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Roma, 8 nov. (askanews) – La versione ufficiale è che nella decisione non c’è nulla di politico e, dunque, niente di cui stupirsi o per cui protestare. Ma la scelta di far partire dal Senato l’iter del premierato è tutto tranne che una questione di mera procedura parlamentare. Per almeno due ragioni: la prima è che fino a pochi giorni fa l’approdo alla Camera era dato per assodato anche all’interno della stessa maggioranza. La seconda, e più importante, è che a volere che il ddl di riforma costituzionale cominciasse a muovere i suoi primi passi a palazzo Madama è stata proprio la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E le motivazioni, al netto dell’ufficialità, sono squisitamente politiche.
Non è di Fratelli d’Italia soltanto il presidente del Senato, ma anche quello della commissione Affari costituzionali, ossia quell’Alberto Balboni che in questi mesi ha gestito (avendo cura di evitare accelerazioni) anche il percorso dell’autonomia cara ai leghisti. Non solo, visto che Ignazio la Russa è stato storicamente l’esperto di riforme e legge elettorale del partito.
Certo, il suo ruolo di seconda carica dello Stato non gli consente un ruolo così attivo, ma è stato lui stesso a mostrare sin da subito un certo protagonismo, criticando la norma anti-ribaltone e autopromuovendosi a collettore del dialogo con l’opposizione.
La presidente del Consiglio tiene molto a quella che ha sempre definito “la madre di tutte le riforme” e vuole fare in modo che la prima lettura arrivi entro le Europee senza intoppi. E da questo punto di vista il Senato ha anche un altro vantaggio, perchè la riforma dei regolamenti rende meno efficaci i tentativi ostruzionistici dei partiti di minoranza. “La scelta di palazzo Madama – ragiona un parlamentare – già fa capire che la riforma è blindata, se ci fosse stata volontà di dialogo con l’opposizione sarebbe stata preferita la Camera”.
Le motivazioni ufficiali dicono altro, ossia che la decisione serve a “mantenere la continuità” sul tema delle riforme giacché il ddl costituzionale approderà (“la settimana prossima” assicura Casellati) in quella stessa commissione che nel frattempo avrà licenziato l’autonomia. Ma anche a garantire un percorso parallelo tra i due provvedimenti. Il patto tra Lega e Fratelli d’Italia, infatti, prevedeva che l’autonomia non avrebbe avuto il disco verde prima che fosse stata presentata in Parlamento la riforma cara a Meloni.
Per sminare il terreno dalle polemiche, fonti di governo garantiscono poi che la trattazione sarà ugualmente approfondita nell’uno e nell’altro ramo del Parlamento. “Se va in una Camera non è che poi non va nell’altra, quindi è indifferente” da dove comincia l’iter, spiega la ministra delle Riforme.
L’opposizione non la vede così e parla di “baratto” tra premierato e autonomia. “La notizia che la riforma costituzionale annunciata dal governo partirà dal Senato ci dice che i nostri timori erano fondati e che Palazzo Madama sarà il luogo dove Fdi e Lega si controlleranno a vicenda”, dice il capogruppo dem a palazzo Madama, Francesco Boccia
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