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Si avverte il segno della politica estera italiana nel Mediterraneo con i cromosomi di civiltà di La Pira e dell’economia non coloniale dell’Eni di Mattei. La Meloni di ieri ricorda l’intelligenza strategica di Berlusconi, Frattini, Tajani e Vattani che venti anni fa misero insieme Shalom e Abu Mazen rompendo il silenzio europeo e mostrando la strada da seguire. Che, purtroppo, non è quella dell’Europa di oggi. Vaso di coccio tra i vasi di ferro di Stati Uniti, mondo arabo, Cina e Russia.

Giorgia Meloni ha dato un segno alla politica estera italiana che la connota nei rapporti con tutti i quattro Mediterranei. Questo segno che riguarda Sud Europa, Africa, Medio Oriente, Balcani appartiene ai tratti di una scelta politica innovativa che riproduce i cromosomi di pace e civiltà della grande tradizione sociale di La Pira e, a seguire in modo diverso, di Fanfani e Moro e quelli dell’economia non coloniale dell’ottava delle sette sorelle che era l’Eni di Mattei. In queste grandi tradizioni italiane del passato, c’è il senso profondo di uno sviluppo alla pari con i Sud del mondo, diventato oggi di estrema attualità, e di cui Giorgia Meloni ha dato ieri un’altra prova di qualità in tre modi. Con la sua presenza, che mette in risalto le altre assenze europee, e ribadendo i due capisaldi di un’azione politica diretta a lavorare sul dialogo tra Occidente e Paesi arabi e a non scambiare mai il diritto di difesa con la vendetta di Stato. Bisogna fare di tutto per non cadere nella trappola di Hamas che vuole destabilizzare la normalizzazione in atto a piccoli passi con i Paesi arabi e punta a trasformare tutto in una grande guerra di civiltà e di religione. La sua attività di oggi ricorda l’intelligenza strategica di quattro uomini – Berlusconi presidente del consiglio, Frattini ministro degli Esteri, Tajani capogruppo di Forza Italia al parlamento europeo e Vattani, Rappresentante Permanente presso l’Unione europea – che venti anni fa dopo il lungo silenzio europeo vollero mettere insieme a confronto il ministro israeliano Silvan Shalom e Abu Mazen mostrando con largo anticipo che la strada da seguire era quella di affrontare le cose più difficili e misurando di fatto la lunghissima cecità europea che si riprodusse anche dopo quella iniziativa. L’altra faccia del protagonismo della Meloni di oggi resta, dunque, l’assenza di voce dell’Europa e anche la stessa premier italiana deve rendersi conto che non si può dire che l’Europa esiste se caccia qualche spicciolo in più. Il protagonismo italiano ha senso e produce risultati se inserito in un contesto di coraggiosa leadership politica europea che, al momento, purtroppo non esiste. Questo coraggio, per capirci, lo ha mostrato Biden dicendo e facendo una cosa senza precedenti quando è venuto di persona a dire a Netanyahu che gli Stati Uniti hanno imparato dagli errori dell’11 settembre e che la via di uscita non è la vendetta che aggiunge orrori a orrori. Questa presa di posizione così forte, oltre che inusuale, mette in crisi Netanyahu e rilancia un ruolo dell’America che rifugge dallo stereotipo del fanatismo yankee. Quanto questa cosa rivoluzionaria attecchirà nella opinione pubblica americana non lo sappiamo, ma è già evidente che chi fa la figura peggiore di tutti è l’Europa che non riesce a dire niente lasciando che ad aprire bocca siano Melenchon e Salvini facendo a gara a dire cose tra loro diverse che non stanno né in cielo né in terra.

Il mondo capovolto di oggi dove i Sud non cercano più di agganciarsi ai Nord ma di costruire un baricentro alternativo, ha bisogno assoluto di una voce unica dell’Europa che pesi. Questa voce unica, purtroppo, non si sente e rappresenta l’elemento che aumenta esponenzialmente il doppio rischio di impoverimento degli europei e di guerra globale. La grande crisi di oggi, segnata da due guerre nel cuore dell’Europa e in Medio Oriente, inevitabilmente si evolverà in un senso o nell’altro, resterà la crisi dei conflitti regionali o si incastreranno tra di loro i pezzi per una nuova guerra globale, ma quello che sin da oggi è evidente e fa paura riguarda proprio il ruolo dell’Europa. Che giorno dopo giorno sempre più si presenta come il vaso di coccio tra quattro vasi di ferro che sono gli Stati Uniti, il mondo arabo, la Cina e la Russia. Netanyahu ha il suo enorme problema interno e vorrebbe coprirlo con una mega operazione su Gaza, ma procede a pezzetti perché teme che gli Stati Uniti non lo coprano più. C’è chi suggerisce di fare di Gaza un protettorato Onu come il Kossovo dove peraltro le cose non stanno andando benissimo, ma comunque suggerisce qualcosa. La democrazia paga il conto delle sue contraddizioni interne e, come sempre più succede, deve lasciare spazio alla estrema destra ed è quello che, ad esempio, è avvenuto in Israele proprio perché in quel territorio, espressione di tutte le specificità dell’area allargata di cui è impossibile non risentirne, esiste comunque l’unica democrazia del Medio Oriente e con i suoi inevitabili difetti resta una bandiera di libertà. Tutti, giusto o sbagliato, uniti o divisi, hanno detto e fatto qualcosa per costruire il futuro: Stati Uniti, mondo arabo, Cina-Russia. L’Europa invece no. L’Europa non ha proposto niente di niente. Non ha mai proposto insieme qualcosa per il futuro. Toccherebbe all’Europa rilanciare la proposta ragionevole dei due Stati e costruire le condizioni minime perché qualcosa che almeno ci assomigli si appalesi. Manca un leader europeo riconosciuto che possa prendere in mano questa bandiera. La presidente della Commissione europea von der Leyen ogni passo che muove lo fa solo per essere riconfermata. Assume posizioni tattiche dirette a ottenere i voti per essere rieletta. Il presidente del Consiglio europeo, il belga Michel, ha sempre contato poco e non si capisce neanche da che parte va. Macron ha perso lo smalto, Scholz è debole, la Spagna non sa con quale governo andare avanti. Questo vuoto lo avrebbe coperto l’Italia alla grande con Draghi se qualcuno non avesse deciso di buttarlo giù da palazzo Chigi e farlo fuori da tutto. Perché avrebbe svettato come un gigante senza dovere fare grandi sforzi. Oggi siamo qui a leccarci le ferite, ma il ruolo politico della Meloni può essere ancora fondamentale se si porta dietro l’Europa e lo può fare solo se guadagna credibilità facendo la nuova Thatcher indipendentemente e prima degli umori di mercati e agenzie di rating. Ha il vantaggio di avere alle spalle la figura di uno statista del calibro di Sergio Mattarella che con Frank-Walter Steinmeier, il Presidente della Repubblica tedesca come lui al secondo mandato, rappresenta una delle due colonne su cui si regge il più ambizioso dei progetti federali europei.


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