INDICE DEI CONTENUTI
- 1 Il vostro è un comparto che è stato una sentinella durante la pandemia. Come si è usciti da questa emergenza?
- 2 C’è una sottovalutazione di questo rischio anche a livello istituzionale? C’è la giusta percezione di questo problema sulla richiesta di aiuto dello psicologo per gli adolescenti?
- 3 Ma una risposta concreta a questo emergenza c’è stata finora?
- 4 L’ultima cosa. Quando se ne esce da questa emergenza? C’è una previsione più o meno attendibile?
Intervista a Paolo Sesti, direttore del Centro funzionale del Dipartimento di salute mentale e delle dipendenze: «Tante le richieste di aiuto dagli adolescenti che vogliono lo psicologo»
CROTONE – «Noi ancora stiamo vivendo dei contraccolpi di quanto accaduto. Ancora da noi continuano ad arrivare in numero eccessivo nelle consultazioni e consulenze. Per quanto riguarda la patologia, i numeri sono decisamente aumentati. L’impatto, se vogliamo quantizzare è stato grosso modo statisticamente intorno al 30, 35% di richieste in più rispetto alla popolazione generale. Se guardiamo gli adolescenti è aumentato di oltre il 100%: cioè la richiesta di aiuto dello psicologo dell’adolescente è aumentata enormemente».
E’ quanto sostiene Paolo Sesti, direttore del Centro funzionale del dipartimento di salute mentale e delle dipendenze sulle conseguenze attuali a livello psicologico e psichiatrico del post pandemia del Covid 19.
Il vostro è un comparto che è stato una sentinella durante la pandemia. Come si è usciti da questa emergenza?
«Il nostro dato locale è più o meno sovrapponibile a quello nazionale. Che poi è praticamente la fotocopia di quanto è accaduto un po’ ovunque. Abbiamo visto una ricaduta decisamente importante sulla qualità della salute mentale, un po’ su tutte le fette di popolazione. La popolazione che ha sentito maggiormente, a nostro avviso, perché i numeri lo dicono è soprattutto quella degli adolescenti: è quella parte della popolazione che più di altri ora chiede l’aiuto dello psicologo perché ha subito la chiusura, per cui il fatto di non dover andare a scuola, il fatto di non confrontarsi con i coetanei, non poter vivere quelle esperienze che sono formative, di gruppo in quanto tale. La maggior parte dei ragazzi è stata costretta, poi, ad utilizzare delle modalità comunicative con le quali erano già abbastanza avvezzi, tipo l’uso dei media o altro. Per cui abbiamo visto molti ragazzi che si sono chiusi ancora di più. In molti ragazzi è aumentato enormemente l’utilizzo di questi video. E’ aumentato dal punto di vista quantitativo e qualitativo dell’utilizzo dei media. E tutto questo ha creato una difficoltà, poi, nella ripresa di una vita normale. Abbiamo visto. Ad esempio, dei ragazzi che hanno manifestato una sintomatologia ansiosa particolarmente imponente, ma anche sintomatologia depressiva. Ma abbiamo visto anche molti ragazzi entrare in condizione di dipendenze varie. Noi, parlando di dipendenze, solitamente abbiamo la conoscenza delle dipendenze da sostanze. Beh, quella è una minima parte del problema. Le dipendenze che stanno affliggendo maggiormente gli adolescenti, e per le quali chiedono aiuto allo psicologo, attualmente sono le dipendenze da media, da videogiochi o comunque da dipendenze situazionali da mezzi multimediali. Ed è un qualcosa che li ha allontanati sempre più dalla vita di tutti i giorni. Ma a parte i giovani, abbiamo visto ormai ritornare a flotte, gente che noi conoscevamo da tempo, o meglio, gente che era stata nostra paziente per diverso tempo, che avevano trovato un equilibrio e che a seguito di quello che è successo, direttamente o indirettamente, in seguito alla pandemia, hanno subito un contraccolpo e hanno. ripresentato una sintomatologia abbastanza importante. Lì abbiamo visto tutta la sintomatologia ansiosa, ma anche scompensi psicotici. Sono aumentate enormemente il ricorso all’uso di farmaci, ma è aumentato anche il numero di ricoveri. Abbiamo visto tentativi di suicidio anche abbastanza pesanti. E tutto questo stiamo cercando di capire da cosa è dipeso maggiormente, ma riteniamo che sicuramente l’impatto diretto, ma forse anche di ancora di più, l’impatto indiretto, quindi con perdite, opportunità di lavoro, perdita, quindi, di fiducia per il futuro e tutto il resto, sicuramente hanno contribuito a generare».
C’è una sottovalutazione di questo rischio anche a livello istituzionale? C’è la giusta percezione di questo problema sulla richiesta di aiuto dello psicologo per gli adolescenti?
«Guardi, se ne parla e ci sono un sacco di lavori scientifici. Non c’è Congresso o convegno medico nell’ambito nostro che non evidenzia questo. Parlo di me, ad esempio. Io ho visto per la prima volta, eppure faccio questo lavoro da 33 anni e per la prima volta ho visto degli scompensi psicotici in ragazzini di 10, 11 anni. Cioè, episodi schizofrenici tra i ragazzini di quell’età; cosa che non avevamo mai visto. E comunque tutti i dati portano verso questa cosa. Che se ne sia, in qualche modo, sottovalutata la portata, forse è anche vero; però, è anche vero che qualcuno ha vissuto quello che stava succedendo con tale impatto emotivo che forse questo ha indotto qualcuno anche alla necessità di ridurne l’opportunità di parlarne per evitare che tutto questo possa comportare, anche a livello economico, sociale e quant’altro, un contraccolpo di una certa importanza».
Ma una risposta concreta a questo emergenza c’è stata finora?
«La risposta c’è stata, nel senso che sicuramente quanto andava fatto è stato fatto. Ci sono ancora molte discussioni intorno a quello che si è fatto, se andava fatto in questo modo, se si poteva fare di meglio, se non andava fatto nulla. Cioè, però, l’Italia ormai è diventato il Paese in cui si discute di tutto e del contrario di tutto, per cui ci saranno ancora queste code polemiche che non porteranno a nulla. Di certo, quello che è stato fatto era assolutamente necessario e bisogna anche dire che si è vista di giorno in giorno la portata dell’evento. All’inizio nessuno immaginava che potesse capitare una cosa del genere, nessuno se l’aspettava in questi numeri. E quanto è accaduto ha dovuto ha costretto chi doveva prendere decisione di giorno in giorno a modificare anche una serie di decisioni. Questo ha creato, da una parte anche discredito, da un’altra parte ha creato discussione sulle cose che andavano fatte, o meno. Ma col senno di poi è molto facile discutere dire cosa era più giusto e più sbagliato. Di fatto, credo, che quanto andava fatto è stato comunque fatto. Noi, ad esempio come salute mentale non abbiamo chiuso un giorno, abbiamo continuato a lavorare sull’emergenza, abbiamo continuato a utilizzare, abbiamo scoperto strumenti nuovi. Noi abbiamo iniziato da allora a fare le video chiamate, a lavorare con i pazienti fragili così e stiamo continuando ad utilizzare anche questi mezzi; ha anche creato delle opportunità. Ad esempio, non c’è ambito scientifico che non utilizza ormai le videoconferenze; quell’occasione ha generato anche nuove opportunità».
L’ultima cosa. Quando se ne esce da questa emergenza? C’è una previsione più o meno attendibile?
«Dipende da che punto di vista. Cioè, dal punto di vista economico credo che ci vorrà ancora molto tempo perché sicuramente noi conosciamo tante persone che giungono da noi per sofferenza psichiche perché hanno perso opportunità di lavoro, ad esempio. Quando sarà possibile ricreare opportunità di lavoro, questo non viene a noi. E’ ovvio che andranno fatte delle scelte, che sicuramente i politici dovranno comunque fare, ma anche noi dovremmo in qualche modo adeguarci. Noi popolazione generale, dobbiamo adeguarci a questo».
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