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Maurizio Landini (CGIL), Pierpaolo Bombardieri (Uil)

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Se si agita lo spettro della piazza e dei movimentismi per acquisire la leadership politica della Sinistra italiana storicamente più debole, frammentata e qualunquista dal Dopoguerra a oggi, si ottiene il risultato di evidenziare la svolta della Destra, non completa ma avviata, di uscita dal populismo sovranista. Che è ciò che la Sinistra ha sempre contestato alle Destre. Si getta la maschera che copre la finzione con cui si vuole nascondere l’occupazione di uno spazio libero di potere politico con la difesa dell’interesse dei lavoratori. Siamo a un punto delicato di passaggio della storia del sindacalismo e della politica di sinistra.

Nessun rimbalzo mediatico può coprire la figuraccia della Cgil movimentista di Landini, scavalcata a sinistra a fini mediatici dalla Uil di Bombardieri. Perché il primo è caduto probabilmente nel tranello del secondo e si è convinto di potere trasformare uno sciopero dei trasporti a scacchiera su più giorni e più territori in uno sciopero generale rimediando una figuraccia sul piano del diritto e dell’accademia che li ha costretti a una clamorosa marcia indietro. Quello che davvero colpisce, però, è altro.

Questo movimentismo politico di un pezzo del sindacato (Cgil e Uil) continua a scavare fossati con la Cisl e sui modelli di principio e organizzativi con cui tutelare l’interesse dei lavoratori e sul modo con cui il sindacato deve confrontarsi con il governo. Perché se si rifiutano gli inviti del presidente del Consiglio una settimana prima di varare la manovra e ci si fa rappresentare da figure minori, come hanno fatto Cgil e Uil, vuol dire che si è deciso in partenza di avere quattro anni di conflitto con il governo, ammesso che duri, tradendo le radici fondanti del sindacalismo e privandolo di quella tradizione riformista che è stata sempre capace di dialogare con chiunque nell’interesse dei lavoratori.

Se si agita solo lo spettro della piazza e dei movimentismi di ritorno per acquisire con le bandierine del populismo la leadership politica della sinistra italiana storicamente più debole, frammentata e qualunquista dal Dopoguerra a oggi, si ottiene viceversa l’unico risultato di evidenziare la svolta della Destra, non completa ma di certo avviata, di uscita dal populismo sovranista. Che è esattamente ciò che la sinistra ha storicamente contestato alle destre sempre e, in modo speciale, durante la campagna elettorale. Siamo all’assurdo della Meloni che invita la Schlein a confrontarsi in casa sua e a due sindacati su tre che rifiutano l’invito di Palazzo Chigi togliendosi così platealmente la maschera che copre la finzione con cui si vuole nascondere l’occupazione di uno spazio libero di potere politico con la difesa organizzata dell’interesse dei lavoratori.

Siamo a un punto davvero delicato di passaggio della storia del sindacalismo e della politica di sinistra. Perché di fronte a una destra italiana che mostra realismo nella finanza pubblica e realizza manovre obbligate come le ha fatte Draghi uscendo quindi dall’urlo populista che si fonda sulla demagogia che tutto può e deve pagare la spesa pubblica del Paese europeo più indebitato, ecco che Cgil e Uil alzano le bandiere della retorica populista più sfrenata della precarietà che ignora i giganteschi passi in avanti compiuti dalla nostra economia nelle assunzioni a tempo indeterminato, soprattutto al Sud, e priva la sinistra tutta della dignità di una proposta riformista occupandone gli spazi di azione politica. La storia della Cgil dei Di Vittorio, dei Lama e dei Trentin ridotta al rango dei Cobas e dei sindacati autonomi è davvero una brutta pagina della storia politico-sindacale italiana.

Che cosa dire di un Bombardieri che riesce a scavalcare a sinistra il movimentista Landini e parla di “squadrismo istituzionale” perché si applicano le leggi della Commissione di vigilanza voluta in una stagione riformista di primo livello quale è stata quella vincente che ha sempre segnato l’impegno politico di Romano Prodi? In un clima del genere ci sarebbe stata la concertazione della politica dei redditi di Ciampi che unì tutti i sindacati e tutte le imprese nel grande accordo sulla politica dei redditi che portò l’Italia fuori dalla spirale perversa del mostro inflazionistico? Capite l’abisso che separa la scelta di Cgil e Uil di occupare le piazze e fermare il Paese, in mezzo a due guerre che tengono il mondo sotto una cappa di orrori e rischiano di bloccare la crescita globale, per fare magari il solito comizio su premierato (discussione in sé rilevante) e retorica economica schierando politicamente il sindacato con la scelta compiuta dalla Cisl di scendere in piazza di sabato per chiedere un nuovo patto sociale su produttività e salari in grado di fare i conti con la realtà e non per gridare sostanzialmente slogan politici?

Capite, a quale punto è arrivata la crisi di rappresentanza di tutto il mondo produttivo se dall’impresa all’artigianato fino alla cooperazione, nessuno alza la bandiera del metodo delle relazioni sociali del riformismo lasciandola solo nelle mani di Sbarra e, addirittura, delle astuzie politiche di Salvini? C’è davvero molto da riflettere e, soprattutto, c’è davvero molto da fare per cambiare immediatamente registro.


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