L'Irccs Crob di Rionero in Vulture
4 minuti per la letturaPOTENZA – I tumori neuroendocrini fanno meno paura all’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Crob di Rionero in Vulture. Questo grazie alla terapia con radioligandi che “tagga” e cura insieme le cellule malate, protegge i tessuti sani e raddoppia la sopravvivenza. Una terapia catalogabile tra quelle delle nuove frontiere contro il cancro – che ha colpito tra l’altro Fedez e Steve Jobs – rispetto alla quale gli esperti fanno il punto alla vigilia della Giornata mondiale dedicata ai tumori rari neuroendocrini, che ricorre domani, 10 novembre.
Tra i primi ad esplorare le potenzialità di questa terapia, tra i pochi centri accreditati a livello europeo anche come training center, figura proprio l’unità operativa complessa di Medicina nucleare dell’Irccs Centro di riferimento oncologico della Basilicata (Crob). La struttura di Rionero in Vulture è l’unica a livello regionale in grado di offrire una terapia oncologica innovativa, che sta rivoluzionando la cura del cancro a partire da una neoplasia rara, come appunto i tumori neuroendocrini (denominati Net), ma che in futuro potrà arricchire il ventaglio terapeutico di numerose tipologie di tumori.
«I Net sono un gruppo eterogeneo di neoplasie con sintomi variabili, a volte silenti che li rendono non facilmente identificabili – dichiara Giovanni Storto, medico nucleare dell’Irccs Crob di Rionero –. Riferimento per molti pazienti nel Sud, la nostra struttura in due anni ha preso in carico 521 pazienti, provenienti anche da altre regioni, soprattutto Puglia, Calabria e basso Salernitano».
I tumori neuroendocrini nella maggior parte dei casi interessano il tratto gastrointestinale (Gep-Net) e, non dando chiari sintomi, nel 40-50 per cento dei casi vengono diagnosticati con ritardo, in fase metastatica, non aggredibile con radioterapia standard e non più operabile. «Questi pazienti in condizione avanzata con metastasi sono quelli che in genere vengono indirizzati alla Rlt – precisa l’esperto -; a regime ne tratteremmo circa cinquanta l’anno. Purtroppo arrivano a effettuare questo trattamento in condizioni di salute già troppo compromesse. Alla luce dell’efficacia dimostrata dalla Rlt sarebbe auspicabile anticipare la possibilità di trattare il paziente, rispetto a quanto previsto oggi dai protocolli terapeutici».
La terapia con radioligandi è considerata appunto la nuova frontiera della medicina di precisione in ambito medico-nucleare, in grado di “taggare” e colpire le cellule tumorali, distinguendole selettivamente da quelle sane e di ridurre i danni collaterali. I radioligandi sono killer di precisione capaci di individuare le cellule tumorali più nascoste ovunque si trovino e di annientarle una per una.
Un radioligando – spiegano gli esperti – è composto da due elementi: una molecola “ligando”, cioè un vettore in grado di riconoscere e legarsi alle cellule tumorali che, nella fase terapeutica, viene “agganciata” a un isotopo radioattivo trasportato direttamente sulle cellule malate. Raggiunto il bersaglio finale, l’isotopo irradia selettivamente le cellule tumorali, provocandone la morte. Si tratta dunque di una terapia target di ultra-precisione, che unisce un’elevata efficacia, sicurezza e tollerabilità a una minima tossicità, perché non va metabolizzata e agisce per periodi limitati che dipendono dal tempo di decadimento della radioattività.
«La Rtl inconfutabilmente porta un vantaggio in termini di sopravvivenza del paziente – prosegue il professor Storto -, a cui si aggiunge un miglioramento della qualità di vita e, in alcuni casi, la riduzione delle lesioni e soprattutto garantisce un maggior tempo di stabilità della malattia in oltre il 60 per cento dei casi. In pazienti metastatici e quindi in condizioni fisiche precarie, anche solo stabilizzare la patologia garantendo un tempo in cui la malattia non progredisce è un risultato notevole».
Con le opzioni terapeutiche precedenti ci si aspettava un’efficacia di 1 anno/1 anno e mezzo in termini di capacità di stabilizzare la malattia. Con il nuovo approccio la stabilizzazione della malattia è in media ben più lunga, più di tre anni in termini di sopravvivenza libera da progressione. Inoltre è ben tollerata rispetto alle altre terapie che sono gravate da una tossicità quotidiana che invece, nel caso dell’Rlt, è moderata e contestuale al periodo immediatamente successivo alla somministrazione.
«Il percorso di cura per i pazienti Net negli anni è significativamente migliorato – sottolinea Storto -. La Rlt, inoltre, ha facilitato le occasioni di confronto multidisciplinare, in primis tra oncologi e medici nucleari. Tuttavia bisogna continuare a impegnarsi per implementare una stretta collaborazione tra clinici di diverse discipline, per creare un dialogo e una consuetudine di lavoro in team. Dall’oncologo al medico nucleare, al fisico medico – conclude Storto – si tratta di professionalità con formazione e linguaggi diversi, ognuna depositaria di competenze indispensabili per ottimizzare l’impiego della nuova terapia e migliorare la gestione del paziente».
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