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Vetrine di un negozio di un'attività condotta da ebrei distrutte durante la Notte dei cristalli (foto wikipedia)

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Tra il 9 e il 10 novembre del 1938, oltre 7.000 negozi gestiti da famiglie ebree vennero devastati e le vetrine furono sistematicamente infrante: di qui il nome di «Notte dei cristalli».

È INDUBBIO che il 9 novembre non sia un giorno qualsiasi nella storia tedesca … e non solo. Si pensi al fallito «putsch della birreria», tentato a Monaco nel 1923 da Adolf Hitler e dai suoi seguaci in combutta con il generale Eric Ludendorff, a distanza di un quinquennio dall’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II e dalla proclamazione della Repubblica in Germania. Si pensi alla «Notte dei cristalli», il pogrom realizzato dal nazismo tra il 9 e 10 novembre 1938, svolta cruciale lungo il percorso che dalla persecuzione antisemita portò alla Shoah, al genocidio del popolo ebraico all’ombra del secondo conflitto mondiale. Senza dimenticare un altro, fatidico 9 novembre, quello del 1989, quando l’abbattimento del Muro di Berlino mise fine alla guerra fredda e all’assetto bipolare sovietico-statunitense.

È altrettanto indubbio – val la pena ribadirlo – che il razzismo e l’antisemitismo siano stati assolutamente centrali nell’ideologia del nazismo, che perseguì sin dalla sua ascesa al potere la discriminazione e l’eliminazione dei ‘diversi’ prima dalla Germania, poi da tutta l’Europa. In particolare gli ebrei, che nella patria di Goethe ammontavano a 500.000 nell’anno in cui Hitler si insediò alla testa del governo, erano ritenuti dai nazisti la quintessenza del male, il nucleo propulsivo del bolscevismo; in altre parole la minaccia più grave per l’integrità e la salute della Volksgemeinschaft (la comunità etnico-popolare fondata su vincoli di sangue).

Già per il primo aprile 1933, su disposizione del Führer Julius Streicher – editore del settimanale visceralmente antisemita «Der Stürmer» – organizzò una giornata di boicottaggio antiebraico. Ma tale azione non venne replicata tre giorni dopo, perché Hitler inizialmente tendeva a muoversi con prudenza, attento com’era agli umori dell’opinione pubblica internazionale. Tuttavia, una tappa d’eccezionale importanza per la messa al bando della diversità si ebbe con l’emanazione, nel settembre del 1935, delle cosiddette Leggi di Norimberga (la Legge per la cittadinanza del Reich e la Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco), che codificavano la dicotomia “noi-loro”, la contrapposizione sul terreno giuridico tra i membri della comunità di sangue e suolo e gli estranei alla stirpe. Intanto notiziari, documentari, libri di testo provvedevano a inoculare massicciamente nella società tedesca i veleni dell’avversione antiebraica e anticomunista.

Mentre in Spagna scoppiava la guerra civile nel luglio 1936, a Mosca iniziava – un mese dopo – il primo dei «processi-farsa» contro la vecchia guardia bolscevica e Germania e Giappone siglavano il Patto anticomintern nel novembre dello stesso anno, i nazisti denunciavano ossessivamente i legami tra gli ebrei tedeschi e il pericolo comunista. In questo clima nel 1937 le mostre sull’«Arte degenerata», sul «Nemico mondiale numero uno» (il bolscevismo) e sull’«Eterno ebreo» fecero il giro delle città germaniche. In un crescendo delirante, durante l’annuale raduno di Norimberga Joseph Goebbels – il genio malefico della propaganda – additò negli ebrei «il nemico del mondo, il distruttore delle culture, il parassita delle nazioni, il figlio del caos, l’incarnazione del male, il fermento di putrefazione, il demone visibile della decadenza umana».

Ma fu il 1938 a registrare un’ulteriore radicalizzazione del regime nazista, che da un lato si mostrò ancor più aggressivo sul piano internazionale, dall’altro intensificò la campagna antiebraica che culminerà nell’attuazione di un pogrom su vasta scala. Già a partire dal marzo di quell’anno con l’annessione dell’Austria, in cui l’antisemitismo aveva robuste radici, esso impresse una forte accelerazione al progetto di pulizia razziale, giacché entrava a far parte del Grande Reich un numero ragguardevole di ebrei, contro i quali immediatamente i nazisti locali scatenarono un’ondata di terrore, saccheggiando negozi e abitazioni, umiliando i malcapitati con l’intimazione di pulire le strade carponi, promulgando una legislazione razziale minuziosa. Cento giorni dopo l’Anschluss fu proibito per legge agli “israeliti” austriaci di accedere ai parchi pubblici e di indossare il tipico costume da festa, il Tracht. Esclusivamente per motivi razziali duemila ebrei austriaci furono incarcerati e mandati nel Lager di Dachau in Baviera.

In linea con quanto si stava verificando dappertutto nel Reich, alla fine del 1938 la maggior parte delle proprietà degli ebrei di origine austriaca era stata «arianizzata». Dal canto loro i burocrati dei servizi di sicurezza, in particolare il giovane sottotenente austriaco delle SS, Adolf Eichmann, che durante il secondo conflitto mondiale metterà a punto la macchina organizzativa per lo sterminio di milioni di individui, spingevano sempre più gli ebrei ad emigrare. Nell’arco di sei mesi un quarto di essi abbandonò il proprio Paese natio: un risultato che prima dell’Anschluss la Germania nazista aveva impiegato un lustro per ottenerlo. Ciò che accadeva in Austria certificava peraltro l’efficacia di una politica del terrore promosso dall’alto. A mio avviso, non si sottolineerà mai abbastanza il peso dell’antisemitismo austriaco e il ruolo dei nazisti austriaci nel tragitto complessivo del Terzo Reich.

Veniamo ora alla «Notte dei cristalli». Prendendo a pretesto l’uccisione di Ernst vom Rath, terzo segretario dell’ambasciata tedesca a Parigi, per mano del diciassettenne ebreo Herschel Grynszpan, le SA – le crudeli camicie brune – inscenarono un pogrom che interessò l’intero territorio del Reich tra il 9 e il 10 novembre del 1938. Drammatico il bilancio finale. Oltre 7.000 negozi vennero devastati (spesso le botteghe costituivano l’unica risorsa delle famiglie ebraiche); le vetrine furono sistematicamente infrante (di qui il nome di «Notte dei cristalli»). 76 sinagoghe vennero distrutte e 191 incendiate: fu questo il più micidiale colpo inferto al patrimonio artistico e culturale ebraico d’Europa. 91 ebrei furono assassinati secondo i rapporti ufficiali, ma probabilmente le vittime oscillarono tra 1.000 e 2.000; altri 26.000 vennero arrestati e deportati nei campi di concentramento di Buchenwald, Dachau e Sachsenhausen, dove furono tenuti per settimane in condizioni atroci, bersagliati dalle vessazioni e dagli insulti delle guardie, che li chiamavano «sacchi di letame, patetici maiali, vili canaglie». In quei terribili luoghi di detenzione la mortalità aumentò allora in maniera esponenziale.

Nell’orgia di violenza belluina e gratuita, consumatasi nella «Notte dei cristalli», ci furono anche episodi di stupro, i cui colpevoli vennero sanzionati dalle autorità naziste per aver commesso il crimine di «profanazione razziale», avendo avuto rapporti sessuali con donne ebree, cosa che esplicitamente era vietata dalle leggi di Norimberga. Presentato dalla propaganda come la risposta spontanea dei tedeschi all’assassinio di Ernst vom Rath, il pogrom in realtà fu ordinato da Hitler e Goebbels, non appena furono informati della morte del diplomatico. L’intento dei vertici nazisti era pure quello di sondare la reazione della società nel suo complesso di fronte all’inasprirsi della persecuzione antisemita. Se nei piccoli centri e nei borghi rurali le scorribande dei militi del partito nazista e delle SA furono accolte con più favore, nelle grandi città la popolazione si limitò ad assistere per lo più passivamente.

Ha colto nel segno lo storico inglese, Ian Kershaw, quando ha osservato che «la strada per Auschwitz fu costruita dall’odio, ma pavimentata dall’indifferenza». Si trattò – è evidente – di un passaggio rilevante, sancito anche da una legge di qualche giorno dopo (15 novembre 1938), che escludeva bambini e ragazzi ebrei dalle scuole tedesche. Il 24 novembre appariva sul quotidiano delle SS, «Das Schwarze Korps», un articolo dall’inquietante titolo, Gli ebrei, che fare ora? E così sinistramente si rispondeva: «[…] ci troveremo di fronte alla dura necessità di sterminare i delinquenti ebrei nel modo in cui sterminiamo tutti i criminali nel nostro Stato, che fa rispettare le proprie leggi con il fuoco e con la spada! Il risultato sarà l’eliminazione effettiva e definitiva degli ebrei dalla Germania, la loro completa distruzione».


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