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VIBO VALENTIA – Emergono, nella conclusione delle indagini di Olimpo-Maestrale-Imperium, nuove contestazioni, rispetto alla prima fase dell’inchiesta, per alcune delle persone coinvolte. Segnatamente una nuova accusa viene mossa dalla Dda di Catanzaro nei confronti dell’ex dirigente del servizio di prevenzione dell’Asp di Vibo, Cesare Pasqua, quella di aver minacciato di morte il dottor Francesco Massara (anche lui indagato), al tempo dirigente del settore veterinario della stessa Azienda, e Francesco Talarico, all’epoca dei fatti direttore generale sempre dell’Asp vibonese.

Nello specifico, viene riportato nel decreto, nell’anno 2014, Pasqua – nei confronti del quale viene mossa l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa – avrebbe profferito alla presenza di Massara la seguente frase: “parlerò con i miei amici potenti di Vibo e qualche sera di queste ti faccio sparire per sempre a te ed a Talarico”.

Un nuovo episodio, ben più grave, si sarebbe poi verificato nel luglio 2020, quando l’ex capo del dipartimento di prevenzione avrebbe portato con sé una pistola revolver – legalmente detenuta – che avrebbe mostrato sempre a Massara aprendo la giacca e pronunciando la presunta frase minacciosa:  “A te e a Talarico vi distruggo”, ciò a seguito della pubblicazione di un articolo sulla testata online “Il Corriere della Calabria”, in cui venivano commentati, in relazione al procedimento penale “Rinascita-Scott”, elementi investigativi raccolti dall’ex direttore generale dell’Asp e dallo stesso Massara, riguardanti “l’intervento del boss di Limbadi Luigi Mancuso sullo stesso Pasqua per far dissequestrare una tonnellata di insaccati posti sotto sequestro dai Carabinieri del Nas  di Catanzaro presso la “Latteria del Sole” di Vibo Valentia, formalmente amministrata da Michael Joseph Pugliese.

Vicenda rispetto alla quale Talarico era stato inserito nella lista testimoniale del Pm depositata nell’ambito del processo “Rinascita”  e citato all’udienza dibattimentale del 29 novembre 2022”.

Un episodio per il quale la Dda contesta l’aggravante dell’uso delle armi e quella di aver commesso il fatto con “metodologia mafiosa oltre che avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis c.p., stante l’intrinseca finalizzazione della condotta delittuosa a rafforzare e favorire il perseguimento degli scopi illeciti delle articolazioni di ‘ ndrangheta di cui al superiore capo I, con particolare riferimento alla cosca Mancuso di Limbadi”.

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