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Roma, 16 ott. (askanews) – Vladimir Putin arriva domani a Pechino, per partecipare al Forum internazionale sull’iniziativa One Belt, One Road (la Via della Seta), su cui Mosca prospetta nuovi accordi e progetti con la Cina, e per colloqui con il collega Xi Jinping, in agenda mercoledì, ha fatto sapere il Cremlino. Il confronto faccia a faccia tra i due leader avviene nel momento in cui Russia e Repubblica popolare cinese sembrano strettamente coordinate su una serie di questioni internazionali, il rinnovato conflitto israelo-palestinese in particolare. Sottotraccia, tuttavia, ci sono le tensioni sulla guerra in Ucraina, dove Pechino non arriva alla condanna della Federazione russa, ma preme per una soluzione in tempi prevedibili.
Proprio oggi, in una intervista alla China Central Television, Putin ha espresso gratitudine “ai nostri amici cinesi per aver pensato a come porre fine a questa crisi, per aver provato a immaginare modi” per arrivare a una soluzione: “Penso che siano assolutamente realistici e che possano porre le basi per un accordo di pace”, ha detto.
In questo momento il conflitto israelo-palestinese sta oscurando la guerra in Ucraina e Mosca conta di trarne vantaggio in termini di minore risonanza internazionale e soprattutto di maggiore difficoltà da parte occidentale a concentrarsi sugli aiuti all’Ucraina. Putin ha ribadito di essere pronto a un dialogo con Kiev, se a Kiev verrà revocata la legge che impedisce il negoziato diretto: il leader russo ha evitato di specificare che il presidente ucraino Zelensky ha firmato un decreto che vieta colloqui proprio con lui. Ha invece sottolineato che “lo status di non allineato dell’Ucraina è estremamente importante per noi”.
Difficile, al di là dei propositi, che sul conflitto in Ucraina possano arrivare svolte durante la visita di Putin in Cina. Ma il leader russo sta investendo molto su un possibile coinvolgimento della Russia in un rinnovato negoziato per il Medio Oriente. Oggi Putin ha trascorso la giornata al telefono con i leader della regione, a cominciare dagli alleati, il siriano Bashar al-Assad e l’iraniano Ebrahim Raisi. “Nel corso della giornata ci saranno ulteriori contatti telefonici con i presidenti di Egitto, Palestina e con il primo ministro israeliano”, ha informato l’assistente presidenziale Yuri Ushakov.
Il fatto che ad oggi Putin non abbia ancora parlato con Netanyahu è stato visto come una chiara presa di distanza del Cremlino dal premier e dalla linea di Israele dopo i sanguinosi attacchi di Hamas, in particolare l’assedio a Gaza. La posizione russa è invece allineata con quella cinese, nella richiesta di un cessate il fuoco immediato e di negoziati che includano la creazione di uno Stato palestinese. Putin gioca la carta dell’equidistanza citando la grande presenza di russi in Israele e la tradizionale vicinanza ai palestinesi. “L’obiettivo di qualsiasi negoziato di pace dovrebbe essere l’attuazione della formula dei due Stati approvata dalle Nazioni Unite, che prevede la creazione di uno Stato indipendente con capitale a Gerusalemme Est, e questo Stato esisterebbe in pace e sicurezza con Israele”, ha detto Ushakov illustrando oggi la posizione russa.
Il presidente ha tuttavia posto molto l’accento sugli aspetti umanitari e le implicazioni per la popolazione di Gaza, argomenti che risuonano nel mondo arabo e in generale in quel ‘Sud globale’ sensibile alle istanze anti-americane del Cremlino. “Nel settore di Gaza c’è tanta gente che non sostiene Hamas, ma tutti soffrono, compresi donne e bambini”, ha dichiarato nel fine settimana. Posizione lodata direttamente da Hamas.
“Il popolo palestinese ha il diritto di contare sulla creazione di uno stato, gli è stato promesso”. Il presidente russo è arrivato a tracciare un vago paragone tra l’assedio di Gaza e quello di Leningrado durante la seconda guerra mondiale.
Nella serata americana, mezzanotte in Italia, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu voterà una bozza di risoluzione presentata dalla Russia e un’altra proposta dal Brasile sul conflitto tra Israle e Hamas. Quella russa invoca una tregua umanitaria immediata e il rilascio degli ostaggi, mentre quella brasiliana include una condanna diretta degli attacchi di Hamas.
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