà cancellata dalla Corte costituzionale”, ha vaticinato Francesco Castiello (M5S), forse il più accalorato, applauditissimo quando in Aula ha citato un discorso pronunciato da Nenni nel marzo del 1947. Vi era contenuta l’idea di un federalismo solidale, quella che avevano i padri costituenti. Nulla a che vedere con il disegno leghista. Non sono mancate le frecciate scagliate contro “quelli che hanno l’Italia nel nome del loro partito” (Maria Domenica Castellone, capogruppo M5S), riferimento agli altri due componenti della maggioranza. Ma niente ostruzionismo, interventi contingentati poiché Calderoli ha collegato il suo Ddl al Bilancio pur non essendoci apparentemente nessun esborso di spese aggiuntive. Lo Spacca-Italia, “una riforma costituzionale nascosta”, (Antonio Nicita, Pd) attraverso una legge ordinaria, esautorando il Parlamento delle sue prerogative. Un ddl che rischia di congelare le differenze territoriali, ampliare il solco tra il Nord e il Sud. Un regionalismo competitivo che non serve al Paese, “mette a rischio l’unità, è un incubo per il Mezzogiorno”. Questi in sintesi i concetti espressi ieri dalle opposizioni. Le 3 regioni che nel 2018, ai tempi del governo Gentiloni, firmarono le pre-intese, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna potranno richiedere la devoluzione (art.116 terzo comma) in materie di importanza strategica. Una su tutte: l’istruzione. Che vuol dire una scuola di serie A e una di serie B.
Erika Stefani, ministra leghista per gli Affari regionali, ai tempi del governo Conte I ha definito la giornata “storica”. Ha replicato sostenendo che il Ddl Calderoli non è contro la Costituzione ma la applica”. Il senatore Alberto Balboni, presidente della commissione Affari costituzionali (Fdi) ha punzecchiato il pd. “Come mai tutte queste eccezioni di costituzionalità non furono sollevate al tempo del governo Gentiloni? Politicamente – ha affondato il colpo – portate la responsabilità di aver aperto questo procedimento, noi vogliamo dare regole uguali per tutti, Fratelli d’Italia voterà convintamente per questa legge”. Difficile dargli torto. E che il Pd abbia la sua quota di responsabilità per le ambiguità del passato e i tanti silenzi di oggi è sotto gli occhi di tutti. Anche se ora Elly Schlein si dice “pronta a dare battaglia”. Ieri la segretaria dem era in Piazza del Pantheon, a Roma, alla manifestazione indetta da vari comitati contro l’autonomia differenziata insieme ai leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni e del M5S Giuseppe Conte. “Siamo pronti a chiamare i cittadini al referendum ma la battaglia ora è viva in Parlamento”, ha risposto ai cronisti l’ex premier. Una prospettiva che fa tremare i polsi, vorrebbe dire chiamare alle urne i cittadini, mettere il Nord contro il Sud. Altre manifestazioni si sono svolte in altre città italiane dinanzi alle prefetture, a Napoli si è tenuto un presidio in piazza del Plebiscito con la partecipazione dei sindacati, presenti anche gli ex sindaci partenopei Luigi de Magistris e Antonio Bassolino.
E ora? Non saranno le mobilitazioni di piazza a rispedire al mittente il Ddl. Il tema non fa presa, non viene compreso per l’importanza e le ricadute che avrà sulle regioni. Una questione ancora per addetti ai lavori, tutta interna al Palazzo. Le pregiudiziali, ampiamente previsto, ieri sono state respinte (90 voti contrari, 71 favorevoli e 3 astenuti). Ma non finirà qui. Questa mattina nuova seduta e nuovo esame del Ddl. Prima del voto saranno discussi gli emendamenti. “Siamo aperti a miglioramenti – ha fatto sapere il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo – adesso vedremo la V commissione che dovrà dare i pareri della Ragioneria e poi cominciamo l’iter”. Calderoli ha fiutato gli umori e vuole chiudere in fretta.
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