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Frena il Pil italiano un po’ in tutte le regioni ma la discesa non ha fatto crescere il divario economico tra Nord e Sud Italia
L’economia rallenta in tutte le regioni italiane, ma la frenata non ha allargato ulteriormente la distanza tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno, dove anzi si registra un minore impatto dell’indebolimento del ciclo sul manifatturiero.
Se la fotografia scattata da Bankitalia nel rapporto “L’Economia delle regioni italiane” conferma la “peculiarità nazionale” del differenziale tra le due Italie, allo stesso tempo non registra in questa macroarea una “sofferenza” più accentuata rispetto alle altre, che dà quindi un’ulteriore prova della capacità di resilienza mostrata durante la crisi Covid – a differenza di quanto accaduto con la lunga crisi, che aveva scavato un solco profondissimo, ancora da recuperare – e nella ripresa cui ha partecipato, grazie anche all’intervento pubblico e alla spinta delle costruzioni e dei servizi, entrambi con un maggior peso nel Sud.
Al Pnrr la “missione” di dare un contributo significativo alla riduzione del divario, con la destinazione al Sud di una quota consistente delle risorse: secondo il report di Bankitalia, dei 111 miliardi con una chiara destinazione territoriale assegnati agli attuatori pubblici fino a settembre, il 42% ricade sui territori meridionali, mentre la restante parte è egualmente divisa tra il Nord Est e il Centro. In particolare poi, secondo i dati Anac, fra gennaio del 2021 e giugno del 2023 bandite gare per un importo pari a 46,3 miliardi, la maggior parte nel Mezzogiorno dove hanno toccato quota 19,1 miliardi, che equivalgono al 44% fondi assegnati.
PIL IN CALO E DIVARIO NORD-SUD: L’ALERT SUI FONDI DI COESIONE
Accanto ai fondi Pnrr ci sono poi le risorse delle coesione su cui Palazzo Koch lancia un alert: al 30 giugno, si segnala nel report, risultano spesi appena 42 su 65 miliardi dei fondi strutturali delle politiche di coesione 2014-2020 assegnati agli enti regionali, entro fine anno quindi se ne dovranno spendere 23 per scongiurarne il disimpegno automatico. Anche se si rileva che la somma potrebbe essersi ridotta in questi mesi e che l’attuazione finanziaria potrebbe beneficiare dell’entrata in vigore del regolamento di REPowerEU, che consente di finanziare con i fondi europei 2014-2020 anche misure temporanee eccezionali già erogate a supporto delle famiglie vulnerabili e delle piccole e medie imprese colpite dai rincari energetici nel periodo 2022-236 .
Tornado all’analisi congiunturale, la crescita si è affievolita nella prima metà del 2023 in tutte le regioni italiane, risentendo del rallentamento della domanda interna ed estera. Si sono indeboliti gli investimenti, nonostante gli incentivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, mentre i prestiti bancari alle imprese si sono ridotti per via della stretta monetaria anti inflazione della Bce, nel Centro soprattutto, e con il Mezzogiorno a fare eccezione. Il clima di fiducia dei consumatori, fortemente peggiorato in seguito allo scoppio del conflitto in Ucraina, ha solo parzialmente recuperato nell’anno in corso. L’inflazione, seppure in calo dall’inizio dell’anno, ha continuato a erodere il reddito disponibile delle famiglie, frenandone i consumi.
LE DIFFICOLTÀ DI APPROVIGGIONAMENTO DELLE MATERIE PRIME
Allo stesso tempo, le difficoltà di approvvigionamento di materie prime e beni intermedi sono progressivamente venute meno, così come quelle connesse con i rincari energetici. E tra le note positive va senz’altro segnalata l’espansione dell’occupazione che è proseguita nei primi sei mesi dell’anno in corso.
Già nel corso del 2022 il numero degli occupati era cresciuto in tutte le macroaree, recuperando i livelli pre pandemici. Con il settore delle costruzioni a dare la spinta, grazie ai bonus edilizi, registrando una crescita significativa soprattutto nel Mezzogiorno e nel Nord Ovest (9,6% e 8,7% rispettivamente).
Nell’industria in senso stretto l’occupazione è assai aumentata al Centro (5,4%), a fronte di un’espansione più modesta nel Nord e di una stazionarietà nelle regioni meridionali. In particolare, diversamente da quanto avvenuto nel 2021, il contributo maggiore alla crescita dei posti di lavoro è arrivata dalla componente a tempo indeterminato, (oltre tre quarti nel Nord e nel Mezzogiorno, più della metà al Centro). L’incidenza delle posizioni lavorative temporanee è più elevata nel Sud e nelle Isole (circa il 23% degli occupati dipendenti nel 2022, a fronte di meno del 15 nel Centro Nord), un fattore che concorre al divario retributivo tra le aree. In particolare tra il 1990 e il 2021, si segnala nel rapporto, l’incidenza del lavoro a bassa retribuzione, strutturalmente più elevata nel Mezzogiorno, è aumentata in tutte le aree.
PIL, DIVARIO NORD-SUD E TASSI DI OCCUPAZIONE
Come dicevano, nei primi sei mesi del 2023 l’occupazione ha continuato a crescere in tutte le aree del Paese, con tassi leggermente più pronunciati nel Centro Nord, trainato dalla manifattura e dai servizi del commercio, dell’alloggio e della ristorazione.
L’espansione dell’occupazione subordinata è stata ancora spinta dalla componente a tempo indeterminato, a fronte di un calo di quella temporanea, con maggiore intensità nel Mezzogiorno. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è aumentato ancora in tutte le ripartizioni, raggiungendo il 66,5 % nel complesso del Paese nel secondo trimestre del 2023. Anche nel Nord, si sottolinea, si è così completato il recupero dei livelli pre pandemia, già avvenuto nel corso del 2022 al Centro e nel Mezzogiorno.
Del buon andamento dei numeri del Mezzogiorno dà conto la recente indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che ha elaborato i dati Istat, secondo cui su 474mila nuovi lavoratori in Italia, più della metà sono quelli che risiedono al Sud (262mila, il 55,3% del totale). Così come il tasso di crescita nell’area è più che doppio rispetto al resto del Paese (4,4%) e continua ad aumentare nell’ultimo anno a un ritmo del 3,1%.
Il tasso di disoccupazione, segnala poi, Bankitalia, è progressivamente sceso in tutte le ripartizioni, in modo più marcato nel Mezzogiorno (-2,1 punti percentuali, al 14,3 %) che al Centro Nord (-1,1 punti, al 5,6 %); il divario geografico resta considerevole ma si comunque si attenua. Nonostante il diffuso recupero dei livelli di partecipazione, permangono ampi margini di forza lavoro inutilizzata, soprattutto nel Sud e nelle Isole per via della bassa presenza della componente femminile, del maggiore il ricorso agli strumenti di integrazione salariale, dell’alta disoccupazione giovanile e del part-time involontario.
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