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Massimo Rosi (di spalle mentre fuma) durante un incontro con i suoi uomini

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CIRÒ MARINA (CROTONE) – Ci sono le “doti” di ‘ndrangheta da attribuire, si fa cenno a rituali di affiliazione e il clan si fa addirittura carico delle spese del funerale di un affiliato, almeno secondo la ricostruzione della Dda di Milano e dei carabinieri del Nucleo investigativo. Ma secondo il gip Tommaso Perna non sussiste la super associazione mafiosa perché non ci sarebbe l’accordo stabile e duraturo alla base della confederazione orizzontale di cosche di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. Anzi, il presunto capo del clan di ‘ndrangheta di Legnano e Lonate Pozzolo, Vincenzo Rispoli, di Cirò Marina, che sconta cumuli di condanne in carcere, manco è stato riarrestato e al suo presunto reggente, Massimo Rosi, la misura cautelare è stata applicata non per l’associazione mafiosa ma per reati fine soltanto in alcuni casi con l’aggravante del metodo mafioso.

Eppure sull’attualità del ruolo di “capo locale” rivestito da Rispoli, vertice indiscusso dell’articolazione al nord del clan di ‘ndrangheta Farao Marincola di Cirò, deporrebbe una conversazione intercettata, nel corso della quale Rosi affronta espressamente la questione della riorganizzazione del clan e la futura distribuzione dei ruoli. Rosi ne parlava con i coindagati Pasquale e Roberto Toscano, fratelli originari di Melito Porto Salvo. «Enzo capo locale, io capo società, Francesco Bellusci contabile, Giacomino Cristello banda armata, a te (rivolgendosi a Roberto) un gradino in più perché devi entrare nella (società, ndr) maggiore e a lui (Pasquale, ndr) lo lasciamo nella minore e lo metto mastro». A dimostrazione del ruolo apicale di Rispoli gli inquirenti sottolineano che l’indicazione era: «l’unica cosa che mi ha detto “Massimo, a Lonate nessuno”…». Per questo Rosi precisava: «a lui domani non gli do nessuna carica, solamente la banda armata».

Tutto era partito dalla “lettera”. Un pizzino che il figlio del boss Rispoli, Alfonso, avrebbe fatto avere a Rosi. Ma Alfonso Rispoli è fuori. «Abbiamo già mandato l’ambasciata agli anziani che c’erano prima, sabato ci troviamo perchè Alfonso è spogliato. Non fa niente. Chi l’ha fatto ad Alfonso? Primo. Seconda cosa, ricordatevi di rispettare il locale». Le regole sono le regole, anche in terra lombarda. Rosi si inalbera anche per un colloquio su argomenti riservati intrattenuto da Cristello con Alfonso Rispoli che, sebbene figlio del boss, non è formalmente affiliato. Il factotum di Rosi sarebbe Pasquale Toscano: il loro rapporto diventa più stretto dopo la morte del fratello Roberto. «Tutte le spese… me le prendo a carico io», dice Rosi, offrendo sostegno economico per il trasferimento della salma dalla Calabria. Con un’avvertenza: «poi quando è il telefono magari te lo porti su te… tutti i telefoni di Roberto».

Il giorno seguente Rosi apprende da Pasquale Toscano che anche Gioacchino Amico, l’imprenditore siciliano ritenuto dalla Dda fulcro della presunta organizzazione trans criminale nell’area del Milanese, lo ha aiutato per il funerale: «… mi ha messo in tasca un mazzo di soldi da 10 euro, non so manco… poi mi ha detto che te l’ha detto “qualsiasi cosa hai bisogno, non chiamare a nessuno”». Non solo facce da matrimonio, ma anche da funerale, altro elemento che dimostrerebbe l’esistenza del patto associativo tra le varie componenti mafiose. Abbiamo già riferito del matrimonio di Gioacchino Amico e della compagna e di una lista di invitati che andava dai sanlucoti alla banda della Magliana senza dimenticare i napoletani e il clan Fidanzati di Palermo. «E se vengono con il drone, che minchia vogliono! Mi sto sposando». Ma Amico pensava ai clan alleati, a quanto pare, anche in occasione dei funerali.

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