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Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni col ministro per l'Economia Giancarlo Giorgetti

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ALLA fine la manovra è finita come doveva finire e, cioè, con piccoli ritocchi per salvare le parole-chiave dei partiti della maggioranza Meloni: così la Lega incassa gli stanziamenti per il Ponte sullo Stretto (si parte da 780 milioni nel 2024) e una versione ampiamente “peggiorativa” di quota 103, con forti penalizzazioni e un aumento delle finestre di uscita fino a 9 mesi per chi deciderà di lasciare il lavoro l’anno prossimo con 62 anni di età e 41 di contributi. Sulla carta ci potrebbero essere 50mila uscite in più rispetto alla prima versione della Legge di Bilancio, che prevedeva quota 104. Ma probabilmente sarà un nuovo “flop”, come già avvenuto nel 2023 con l’attuale flessibilità in uscita. Incassa qualcosa anche Forza Italia, che aveva puntato i piedi sull’aumento della cedolare sugli affitti brevi dal 21 al 26%. L’incremento resta, ma dalla seconda casa in su. Passa anche la proposta di istituire un Codice di identificazione nazionale (Cin), da utilizzare obbligatoriamente per gli affitti brevi e per le offerte tramite le piattaforme informatiche. I benefici realizzati dall’emersione – quantificata per oltre un miliardo – sono destinati alla riduzione della pressione fiscale e alla riduzione delle tasse sulle casa.

Le modifiche entreranno con la forma di un emendamento al decreto fiscale collegato alla manovra e già presentato in Parlamento. Solo un piccolissimo spiraglio sulla questione Rai e, soprattutto, sulle risorse da mettere in campo per sostenere la tv pubblica anche dopo il taglio del canone da 90 a 70 euro. Una riduzione che potrebbe creare problemi all’attuazione del piano industriale della società. Sull’orizzonte, anche le preoccupazione di un aumento del tetto pubblicitario del servizio pubblica a danno delle altre emittenti, Mediaset in testa. Ma l’argomento è rimasto sotto traccia. “Il Governo terrà conto del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza ed opposizione”, si limita a registrare in una nota dell’ufficio stampa di Forza Italia. Nessun passo in avanti, invece, sulle pensioni minime, che gli azzurri volevano portare almeno a 700 euro.

Le fibrillazioni degli ultimi giorni si sono quindi infrante sul muro del ministero dell’Economia che non ha ceduto di un millimetro sui saldi di bilancio. La manovra resta di 24 miliardi, con un’extradeficit di 15,3 miliardi che dovrà comunque superare l’esame della Commissione Europea e, soprattutto, bisognerà verificare le sue compatibilità anche con le regole del nuovo patto di stabilità, con la possibilità concreta di finire nella lista dei Paesi che rischiano una procedura di infrazione. Comunque, a due settimane precise dal varo della manovra a Palazzo Chigi, finalmente il testo è approdato ieri al Quirinale per essere poi inviato a Palazzo Madama, dove oggi comincia l’esame in Commissione Bilancio. E qui i margini del centrodestra sono molto stretti, perché può disporre di 12 voti su 22.

L’obiettivo del governo Meloni resta quello di chiudere la partita della manovra in fretta, prima delle festività di fine anno. Per dare ai mercati il segno della compattezza della maggioranza ma anche per blindare le misure più importanti. Nella nota diffusa ieri da Palazzo Chigi è stato infatti ribadito l’impegno delle forze della maggioranza a non presentare emendamenti durante l’iter della legge di Bilancio. Con l’impegno, però, da parte dell’esecutivo, di “tenere conto con grande attenzione del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza ed opposizione”. Dall’incontro, si legge sempre nella breve nota diffusa subito dopo la riunione della premier Meloni e del ministro Giorgetti con i due vicepremier (Salvini e Tajani) e i capigruppo dei partiti che sostengono il governo, “è emersa la grande compattezza e determinazione delle forze di maggioranza che ha consentito di varare una manovra finanziaria improntata alla serietà e alla solidità dei conti pubblici, che nonostante il contesto difficile riesce a ridurre la pressione fiscale sul ceto medio-basso, a sostenere le famiglie e i lavoratori”.

Confermata anche la stretta su ministeri e enti locali, per un totale di circa 5 miliardi. Ma metà dovrebbe arrivare dalla spending review prevista per Comuni e Regioni. Sulle pensioni resta anche il nuovo sistema di calcolo che riduce gli assegni per alcune categorie di lavoratori pubblici, dai sanitari agli enti locali fino agli uffici giudiziari. Secondo la Cgil il taglio a regime, per una retribuzione di 50mila euro, si attesterebbe sugli 11mila euro all’anno. Medici e infermieri pronti allo sciopero.


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