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ISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Le richieste di arresto del pm per il racket al villaggio turistico “Il Tucano” erano per 13 persone ma si prospetta un braccio di ferro davanti al Tribunale del riesame perché la Dda di Catanzaro ha impugnato, in parte, l’ordinanza di rigetto del gip, insistendo per l’applicazione di misure cautelari in carcere nei confronti di quattro inquisiti. Quelli ai quali, intanto, come già riferito dal Quotidiano, è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini.

Il racket al “Tucano” di Le Castella di Isola Capo Rizzuto, era imposto, secondo il pm Antimafia Pasquale Mandolfino, e secondo i carabinieri di Crotone, dalla famiglia Scerbo, costola della cosca Arena, esattamente come avveniva nella fase focalizzata da un’altra inchiesta della Dda, che nel giugno 2009 portò a una retata: le posizioni sotto la lente del gip sono quelle di Emilio Candigliota, di 59 anni, di Crotone, per fatti compiuti in qualità di amministratore del condominio, e degli isolitani Paolo Lentini (64), Francesco Scerbo (57) e Romolo Scerbo (60), gli ultimi due fratelli. Francesco Scerbo è stato assolto e Romolo è stato condannato nel processo scaturito da quella vecchia inchiesta. Ma, nonostante gli arresti, perduravano nel villaggio le ingerenze della famiglia Scerbo, secondo l’accusa fino ai giorni nostri, tant’è che la Dda ipotizza accuse di associazione mafiosa, estorsioni, trasferimento fraudolento di beni.

Il gip ha però riconosciuto sussistente un episodio estorsivo che ritiene circoscritto al 2010, all’indomani della condanna di primo grado nei confronti di alcuni componenti della famiglia Scerbo, allorquando Francesco Scerbo si sarebbe recato negli uffici degli amministratori del villaggio uscente e subentrante (che in quella fase erano rispettivamente Angelo Fabiano e Francesco de Marco) addebitando loro responsabilità per l’arresto dei parenti e costringendoli con minacce ad assumere quali guardiani altri membri della stessa famiglia in sostituzione di quelli arrestati. L’ingiusto profitto, peraltro frutto di coartazione della volontà, sarebbe consistito in quasi due milioni di euro, ovvero l’importo degli emolumenti per le prestazioni lavorative (secondo l’accusa inesistenti).

Il gip però riconduce la responsabilità al solo Francesco Scerbo e non ai cinque assunti, dei quali non c’è prova di un concorso, neanche sotto il profilo morale; concorso che non si può desumere dalla mera stipula del contratto di assunzione: è appena il caso di ricordare che la Dda contesta l’aggravante mafiosa per l’evocazione, da parte dell’indagato, della parentela con gli arrestati e poi condannati e della discendenza da Vincenzo (padre di Francesco), già custode dei terreni su cui fu costruito il villaggio nel 1989, ucciso nel 1991 in un agguato di mafia proprio all’interno del Tucano. Il gip ravvisa anche l’estorsione contestata a Lentini in qualità di gestore di fatto della ditta che ebbe assegnato il servizio di cura e pulizia del verde negli anni dal 2015 al 2017 grazie alla “minaccia implicita” costituita dalla sua presenza nell’assemblea condominiale per la parentela con gli Scerbo e la loro caratura criminale. Lentini non era stato peraltro formalmente convocato all’assemblea.

I gravi indizi di colpevolezza sono ravvisati poi nei confronti di Francesco e Romolo Scerbo e Candigliota, accusati di estorsione ai danni del condominio. All’assemblea del 28 giugno 2015, infatti, avrebbe preso parte lo stesso Francesco Scerbo, che ai condomini avrebbe prospettato conseguenze negative qualora fossero state coinvolte imprese concorrenti alla sua Sce.Fra. srls, che si sarebbe accaparrata i servizi di giardinaggio grazie a un ribasso immediato e strategico. Il gip, però, pur riconoscendo l’aggravante mafiosa, quando affronta il tema delle esigenze cautelari non le ritiene sussistenti essendo i fatti contestati risalenti nel tempo e data l’incensuratezza degli indagati. In particolare, a proposito dell’imposizione di assunzioni, il pm ritiene errata la valutazione sull’attualità delle esigenze cautelari che, a suo avviso, va estesa al tempo successivo alla stipula.

«Il gip – è detto nell’appello del pm – omette completamente di considerare il ripercuotersi nel tempo degli effetti dei contratti stipulati in virtù degli atteggiamenti estorsivi degli indagati». Gli Scerbo assunti sono rimasti dipendenti del villaggio fino ai giorni nostri e «non è vero – osserva sempre il pm – che lo Scerbo Francesco classe 1966 dopo il 2009 non commetteva altri reati dal momento che almeno fino al 2021 era impegnato a godersi i frutti della propria condotta estorsiva e faceva sì che ne godessero anche tutti i familiari». Analogamente, anche se i servizi di giardinaggio imposti risalgono a un periodo compreso tra il 2015 e il 2017, «la prosecuzione del rapporto contrattuale e il fluire dei relativi pagamenti periodici arrivava almeno fino al 2020, essendo il tempo di messa a frutto dei proventi del reato ben più lungo rispetto al mero tempus commissi delicti». Candigliota, del resto, esercita tuttora l’attività di amministratore del condominio, rammenta il pm, e la ditta Sce.Fra. è ancora operativa. Ad avviso del pm, insomma, c’è stata «una valutazione eccessivamente formalistica dei fatti».

Se il gip evidenzia che gli indagati non commettevano altri reati dopo la stipula dei contratti, il pm sottolinea che «non avevano bisogno di compiere ulteriori condotte illecite» ma «godevano in modo periodico e cadenzato dei frutti di detti reati nell’arco di un tempo lunghissimo, addirittura fino al 2021, continuando ad esercitare le loro attività di impresa e di amministratore del villaggio “Il Tucano”». Il gip, insomma, sembra ignorare che gli indagati sono ancora presenti nel villaggio e continuano a beneficiare del «contegno estorsivo tenuto dai medesimi anni prima» perché ciò «negli anni recenti ha reso superfluo il commettere altri reati dello stesso tipo», peraltro in un «clima mafioso».

L’inchiesta è ormai conclusa, ma una misura più blanda rispetto al carcere per la Dda sarebbe «assolutamente inadeguata al caso concreto». Intanto, gli indagati continuano a svolgere la loro attività all’interno di una delle strutture turistiche storiche di Le Castella, immagine della Calabria nel mondo.

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