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Giorgia Meloni e Ursula von ver Leyen

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Oggi l’Europa deve decidere se buttarsi nell’oceano con le attrezzature e le risorse che il rallentamento globale impone o se si presenta all’appuntamento con la storia con il solito costumino che serve per andare a fare due vasche in piscina quando in cielo splende il sole. Le nuove regoline fiscali che qualcuno vuole imporre vanno nella direzione opposta a quella indicata dalla storia perché oggi serve un grande motore europeo e il nuovo patto del compromesso dei decimali è la chiave che serve solo per spegnere il motore. Non aiutano ministri dell’economia che fanno gli avvocati dei loro Paesi ma un risveglio collettivo per fare subito grandi investimenti pubblici comuni e regole di bilancio coerenti.

Siamo alle solite. Sull’orlo di una recessione europea che spazza via tutto e dovrebbe imporre la concentrazione di tutti su un nuovo mega piano pubblico di investimenti europei industriali e di ricerca, esattamente come ha fatto con successo l’America di Biden, Francia e Germania si mettono d’accordo e rattoppano un compromesso che non serve a niente su deficit e debito perché si muove dentro un occhiale che ha una lente sola e, quindi, vede la metà del mondo o quanto meno è affetta da strabismo.

Lo chiamano nuovo patto di stabilità e crescita che non sana affatto la zoppìa addirittura ciampiana tra stabilità e crescita, lo ricordiamo solo per dire quanto è datata la miopia politica europea, e se la vogliono cavare lasciando all’Italia un trattamento contabile un po’ migliore degli investimenti. Che è solo una presa in giro e alimenterebbe negoziazioni infinite per non fare nulla. Meno che mai il Pil che serve.

Sulle nuove regole fiscali l’Europa si gioca l’ultima partita della storia. A differenza di quanto accaduto l’altra volta con le crisi finanziaria e dei debiti sovrani questa partita ha un campo di gioco delimitato da due grandi shock inediti enormemente più gravi. Prima, con la crisi finanziaria americana, c’era stato uno shock esogeno che aveva sfrangiato una situazione ordinaria. Adesso siamo in una situazione completamente nuova dove è diventato ordinario lo straordinario.

Perché hai avuto la pandemia e la guerra in Europa con un livello di interdipendenza della sua economia che non c’era quando scoppiarono le precedenti guerre. Oggi l’Europa deve decidere se buttarsi nell’oceano con tutte le attrezzature e le risorse che il rallentamento globale impone o se vuole presentarsi all’appuntamento con la storia con il solito costumino delle regole fiscali che serve per andare a fare due vasche in piscina quando fuori è bel tempo e in cielo splende il sole. Siamo oltre ogni decenza.

Perché la Germania dall’alto della sua recessione profonda e da uno sbandamento strategico irrisolto, siamo volutamente ironici, si fa sostenere dai soliti Paesi della corona del Nord e pretende che i Paesi più indebitati come l’Italia portino il rapporto deficit/Pil non sotto il 3% ma il 2% perché per loro il primo è un limite massimo rispetto al quale intendono costruirsi un cuscinetto di sicurezza. Ha fatto bene Giorgetti a dire che non firma nulla perché, dopo sei/otto mesi di negoziato, ti ritrovi con gli stessi presunti alleati e la stessa Commissione che solo due anni fa ha fatto il grande passo del debito comune che vuole invece nascondersi dietro una battaglia di decimali che rinnega tutto il cammino percorso.

Una situazione così paradossale al punto che l’ipotesi del ritorno del vecchio patto che tutti definivano un obbrobrio diventa improvvisamente bello perché ritenuto così irrealistico da rimanere inattuato. Saremmo in questo modo alla ciliegina finale sulla torta del fallimento con la storia sotto il peso di regole fiscali appunto fuori della storia che costringerebbero i Paesi e chi governa a tornare a fare i conti con grandezze esoteriche, tipo saldi strutturali e via cantando, che segnano il fallimento definitivo della Commissione europea della von der Leyen a sei mesi dalle elezioni e sanciscono solennemente che l’Europa non esiste.

Se dopo la pandemia fai il primo eurobond comune e pensi che serva una politica anticiclica, non puoi ora che la situazione globale si è addirittura aggravata neppure pensare che i Paesi possano fare da soli perché le dimensioni della crisi impongono investimenti sovranazionali colossali. Quindi le nuove regoline fiscali che qualcuno vuole imporre a qualcun altro, in un misto di egoismo miope e ottusità collettiva, vanno nella direzione opposta a quella indicata dalla storia perché oggi serve un grande motore europeo e il nuovo patto del compromesso dei decimali è la chiave che serve per spegnere il motore.

Diciamocela tutta fino in fondo. Il nuovo patto europeo non decolla non perché in Europa c’è un plotone di burocrati stupido che insegue regole stupide, ma perché i Paesi europei non solo non sono alleati ma si sentono l’uno controparte dell’altro. All’Ecofin intorno al tavolo non sono seduti i ministri dell’economia che vogliono costruire insieme la nuova politica economica comune, ma gli avvocati di ogni singolo Paese che si esercitano nel gioco più pericoloso che è quello di mettere ognuno le regole che servono a tutelare il proprio Paese e magari a fregare qualcun altro.

Della crescita italiana che potrebbe non esserci, la Germania se ne accorge solo quando non ha più qualche componente per l’auto che le serve ma mentre se ne accorge la sua stessa industria dell’auto sarà indebolita come mai prima. Si sveglino tutti dal lungo sonno e comincino a scrivere all’istante la nuova pagina della storia che può essere fatta solo di grandi investimenti pubblici comuni mirati industriali e di ricerca. Ovviamente senza mollare sulla serietà degli obblighi di bilancio che non vuol dire affatto imporre circuiti perversi che quegli obblighi aggravano accentuando il carico della crisi globale invece di risolverlo. Alla fine di questo circuito c’è l’Europa che sparisce e un grande mercato unico che sopravvive a vantaggio degli altri invece che degli europei.


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