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Il Comune di Roccabernarda

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ROCCABERNARDA (CROTONE) – Il racket dell’illuminazione pubblica: tutti gli appalti del Comune per la realizzazione di lavori elettrici a Roccabernarda erano stati monopolizzati dalla cosca e quando l’ex sindaco Nicola Bilotta ha tentato di cambiare rotta il boss Santo Bagnato «lo voleva vedere morto». Per sbaragliare la concorrenza, il clan non avrebbe esitato a compiere danneggiamenti e intimidazioni, anche nei confronti dell’ex sindaco che aveva stravolto l’andazzo che caratterizzava, a quanto pare, la precedente gestione amministrativa. Le minacce erano pure al figlio, al quale sarebbe capitato un “incidente” se Bilotta avesse insistito nel suo atteggiamento intransigente.

Lo hanno scoperto i carabinieri del Comando provinciale di Crotone che, al termine di una indagine coordinata dai pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio, Paolo Sirleo e Pasquale Mandolfino, ieri mattina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dalla gip distrettuale Arianna Roccia, nei confronti del boss Antonio Santo Bagnato, di 56 anni, condannato in via definitiva per associazione mafiosa e attualmente detenuto al 41 bis, del fratello Gianfranco Bagnato, di 50 anni, e dell’imprenditore Antonio Lonetto, 43enne, al quale sono stati sequestrati conti correnti intestati alla sua azienda e denaro trovato nella sua disponibilità per oltre 157 mila euro.

Le accuse sono di danneggiamento e turbativa d’asta con l’aggravante mafiosa. Soltanto dal 2009 al 2017, il periodo focalizzato dall’inchiesta, la ditta si sarebbe aggiudicata 101 appalti, per un valore di oltre 170mila euro, e chi non ci stava subiva danneggiamenti. Il monopolio spaziava anche nel privato. L’impresa riconducibile al clan avrebbe impedito ai concorrenti potenziali di acquisire anche commesse private. Decisive le dichiarazioni dei pentiti Domenico Iaquinta e Tommaso Rosa, che hanno fornito lumi agli inquirenti sulla cappa mafiosa che gravava sull’amministrazione comunale di Roccabernarda ai tempi in cui sindaco era Vincenzo Pugliese, la cui “soggezione” – il termine è della gip – si sarebbe manifestata nel favorire l’affidamento diretto dei lavori di illuminazione pubblica per anni alla ditta Lonetto.

«Il Comune era sostanzialmente controllato da Bagnato – ha svelato Iaquinta – che faceva il bello e il cattivo tempo soprattutto nel settore degli appalti pubblici… l’attuale sindaco, Nicola Bilotta, è una persona perbene, ha fatto un cambio di rotta estromettendo alcune ditte, di recente è intervenuta una delibera che ha estromesso Lonetto, posso dire che Bagnato non tollerava Bilotta anzi lo voleva vedere morto. So che i danneggiamenti al sindaco sono stati commissionati da Bagnato». Un fratello del boss avrebbe anche compiuto un furto di computer al Comune per evitare che venisse a galla chi imponeva di assegnare gli appalti alla solita ditta, sempre secondo il collaboratore di giustizia.

Lonetto imperversava anche fra i privati, e una parte dei proventi andava al boss. In cambio, quell’«elettricista che aveva il monopolio degli appalti del Comune di Roccabernarda sull’illuminazione pubblica», insieme a Bagnato, avrebbe appoggiato elettoralmente l’ex sindaco Pugliese. Il diktat all’interno del clan era questo perché «Pugliese era disponibile», e colui che andava, su ordine del boss, a proporsi in Comune quale referente del clan era Lonetto «perché aveva gli appalti». Senza preventivi né collaudi né sopralluoghi, con affidamenti ininterrotti, sotto soglia e artificiosamente frazionati in modo da simulare un appalto durato un decennio, in violazione dei principi di rotazione ed economicità, secondo la ricostruzione degli inquirenti. E dal 2013 la ditta ottenne pure fondi extra per lavori di somma urgenza.

Ha rincarato la dose delle accuse sulle connivenze in Municipio anche il pentito Rosa. «Lonetto frequentava Bagnato anche se in maniera discreta. Era un elettricista che aveva il monopolio degli appalti che gli venivano affidati in maniera diretta. Sia Bagnato che Lonetto sponsorizzavano candidati a sindaco e consiglieri comunali. Sicuramente ricordo del sindaco Pugliese che fu appoggiato dai due e dal ragioniere Salvatore Bonofiglio. Bagnato mi disse di appoggiare i due. Non so dire se abbia esercitato pressioni minatorie su terze persone non appartenenti al suo entourage. Di certo lui era molto temuto in paese e non occorreva che minacciasse qualcuno per ottenere i suoi scopi… Ricordo di aver visto in una occasione Pugliese a casa di Bagnato prima di una consultazione elettorale, almeno dieci anni fa». Ecco perché, continua Rosa, nessuno si presentava alle gare dirette. Anzi, se qualcuno ci provava, scattavano le ritorsioni. In questo contesto sarebbero maturate almeno le azioni intimidatorie ai danni di ditte del luogo. Perfino chi faceva lavoretti nelle case ebbe come avvertimento delle cartucce posizionate in garage, accompagnate da una telefonata minatoria.

«A Roccabernarda dobbiamo lavorate tutti, altrimenti le cartucce che hai trovato le sparo prima e te e poi a tuo figlio». «Ma vostro marito non lo vuole capire che lo facciamo fuori», invece, la minaccia ricevuta telefonicamente dalla moglie di un altro imprenditore. L’ex sindaco di Roccabernarda Bilotta tentò di avversare lo strapotere mafioso, in prossimità della scadenza del servizio di manutenzione dell’illuminazione pubblica, e chiese delucidazioni alla Prefettura di Crotone sulla ditta di Lonetto i cui parenti (fratello, zio e cugini) erano stati arrestati nell’operazione Trigarium, condotta dai carabinieri contro il clan Bagnato. La Prefettura precisava che non poteva fornire informazioni ma il sindaco, in via urgente e temporanea, affidò il servizio alla ditta Iembo di Cutro.

Da allora inizia lo stillicidio per Bilotta. Il primo avvertimento avviene tra il primo e il 2 marzo 2019, quando, presso la sua residenza estiva a Steccato di Cutro, l’ex sindaco trova una bottiglia di plastica contenente benzina con accanto un accendino. Il 21 aprile, a Roccabernarda, nella centralissima piazza Barbaro, Bilotta rinviene sul cofano della sua auto un involucro di carta con due cartucce a pallini. Il 29 luglio arriva una strana telefonata alla moglie di Bilotta, alla quale viene chiesto di informare il sindaco che al figlio «tra poco capiterà un brutto incidente». La ditta Iembo, intanto, finisce nel mirino e denuncia il danneggiamento di un’auto aziendale. Il mandante della serie intimidatoria? Secondo il pentito Iaquinta è sempre Bagnato. Addirittura, Lonetto avrebbe chiamato gli amministratori dopo l’intimidazione al sindaco per manifestare che era il preludio di quanto già da lui annunciato dopo la sua estromissione. La situazione stava divenendo esplosiva perché, come emerso da conversazioni intercettate nel corso dell’inchiesta, l’ex sindaco Bilotta, a colloquio con l’ex vicesindaco Luigi Foresta, attuale sindaco, ed altri ex amministratori, raccontava di essere preoccupato perché Lonetto aveva fatto irruzione in un cantiere dove erano in corso lavori della ditta Iembo, pretendendo la chiusura della strada tanto che i lavoratori erano intimoriti e non volevano più eseguire gli interventi.

Qualcuno, però, ha avuto il coraggio di denunciare. Per esempio, un tentativo di estorsione, cioè di impossessamento di un terreno agricolo dopo il taglio di un centinaio di piante di ulivo a causa del diniego del pagamento del pizzo per la costruzione di un oleificio. Ma ha denunciato anche un imprenditore che ha subito l’incendio doloso di un furgone, intestato a una ditta individuale di Roccabernarda, operante nel settore dei lavori elettrici, intimidito perché non partecipasse alle gare per l’acquisizione di commesse pubbliche o ad accettare lavori dai privati. Al boss dava fastidio che, oltre a fare lavori di pittura, quell’uomo si occupasse anche di altro. Già fissato per lunedì l’interrogatorio di garanzia; gli indagati sono difesi dagli avvocati Antonio Ierardi, Sergio Rotundo, Aldo Truncè.

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