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La partita europea da giocare è la leadership del Sud globale per frenare i venti di guerra mondiale e fare incontrare il Nord sempre più ristretto e i Sud sempre più popolosi nei loro territori come risposta europea al declino del secondo colonialismo francese e anglosassone. Questa è la partita che l’Italia non può nemmeno giocare con le alleanze giuste in Europa se accentua le frammentazioni decisionali territoriali in casa andando nella direzione opposta a quella praticata con successo per Pnrr e gestione dei fondi europei. Serve la revisione dello Stato e delle sue duplicazioni tagliando sprechi e distorsioni per recuperare almeno una parte di quei giganteschi fabbisogni finanziari indispensabili per rendere più uniforme la spesa pro capite per ogni cittadino italiano nei livelli di servizio essenziali. La Meloni può essere la nuova Thatcher solo se farà queste riforme e aprirà sempre più i mercati alla concorrenza.

Si sta cercando una bandierina politica da sventolare alle europee. Ovviamente chi la vuole sbandierare è la Lega e chi, ancora di più, tiene invece al risultato, oltre che al drappo, sono i presidenti di Regione leghisti della Lombardia e del Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia. Stiamo parlando dell’autonomia differenziata e, quindi, dell’ipotetico traguardo di un percorso iniziato con la modifica del titolo quinto della Costituzione che ha portato al federalismo fiscale all’italiana.

Un grande pasticcio della politica di destra e di sinistra, condizionate anche allora dall’inseguimento di spinte secessioniste e divisive a fini puramente elettorali, che ha minato dalle fondamenta la competitività della nostra economia e moltiplicato burocrazie e inefficienze facendo perdere la visione delle priorità del Paese. Un processo distorsivo che ha allargato il solco delle diseguaglianze e ogni tipo di divario, territoriale, di genere e generazionale. Ha tolto ai poveri per dare ai ricchi sottraendo alle aree interne per favorire quelle metropolitane, al Nord come al Sud, e sottraendo risorse vitali per servizi vitali all’intero Mezzogiorno favorendo in modo miope il Nord.

Si è contribuito a creare un contesto ambientale di degrado che ha pesato in modo dirompente sulla crescita dei territori meridionali riducendo sensibilmente il potenziale di espansione dell’economia italiana e acuendo le sue piaghe sociali e civili. Questo giornale ha iniziato le sue pubblicazioni ormai più di quattro anni fa con un’inchiesta che denunciava lo scandalo della spesa storica per cui questo federalismo fiscale all’italiana (legge Calderoli del 2009) ha potuto, con una copertura costituzionale garantita dal voto della politica nazionale meno lungimirante, di erogare per legge trasferimenti pubblici che sanciscono lo status di cittadini di serie A, B, C a seconda, ad esempio, se nasci a Reggio Emilia o a Reggio Calabria, ma anche se nasci a Venezia e non a Rovigo.

Lo stratagemma legislativo dell’inganno, disvelato allora dalla nostra inchiesta giornalistica, è presto detto: noi ci impegniamo solennemente a studiare e promulgare i livelli essenziali di prestazione, nella sanità come nella scuola e nei trasporti, proprio perché tutti i cittadini hanno gli stessi diritti, ma nel frattempo i trasferimenti avvengono sulla base della spesa storica che vuol dire essenzialmente che chi già riceve di più continua a ricevere sempre di più e chi riceve di meno continua a ricevere sempre di meno.

Denunciammo questo misfatto che vale decine di miliardi l’anno di soldi pubblici e ne nacque una commissione di indagine parlamentare che certificò ai massimi livelli l’estrema correttezza di questa ricostruzione avvenuta peraltro tutta con dati della contabilità nazionale. Ricordo a mente che quando la Presidente Ruocco in Parlamento disse al ministro pro tempore dell’epoca, Francesco Boccia, “emerge che ballano 60 miliardi l’anno” ebbe la seguente replica: “la correggo Presidente, non sono più 60, ma 62 e passa i miliardi che ballano”. A dimostrazione che questa macchinetta micidiale che scassa dalle fondamenta le ragioni costitutive di un Paese è come una specie di moltiplicatore automatico che non si ferma mai e produce danni incalcolabili.

Allora, vogliamo dirla davvero tutta: evitiamo di fare sventolare alla Lega altre bandierine, come avvenne nel 2009, perché a quel punto sarebbe in gioco la tenuta democratica del Paese e si rischierebbe di vanificare lo sforzo di riequilibrio infrastrutturale che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) persegue e genererebbe una gelata su quelle spinte di produzione e di innovazione che stanno connotando la ripartenza del nostro Mezzogiorno e ne hanno determinato un cambio di narrazione colto anche dagli osservatori internazionali. Quelle spinte che permettono all’Europa di continuare a sperare di evitare la recessione scommettendo sul suo nuovo Nord che è proprio il nostro Mezzogiorno, porta dell’Europa sui quattro Mediterranei e incrocio obbligato per i Sud del mondo.

La partita da giocare è europea, prima ancora che italiana, e riguarda la sfida della leadership del Sud globale per frenare i venti di guerra mondiale e fare incontrare il Nord sempre più ristretto e i Sud sempre più popolosi nei loro territori come risposta europea al declino del secondo colonialismo francese e anglosassone. Questa è la partita che ha l’Italia davanti a sé e che non può nemmeno giocare con le alleanze giuste in Europa se accentua le frammentazioni decisionali territoriali in casa andando peraltro nella direzione opposta a quella scelta e praticata con successo per la revisione del Pnrr e la gestione di tutti i fondi europei.

Smettiamola di giocare con le bandierine ideologiche-politiche in Parlamento inseguendo trofei elettorali che nemmeno arriverebbero e pensiamo piuttosto a fare le grandi riforme a partire da una revisione dello Stato e delle sue disastrose duplicazioni tagliando sprechi e distorsioni per recuperare almeno una parte di quei giganteschi fabbisogni finanziari che sono indispensabili per cominciare a rendere più uniforme la spesa pro capite per ogni cittadino italiano nei livelli di servizio essenziale.

La Meloni può essere la nuova Thatcher italiana solo se farà queste riforme e aprirà sempre più i mercati alla concorrenza. Se riuscirà, cioè, a dimostrare di avere ben chiaro un disegno di moderno conservatorismo e di volerlo concretamente attuare. Se invece si accoderà, anche per ragioni soltanto tattiche, al ballo delle bandierine ideologiche come quella dell’autonomia differenziata che Calderoli & c. vogliono sventolare in campagna elettorale con un primo via libera del Senato, allora sarà lei a perdere di credibilità e a condannare la sua stagione di governo ad essere una delle tante effimere che hanno segnato questa ormai lunga stagione di uscita dalla Seconda Repubblica che ha generato il mostro fintamente federalista con cui tutti oggi, al Nord come al Sud, sono costretti a fare i conti.

Con due guerre globali in corso e uno scontro frontale tra Sud e Nord del mondo che è ormai diventato un conflitto di civiltà tra autocrazie e Occidente, non è nemmeno ipotizzabile di perdere tempo inseguendo tatticismi che appartengono al mondo della irrealtà. Anche perché fanno molto male alla credibilità internazionale dell’Italia e alla qualità della vita di una parte troppo rilevante dei suoi cittadini.


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