Angelo Chiorazzo
5 minuti per la letturaPOTENZA – Serve un nuovo voto nella direzione regionale per decidere se Angelo Chiorazzo resta il candidato governatore del Partito democratico. Prima ancora, però, serve che il diretto interessato chiarisca se è in grado di «mettere a valore il pluralismo», fugando i timori di una «deriva presidenzialista», e di indicare un «metodo di formazione delle liste» che eviti il solito «gattopardismo in salsa lucana».
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A metterlo nero su bianco, ieri, è stato l’ex presidente del Consiglio regionale, Piero Lacorazza, accentuando gli scricchiolii che già da qualche giorno provengono dal fronte dei sostenitori del re delle coop bianche. Specie dopo la formalizzazione della richiesta dell’ex senatore Salvatore Margiotta, corredata dalle firme di un quinto dei componenti della direzione regionale del Pd, di ridiscutere quanto stabilito a fine ottobre.
Col mandato conferito al segretario regionale Giovanni Lettieri dallo stesso Lacorazza e gli altri componenti della direzione regionale, con la sola astensione dei “margiottiani”, perché sottoponesse la candidatura a governatore di Chiorazzo ai possibili alleati, e provasse a cucirvi attorno l’intesa più ampia possibile. Per cercare di contendere al centrodestra la guida della Regione alle elezioni di inizio 2024.
In una lunga nota pubblicata sulla sua bacheca Facebook, Lacorazza non ha infierito sul fallimento di questo lavoro di cucitura. Con le prese di distanze di M5s, Psi, Azione, Verdi e Sinistra italiana e +Europa, e la sola dichiarazione d’interesse dei renziani d’Italia viva, ma a condizione che gli altri tornino sui loro passi.
Nel mirino, invece, sono finiti i toni «da retrobottega» dei sostenitori di Chiorazzo, che nei giorni scorsi, di fronte alle resistenze sul “loro” candidato, avevano parlato, attraverso il coordinatore dei laici cattolici di Basilicata casa comune, di «una certa Basilicata», e di «apparati di potere» che complottano contro «il cambiamento».
«Il campo largo (…) non è un coro o un gregge», ha ironizzato Lacorazza, giocando con l’ispirazione reliziosa rivendicata da Chiorazzo e i suoi, e un certo utilizzo della comunicazione a mo’ di bastone pastorale.
L’ex presidente del parlamentino lucano, ha anche ridimensionato il tema di un possibile conflitto d’interessi, palese, del fondatore della coop Auxilium, che gestisce l’assistenza domiciliare integrata per conto della sanità regionale, evidenziano la maggiore insidiosità «di quelli nascosti e dei circuiti di relazioni che, se anche meno evidenti, sono stati e sono piombo nella ali per la Regione Basilicata».
A seguire ha definito «imbarazzante» la semplificazione per cui Chiorazzo sarebbe portatore di «cambiamento», e i suoi oppositori di «conservazione», ricordando il 2013. Quando la diffidenza dei suoi sostenitori guidati dall’ex ministro Roberto Speranza, a causa di un eccesso di «autonomia», gli costò la sconfitta nelle consultazioni primarie per la scelta del candidato a governatore del centrosinistra.
Col trionfo di Marcello Pittella, che riuscì a «ribaltare il messaggio» e presentarsi come il cambiamento. Salvo poi dimostrarsi da governatore, a detta di Lacorazza: «in continuità con le precedenti esperienze».
L’ex consigliere regionale Pd non ha risparmiato nemmeno un accenno al «clima di sospetti» alimentato da «eventuali presenze nel retrobottega» di Chiorazzo. Un riferimento abbastanza chiaro agli storici esponenti del centrosinistra che, dietro le quinte, hanno lavorato per mesi alla candidatura dell’imprenditore di Senise. Dall’ex governatore Filippo Bubbico all’ex deputato Vincenzo Folino.
«Io non ho detto sì ad Angelo Chiorazzo, non ho votato in direzione un candidato governatore». Ha evidenziato. «Ho sostenuto una idea, riconosciuto una proposta di un persona all’altezza di esercitare una funzione di governo, ho valutato come positiva la necessità di costruire un campo largo e aperto a sostegno di Angelo».
Lacorazza ha ricordato il Pd di Matteo Renzi per dire che «non può essere mortificano il pluralismo».
«Io, noi – ha proseguito, i poteri forti li abbiamo guardati in faccia, e non ci siamo messi paura. (…) E nel Pd sono rimasto, battendomi fino alla fine perché ciò che portavo nel dibattito politico era ed è un pensiero vivo nella società lucana».
Una stoccata ai tanti che sono rientrati negli ultimi mesi, come Speranza, e a quelli che potrebbero riaffacciarsi nella coalizione a sostegno della candidatura di Chiorazzo.
«Ho contribuito in maniera non irrilevante – ha ricordato ancora l’ex presidente del Consiglio regionale – ad abbassare il tasso di “governatorato”, o di una deriva presidenzialista (…) Una democrazia vivace aiuta il futuro, se il governo prevale sul comando. E allora su questo punto si rende evidente una necessità di chiarimento senza il quale anche la chiusura del cerchio non è detto che rimetta, in una fase successiva, il dentifricio nel tubetto».
Lacorazza ha sottolineato l’esigenza di «trovare punti di equilibrio tra partiti e “civismo” (…), altrimenti il trasformismo sarà confuso con il cambiamento e gli accomodamenti e le scorciatoie saranno di nuovo la via di fuga per un gattopardismo in salsa lucana».
Infine ha rievocato il principale esperimento di successo dell’intesa tra Pd e Movimento 5 stelle, quello che ha portato all’elezione del pentastellato Christian Giordano alla presidenza della Provincia di Potenza, e alla formazione di una lista unitaria in vista del rinnovo, il 20 dicembre, del Consiglio provinciale. Lista unitaria già finita nel mirino dei “chiorazziani” come ritorsione per il mancato sostegno dei 5 stelle al loro candidato.
Di qui l’appello: «i partiti del centrosinistra, sul modello della lista unitaria in Provincia di Potenza (…), si misurino su questo andando a vedere le carte su cui credo che Angelo Chiorazzo abbia messo qualche appunto. Io attendo questo carte, questo momento per tornare in direzione regionale ed anche formalmente votare(…) per il candidato governatore».
«Spero di non essere ascritto né a poteri forti né ad una certa Basilicata», ha concluso Lacorazza. «Non si parte o si parte male se il retrobottega e il sentito dire prendono il sopravvento; si rischia che la vela prenda il vento sbagliato».
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